Come abbiamo visto nel precedente post la conoscenza a priori delle casistiche cliniche, a cui fanno riferimento i criteri di appropriatezza delle endoscopie, non esaurisce tutta la gamma delle situazioni in cui invece è opportuno un accertamento diagnostico, per una deformazione "statistica": i criteri di appropriatezza sono tarati sul caso medio, sul paziente tipo più rappresentativo della categoria di portatori di una certa patologia.
Nella realtà lo spettro delle presentazioni è invece più variegato e multiforme della rappresentazione schematica e, solo apparentemente, oggettiva che ne danno le linee guida. Questo argomento ci porta a considerare le basi concettuali delle raccomandazioni e del loro utilizzo pratico per valutare l'appropriatezza delle decisioni. In questo campo si realizza una sorta di cortocircuito metodologico e temporale tra un'impostazione a priori e quella complementare ex post, tra indicazioni generali e specificità di ogni caso.
L'appropriatezza di un esame, come pure di un accesso in PS, dovrebbe essere giudicata ex ante nel singolo assistito, e non a posteriori tra quanti hanno eseguito il test, come invece fanno i gastroenterologi che giudicano l'appropriatezza su ampie coorti. Lo stesso discorso vale per i codici cromatici del PS, che dovrebbero essere attribuiti all'inizio dell'iter e non alla fine delle procedure diagnostiche, spesso complesse ed articolate, espletate in PS.
Il giudizio di appropriatezza emerge generalmente dal confronto statistico su grandi numeri tra esami negativi ed esami che invece hanno dato un esito patologico, a dimostrazione che l'accertamento era stato prescritto correttamente. Questo modello presuppone che la prescrizione dell'esame miri sempre a confermare un sospetto diagnostico ben definito, mentre nella realtà spesso i test vengono prescritti per confutare un'ipotesi di malattia; è il caso di condizioni pauci- o asintomatiche, di disturbi vaghi ed aspecifici ma soprattutto di soggetti portatori di fattori di rischio privi di sintomi soggettivi (basta pensare agli assistiti con familiarità per neoplasia gastrica o colica, per i quali ad esempio è prevista una colonscopia periodica ed una specifica esenzione, per non parlare dei test di suscettibilità genetica).
Come afferma Marco Bobbio nel suo recente libro "Troppa medicina" (Einaudi, Torino 20017: http://www.troppamedicina.it/ ) "se alimentiamo l'idea che esiste una sola scelta giusta a priori, qualunque risultato sfavorevole presupporrà un errore" (pag. 29). Ovvero se i criteri di appropriatezza ex ante sono considerati in modo assoluto, acontestuale ed avulsi da una valutazione globale del singolo caso ogni scostamento rispetto al dato atteso sarà segno di inappropriatezza, specie se questa conclusione viene emessa ex post rispetto al percorso diagnostico.
Il giudizio di appropriatezza dovrebbe valere solo se chi lo formula è soggetto al cosiddetto "velo di ignoranza", definito dal filosofo della politica John Rawls riprendendo una nozione sviluppata da Kant. Il concetto di Rawls fa riferimento al principio cardine della sua "teoria della giustizia", in cui i singoli individui scelgono essendo privi di informazioni relative alla propria condizione futura nella società.
Applicato al campo medico il velo di ignoranza corrisponde alla condizione di incertezza che caratterizza chi osserva una situazione clinica all'esordio, prima di poter acquisite informazioni diagnostiche rilevanti sulla natura del disturbo che, dissolvendo l'incertezza e squarciando il velo, consentiranno un giudizio esauriente solo a posteriori. Detto in altri termini, con il senno di poi tutti sono in grado di valutare l'appropriatezzza di un accertamento, tent'è che esiste uno specifica euristica/bias per descrivere situazioni di questo tipo (indsight bias: http://www.dif.unige.it/epi/networks/05/motterrlini.pdf ).
A detta del filosofo della scienza Matteo Motterlini l'esperienza ci insegna che "c’è una grossa differenza fra predire gli sviluppi futuri di una situazione e spiegare il corso di eventi già accaduti. Col senno di poi, infatti, siamo tutti più bravi". Questa "distorsione retrospettiva del giudizio" è dovuta alla propensione degli umani "a dare senso agli eventi passati, descrivendoli come conseguenze inevitabili (o quasi) di condizioni che erano presenti fin dall’inizio". Il "velo di ignoranza" è l'opposto dell'insight bias perchè costringe a giudicare e valutare la situazione ex ante e non ex post, cioè prima di aver acquisito informazioni significative, spesso dirimenti, sulla natura del problema e sull'epilogo della vicenda.
Conclude Motterlini: "uno sguardo retrospettivo può avere un’influenza fuorviante sul modo in cui valutiamo non solo i giudizi, ma anche le decisioni". Nel caso dell'appropriatezza delle endoscopie le decisioni di una popolazione di medici, alle prese con casi multiformi e spesso fonte di incertezza, vengono valutate ex post (grazie al senno di poi) e sulla base di criteri generali a priori, astratti rispetto alla varietà della casistica.
Notizie, commenti e riflessioni sulla medicina del territorio. "Non c'è nulla di più pratico di una buona teoria" (K. Lewin)
martedì 28 febbraio 2017
sabato 25 febbraio 2017
Appropriatezza diagnostica, prototipi ed aderenza al modello
Il precedente post si concludeva con una puntualizzazione sul concetto di appropriatezza, che attiene alle caratteristiche del singolo caso clinico, da valutare in rapporto alle linee guida o alle buone pratiche cliniche, e non può essere esteso meccanicamente alle prescrizioni aggregate per valutare le decisioni diagnostico-terapeutiche di un'intera popolazione di professionisti. Il salto metodologico dal livello individuale del singolo caso alla coorte di assistiti o di medici è insomma "inappropriato" da diversi punti di vista: in questo post propongo alcune considerazioni metodologiche e di psicologia cognitiva, mentre nel successivo gli aspetti epistemologici.
Le indicazioni comportamentali delle Linee Guida, ad esempio i criteri per prescrivere un'endoscopia digestiva, partono da una conoscenza accumulata "a priori", frutto di indagini clinico-epidemiologiche, che devono essere applicate nel singolo assistito portatore di un sintomo, ad esempio suggestivo di RGE.
Da queste ricerche emerge il "profilo" medio dell'assistito che può essere sottoposto con appropriatezza alla gastroscopia e di riflesso di quello che invece non ne avrebbe alcun beneficio, ovvero che farebbe l'esame inutilmente (ad esempio il soggetto con disturbi gastrici che lamenta anche dimagrimento, anemia, vomito persistente, sanguinamento in atto etc..). Tra i criteri di elegibilità mancano diverse variabili che rientrano in una valutazione globale del disturbo e che orientano la decisione: le comorbilità, le terapie in atto, i precedenti anamnestici, la qualità e l'entità del sintomo soggettivo riferito, che spazia dalle forme più vistose a quelle pauci- o addirittura asintomatiche, com'è di regola la presentazione del tumore gastrico, nelle fasi iniziali, o dell'ulcera "silente".
I criteri "oggettivi" per la prescrizione dell'endoscopia fanno riferimento al concetto di "prototipo" elaborato della psicologia cognitiva, ovvero il soggetto medio più rappresentativo della categoria di coloro per i quali la gastroscopia è indicata. Ma tra il candidato ideale e quello per il quale la gastroscopia è inutile non vi è mai un confine netto, nel segno della dicotomia tutto-o-nulla, ma invece una gamma, un continuum di situazioni intermedie e "sfumate" (fuzzy) che si distribuiscono più o meno lungo la classica curva gaussiana della varietà, senza considerare la componente soggettiva. Ad esempio, in quanto tempo e quanti Kg di peso deve aver perso un assistito per essere giudicato idoneo alla gastroscopia? Le stesse considerazioni valgono per il limite anagrafico che solitamente viene posto come cut-of tra un'endoscopia appropria e una non, per non parlare della soggettività dell'assistito.
Ora se ci si fissa troppo sull'immagine del prototipo per prendere le decisioni si rischia di incorrere nella cosiddetta euristica della rappresentatività e nel conseguente bias ( http://www.pensierocritico.eu/intelligenza-euristica.html ). Vale a dire nel mancato riconoscimento di una delle situazioni intermedie e sfumate della distribuzione gaussiana di cui sopra, perchè si ha come riferimento solo l'esemplare medio più rappresentativo di una categoria, tanto da diventare uno stereotipo. In realtà tra chi non presenta i tratti tipici ed oggettivi, ovvero non soddisfa i criteri di appropriatezza, si può annidare un soggetto che effettivamente potrebbe giovarsi di un esame, per quanto appaia inappropriato poichè non rientra perfettamente nelle indicazioni delle linee guida. L'euristica della rappresentatività funziona bene, nel senso che porta ad un rapido riconoscimento, quando ci si trova dinnanzi a casi da manuale, ma rappresenta un potenziale trabocchetto quando invece si incappa in sintomi atipici o d'esordio, presentazioni paucisintomatiche, bizzarre ed "eccentriche" rispetto al modello idealtipico, per usare il termine introdotto dal sociologo Max Weber.
La trappola della rappresentatività è più sottile perchè uno dei precetti della diagnostica differenziale va proprio in suo sostegno. Infatti di fronte ad un caso di incertezza tra più diagnosi la regola dell'aderenza al modello suggerisce di preferire la descrizione tipica che più somiglia alla situazione in esame; dato che la diagnosi si basa sulla possibilità di ricondurre i dati rilevati al modello più rappresentativo di una determinata categoria nosologica, nel singolo caso si propenderà per il "prototipo" di malattia a cui può essere assimilato il profilo del paziente. L'euristica della rappresentatività si converte in una bias quando funziona in negativo, nel senso che ostacola il riconoscimento di un caso atipico o anomalo, proprio perchè prevale l'immagine mentale dell'idealtipo clinico nel processo di riconoscimento a scapito delle presentazioni atipiche o sfumate.
Lo stesso fenomeno può accadere quindi anche nell'applicazione dei criteri di eleggibilità di un accertamento diagnostico, quando predomina il riferimento acritico al profilo medio ideale del paziente candidato all'esame in modo (apparentemente) appropriato, perchè aderente alle indicazioni schematiche delle Linee Guida, a prescindere dalla varietà delle storie di malattia e delle situazioni concrete. Come ha osservato Marco Bobbio "nessuno però è un persona media e il suo destino può discostarsi da quello più probabile" (Troppa Medicina, Einaudi, Torino 2017).
Le indicazioni comportamentali delle Linee Guida, ad esempio i criteri per prescrivere un'endoscopia digestiva, partono da una conoscenza accumulata "a priori", frutto di indagini clinico-epidemiologiche, che devono essere applicate nel singolo assistito portatore di un sintomo, ad esempio suggestivo di RGE.
Da queste ricerche emerge il "profilo" medio dell'assistito che può essere sottoposto con appropriatezza alla gastroscopia e di riflesso di quello che invece non ne avrebbe alcun beneficio, ovvero che farebbe l'esame inutilmente (ad esempio il soggetto con disturbi gastrici che lamenta anche dimagrimento, anemia, vomito persistente, sanguinamento in atto etc..). Tra i criteri di elegibilità mancano diverse variabili che rientrano in una valutazione globale del disturbo e che orientano la decisione: le comorbilità, le terapie in atto, i precedenti anamnestici, la qualità e l'entità del sintomo soggettivo riferito, che spazia dalle forme più vistose a quelle pauci- o addirittura asintomatiche, com'è di regola la presentazione del tumore gastrico, nelle fasi iniziali, o dell'ulcera "silente".
I criteri "oggettivi" per la prescrizione dell'endoscopia fanno riferimento al concetto di "prototipo" elaborato della psicologia cognitiva, ovvero il soggetto medio più rappresentativo della categoria di coloro per i quali la gastroscopia è indicata. Ma tra il candidato ideale e quello per il quale la gastroscopia è inutile non vi è mai un confine netto, nel segno della dicotomia tutto-o-nulla, ma invece una gamma, un continuum di situazioni intermedie e "sfumate" (fuzzy) che si distribuiscono più o meno lungo la classica curva gaussiana della varietà, senza considerare la componente soggettiva. Ad esempio, in quanto tempo e quanti Kg di peso deve aver perso un assistito per essere giudicato idoneo alla gastroscopia? Le stesse considerazioni valgono per il limite anagrafico che solitamente viene posto come cut-of tra un'endoscopia appropria e una non, per non parlare della soggettività dell'assistito.
Ora se ci si fissa troppo sull'immagine del prototipo per prendere le decisioni si rischia di incorrere nella cosiddetta euristica della rappresentatività e nel conseguente bias ( http://www.pensierocritico.eu/intelligenza-euristica.html ). Vale a dire nel mancato riconoscimento di una delle situazioni intermedie e sfumate della distribuzione gaussiana di cui sopra, perchè si ha come riferimento solo l'esemplare medio più rappresentativo di una categoria, tanto da diventare uno stereotipo. In realtà tra chi non presenta i tratti tipici ed oggettivi, ovvero non soddisfa i criteri di appropriatezza, si può annidare un soggetto che effettivamente potrebbe giovarsi di un esame, per quanto appaia inappropriato poichè non rientra perfettamente nelle indicazioni delle linee guida. L'euristica della rappresentatività funziona bene, nel senso che porta ad un rapido riconoscimento, quando ci si trova dinnanzi a casi da manuale, ma rappresenta un potenziale trabocchetto quando invece si incappa in sintomi atipici o d'esordio, presentazioni paucisintomatiche, bizzarre ed "eccentriche" rispetto al modello idealtipico, per usare il termine introdotto dal sociologo Max Weber.
La trappola della rappresentatività è più sottile perchè uno dei precetti della diagnostica differenziale va proprio in suo sostegno. Infatti di fronte ad un caso di incertezza tra più diagnosi la regola dell'aderenza al modello suggerisce di preferire la descrizione tipica che più somiglia alla situazione in esame; dato che la diagnosi si basa sulla possibilità di ricondurre i dati rilevati al modello più rappresentativo di una determinata categoria nosologica, nel singolo caso si propenderà per il "prototipo" di malattia a cui può essere assimilato il profilo del paziente. L'euristica della rappresentatività si converte in una bias quando funziona in negativo, nel senso che ostacola il riconoscimento di un caso atipico o anomalo, proprio perchè prevale l'immagine mentale dell'idealtipo clinico nel processo di riconoscimento a scapito delle presentazioni atipiche o sfumate.
Lo stesso fenomeno può accadere quindi anche nell'applicazione dei criteri di eleggibilità di un accertamento diagnostico, quando predomina il riferimento acritico al profilo medio ideale del paziente candidato all'esame in modo (apparentemente) appropriato, perchè aderente alle indicazioni schematiche delle Linee Guida, a prescindere dalla varietà delle storie di malattia e delle situazioni concrete. Come ha osservato Marco Bobbio "nessuno però è un persona media e il suo destino può discostarsi da quello più probabile" (Troppa Medicina, Einaudi, Torino 2017).
giovedì 23 febbraio 2017
Gastroscopie, inibitori di pompa e ingiunzioni paradossali
Tutti ricordano la teoria del "doppio legame", formulata negli anni settanta come tentativo di interpretazione della schizofrenia dallo psichiatra ed antropologo Gregory Bateson, studioso delle comunicazione umana. Il punto di partenza erano le ingiunzioni paradossali - del tipo "sii spontaneo" o "sii autonomo" - che secondo Bateson ponevano il soggetto in una posizione di indecedibilità e di paralisi decisionale, per il loro contenuto auto-contraddittorio. In MG capita di osservare simili dinamiche comunicative, ad esempio quando il depresso viene incitato dai parenti a reagire alla malattia o facendo appello ad uno sforzo di volontà per guarire in modo autonomo. Ebbene oggi si aggiunge una nuova formula al catalogo delle ingiunzioni paradossali, come vedremo più avanti.
Per l’anno 2017 Regione Lombardia ha indicato come obiettivi formativi per i MMG l’appropriatezza prescrittiva di Inibitpri di Pompa Protonica (IPP) e statine. L'ATS (ex ASL provinciale) ha avviato al riguardo una raccolta dati sull'utilizzo degli IPP, attingendoli da fonti essenzialmente amministrative e quindi a rischio di bias. Ad esempio per valutare l’appropriatezza degli IPP nella malattia da reflusso sono state considerate le diagnosi alla dimissione ospedaliera e/o dei referti endoscopici, senza tenere conto che la diagnosi di malattia da reflusso può essere anche solo clinica (in questo caso manca il riscontro amministrativo in quanto vi sarà solo una diagnosi nella cartella informatizzata del medico). Inoltre pur in presenza di un referto gastroscopico nei limiti della norma, ovvero senza segni di esofagite, è possibile porre diagnosi di MRGE, più precisamente di NERD.
Per una strana combinazione capita che, in contemporanea all'iniziativa della regione Lombardia, venga lanciato l'ennesimo allarme appropriatezza diagnostica, dopo quello dei radiologi di qualche mese fa, da parte degli endoscopisti digestivi:
http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=48095&fr=n
Si prescrivono troppe gastro- o colonscopie inappropriate, ammoniscono gli endoscopisti, sia su prenotazione telefonica per iniziativa autonoma dei pazienti (evenienza peraltro impossibile in Lombardia senza la richiesta del medico curante) sia richieste in modo inproprio dal MMG stesso. La soluzione escogitata dall'endoscopista è presto detta: una visita gastroenterologica per tutti, propedeutica all'esecuzione dell'esame, in quanto (sottinteso) il MMG è inidoneo a prescrivere correttamente l'endoscopia, poco importa se così si allungheranno a dismisura i tempi di attesa per la relativa consulenza specialistica.
Dunque, su questo argomento si profila un inedito fuoco incrociato all'indirizzo del generalista, impreparato e inappropriato, tipico bersaglio facile a mo' del proverbiale convoglio della Croce Rossa. Questa convergenza di critiche configura una classica ingiunzione paradossale:
Per l’anno 2017 Regione Lombardia ha indicato come obiettivi formativi per i MMG l’appropriatezza prescrittiva di Inibitpri di Pompa Protonica (IPP) e statine. L'ATS (ex ASL provinciale) ha avviato al riguardo una raccolta dati sull'utilizzo degli IPP, attingendoli da fonti essenzialmente amministrative e quindi a rischio di bias. Ad esempio per valutare l’appropriatezza degli IPP nella malattia da reflusso sono state considerate le diagnosi alla dimissione ospedaliera e/o dei referti endoscopici, senza tenere conto che la diagnosi di malattia da reflusso può essere anche solo clinica (in questo caso manca il riscontro amministrativo in quanto vi sarà solo una diagnosi nella cartella informatizzata del medico). Inoltre pur in presenza di un referto gastroscopico nei limiti della norma, ovvero senza segni di esofagite, è possibile porre diagnosi di MRGE, più precisamente di NERD.
Per una strana combinazione capita che, in contemporanea all'iniziativa della regione Lombardia, venga lanciato l'ennesimo allarme appropriatezza diagnostica, dopo quello dei radiologi di qualche mese fa, da parte degli endoscopisti digestivi:
http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=48095&fr=n
Si prescrivono troppe gastro- o colonscopie inappropriate, ammoniscono gli endoscopisti, sia su prenotazione telefonica per iniziativa autonoma dei pazienti (evenienza peraltro impossibile in Lombardia senza la richiesta del medico curante) sia richieste in modo inproprio dal MMG stesso. La soluzione escogitata dall'endoscopista è presto detta: una visita gastroenterologica per tutti, propedeutica all'esecuzione dell'esame, in quanto (sottinteso) il MMG è inidoneo a prescrivere correttamente l'endoscopia, poco importa se così si allungheranno a dismisura i tempi di attesa per la relativa consulenza specialistica.
Dunque, su questo argomento si profila un inedito fuoco incrociato all'indirizzo del generalista, impreparato e inappropriato, tipico bersaglio facile a mo' del proverbiale convoglio della Croce Rossa. Questa convergenza di critiche configura una classica ingiunzione paradossale:
- se il generalista prescrive un ciclo di farmaci, ad esempio un IPP test in caso di RGE, rischia l'accusa di inappropriatezza prescrittiva di farmaci mentre;
- se viceversa prescrive l'esame endoscopico, nel sospetto di un RGE/esofagite, ricade nel reato di inappropriatezza diagnostica.
sabato 18 febbraio 2017
Presa in carico, considerazioni epidemiologiche e valutazione clinica
Il
primo passo previsto dalla delibera della Regione Lombardia sulla "presa in carico" dei cronici è la qualificazione della
domanda di salute della popolazione, che viene articolata in 5
livelli, sulla base delle informazioni della Banca dati Assistito. Di questi 3 sono composti da
assisti affetti da una o piu delle 11 patologie croniche individuate,
per un totale di 2 milioni di assistiti: Insufficienza
respiratoria/ossigenoterapia, scompenso cardiaco, diabete tipo I e
tipo II, cardiopatia ischemica, BPCO, ipertensione arteriosa,
vasculopatia arteriosa, vasculopatia cerebrale, miocardiopatia
aritmica, insufficienza renale cronica. I tre Livelli sono individuati in relazione al numero
di patologie associate (il primo e il secondo) o singole (il terzo).
- Livello. Fragilità clinica e/o funzionale con bisogni prevalenti di tipo ospedaliero, residenziale, assistenziale a domicilio (150.000 assistiti lombardi con 3 o più patologie, ovvero il 4,5% della popolazione). Si tratta in genere di pochi assisti complessi e pluripatologici, che richiedono un complesso intervento di tipo socio-assistenziale, parallelo a quello medico-sanitario, che afferiscono quindi a strutture residenziali o sono seguiti in ADP dal MMG o in ADI multiprofessionale, come terminali o soggetti in stadio avanzati di demenza, ospiti di RSA, RSA aperta, centri integrati etc..
- Livello. Cronicità polipatologica con prevalenti bisogni extra- ospedalieri, ad alta richiesta di accessi ambulatoriali integrati/ frequent users e fragilità sociosanitarie di grado moderato (1.300.000 cittadini con due condizioni croniche per il 39%). In questa categoria si possono inserire gli assistiti polipatologici, generalmente geriatrici, seguiti sia in ambulatorio che in ADP, solitamente ben compensati, autosufficienti o in caso di disabilità assistiti a domicilio da badante e/o caregiver familiare. Il prototipo di questa categoria è il diabetico tipo II, iperteso e/o con complicanze cardio-vascolari (coronaropatia, vasculopatia cerebrale o periferica, neuropatia, retinopatia, nefropatia etc..).
- Livello. Cronicità in fase iniziale prevalentemente monopatologica e fragilità sociosanitarie in fase iniziale a richiesta medio-bassa di accessi ambulatoriali integrati e/o domiciliari /frequent users (1.900.000, il 56,5%). In questa categoria rientrerebbe la maggioranza dei cronici, geriatrici o non, “puri” (diabetici, ipertesi, BPCO, scompensati, vasculopatici etc..) che possono accedere autonomamente allo studio del MMG e che continueranno ad essere seguiti come accade ora dal proprio MMG “proattivo”, come recita la Delibera.
Per
quanto riguarda la categorizzazione nei
tre livelli di complessità crescente,
in funzione delle patologie associate e dei conseguenti bisogni
assistenziali, appare riduttivo i criterio puramente
statistico dell'associazione
tra patologie,
individuate nei
data base
amministrativi,
come
esenzioni per patologia, SDO, prescrizioni
farmaceutiche
etc.. Bisogna
anche
considerare
che le 11 patologie inserite
nella
delibera non esauriscono tutte le possibili comorbilità o
combinazioni
tra
condizioni croniche. Mancano all'appello patologie frequenti
(artropatie degenerative ed infiammatorie, neoplasie, disturbi
psichiatrici, gastroenterici, prostatici, ematologici etc..) che
spesso si associano ad una patologia
principale come diabete, ipertensione, IRC etc.. Per
di più la stragrande maggioranza dei diabetici sono ipertesi e così
pure gli assistiti affetti da coronaropatia, insufficienza renale
cronica, scompenso e/o fibrillazione atriale, arteriopatia sono quasi
sempre portatori
da una o più patologie croniche. Ciò fa ritenere che il livello I°
sia più numeroso di quanto ipotizzato dalla delibera, perlomeno
il doppio
del
4,5% dei lombardi.
L'associazione
statistica appare troppo schematica e deve quindi essere affiancata
da
una valutazione clinico-funzionale che
tenga conto dell'impatto di tutte le possibili comorbilità sul singolo. Le possibili varianti sono numerose; i casi più frequenti sono due e si riferiscono alle categorie estreme dello
spettro:
-
da una lato anche il soggetto portatore di una sola condizioni cronica, a cui si possono associare patologie non comprese nell'elenco della Delibera, può richiedere un numero elevato di contatti ambulatoriali o domiciliari, per una complessità assistenziale e una fragilità sociosanitaria di grado medio-alto;
-
dall'altro non è affatto detto che il portatore di tre condizioni croniche - come il "tipico" iperteso e/o diabetico con iniziale IRC, scompenso cardiaco o rivascolarizzazione miocardica - appartenga necessariamente alla classe 1 e debba essere seguito a domicilio o dai servizi in alternativa al MMG.
E'
frequente il caso del giovane diabetico tipo II, portatore di una o
più complicanze d'organo in fase iniziale come nefropatia o
arteriopatia, che svolge una normale vita lavorativa e di relazione ed accede normalmente all'ambulatorio del MMG.
In sostanza non è tanto la pura somma algebrica delle patologie a
determinare il grado di complessità clinica e di
fragilità, che deriva invece da una valutazione globale che
tiene conto dell'interazione tra le comorbilità e della situazione
complessiva.
martedì 14 febbraio 2017
Quali effetti pratici della Delibera sulla presa in carico dei "cronici"? (II°parte)
Con
la discesa in campo del gestore, previsto dalla delibera sulla “presa
in carico”, si affaccia sul territorio un nuovo soggetto
organizzativo, che si affianca al MMG e con il quale il generalista
dovrà fare i conti, nel caso in cui non siano gli stessi MMG
associati in cooperativa a proporsi come gestori del percorso.
Vediamo quindi di prospettare i possibili effetti della presenza di
un nuovo giocatore sugli equilibri organizzativi, professionali ed
assistenziali a livello territoriale. La delibera della regione
Lombardia dovrebbe favorire l'evoluzione del sistema di gestione dei
cronici da un modello “artigianale”, com'è stato fino ad ora
quello della MG (si veda il caso del Governo Clinico), ad un modello
più strutturato e complesso di matrice ospedaliera, che prevede il
trasferimento sul territorio della formula del DRG e delle logiche
aziendali alla gestione delle condizioni croniche.
Una
sfida per le stesse strutture ospedaliere, che non si sono mai
cimentate con i numeri imponenti dei cronici, e che pone anche non
pochi problemi alla MG: in particolare non deve essere sottovalutato
il rischio di una dicotomia o duplicazione tra gestore e MMG, qual'ora
i due ruoli non coincidano, se non di una emarginazione del secondo,
relegato ai margini del processo clinico, a vantaggio del primo.
L'assistito dovrà scegliere tra la formula familiare e “artigianale”
della MG e l'offerta, industriale e standardizzata, della struttura
accreditata sbarcata sul territorio.
Va
da sé che che
le organizzazioni private
aderiranno a condizione di
intravvedere
nella presa in carico
un consistente
interesse economico, come
contropartita dell'assunzione del
ruolo di gestore, tenuto
conto delle
gravose
incombenze
previste dalla delibera riguardo
alla popolazione dei cronici
(a
parte forse
l'occasione
per
attirare e
fidelizzare nuovi
“clienti” al fine di erogare altre prestazioni oltre a quelle
previste dal PAI).
Peraltro
dalla
Delibera non
si evince
se l'adesione alla presa in carico e al relativo patto/PAI
sia in qualche misura obbligatoria, al di là della scelta dei
gestore, mentre
in
diversi passaggi il Documento
ribadisce la cetralità della
libertà di scelta del paziente.
Ad esempio a pagina 5, circa al patto di cura e il PAI, si afferma che "solo il cittadino può dare l’avvio o concludere il percorso di presa in carico, eventualmente facendo richiesta motivata all’ATS per la sostituzione del proprio Gestore". Nel senso che nè il MMG né tanto meno il gestore lo possono fare a suo nome, ma anche che la presa in carico è una libera scelta volontaria, mentre solo dopo la sottoscrizione del patto di cura scatta per l'assistito l'obbligo formale di ottemperare alle prescrizioni previste dal PAI.
Ad esempio a pagina 5, circa al patto di cura e il PAI, si afferma che "solo il cittadino può dare l’avvio o concludere il percorso di presa in carico, eventualmente facendo richiesta motivata all’ATS per la sostituzione del proprio Gestore". Nel senso che nè il MMG né tanto meno il gestore lo possono fare a suo nome, ma anche che la presa in carico è una libera scelta volontaria, mentre solo dopo la sottoscrizione del patto di cura scatta per l'assistito l'obbligo formale di ottemperare alle prescrizioni previste dal PAI.
Infine
"la
nuova modalità di gestione non elimina la modalità tradizionale di
prescrizione ed erogazione delle prestazioni, ma vi si affianca"
e
quindi non la sostituisce.
Si
può immaginare
che buona parte degli
assistiti
autosufficienti, affetti
da
monopatologia o pluripatologie croniche, in caso di scelta opzionale
potrebbero
declinare
l'invito del
gestore ad aderire
al patto di cura, dato
che la Delibera affida il III° livello proprio al MMG. Specie
nelle località lontane dalla sede del gestore e dei punti di
erogazione delle prestazioni previste dal PAI i
cronici monopatologici potrebbero scegliere di mantenere
la relazione esclusiva con il MMG,
che
da sempre si
fa carico,
seppur in modo informale
ma globale,
di
gestire
la
salute dei propri assistiti (vedasi il post precedente).
La
presa in carico da parte di un gestire, diverso dal MMG associato,
potrebbe quindi sovrapporsi
sia
al generalista sia
ad altri servizi, come quelli specialistici che spesso hanno
già
in carico assistiti affetti da polipatologie croniche complesse. Mi
riferisco, ad esempio, ai diabetici di tipo I con pluricomplicanze
d'organo seguiti dai centri diabetologici, ai nefropatici nelle fasi
più avanzate di deficit
funzionale,
ai dializzati e ai trapiantati d'organo,
ai cardiopatici con grave scompenso etc.. In questi casi il rischio
di una duplicazione inappropriata
degli interventi e delle prestazioni non è da sottovalutare. Servirà
quindi
un
forte impulso al “case
management” da
parte del gestore per un efficace
raccordo con le professioni sanitarie, “in termini di
responsabilità clinica e di accompagnamento
del paziente in relazione alla complessità clinica e ai bisogni
assistenziali della classe di appartenenza”.
Un
analogo problema di coordinamento e integrazione delle prescrizioni
riguarderà i soggetti portatori di una condizione cronica prevalente
non compresa nell'elenco stilato dalla delibera (neoplastici in fase
di “cronicizzazione”, emopatici, epatopatici cronici, HIV,
pre-terminali etc..) che sono abitualmente seguiti dai relativi
servizi specialistici in collaborazione con il MMG. Questi assistiti
possono essere anche portatori di uno o più comorbilità croniche
previste dalla
presa in carico e quindi il rischio che vengano “sballottati” tra
i tre attori di cui sopra è elevato, con buona pace della riduzione
dell'inappropriatezza organizzativa. Non sarebbe
stato
più semplice ed
efficace
investire risorse nelle forme organizzative complesse sul territorio
e nella formazione degli operatori delle cure primarie, per
migliorarne
le capacità di integrazione e di coordinamento degli interventi
sanitari nei pazienti multiproblematici?
A
questo proposito il Piano Nazionale per la Cronicità (vedi allegato) dopo aver
rilevato i limiti dei PDTA nei pazienti pluripatologici complessi sottolinea la
centralità del concetto di medical generalism, in cui la
conoscenza della persona nel suo intero e dei suoi bisogni, la visione continua
degli eventi (non solo) sanitari del singolo soggetto - integrate con le
conoscenze basate sulle evidenze - determinano scelte più appropriate e
fattibili per il singolo paziente (evidence
based practice).
La
scelta di affiancare la presa in carico del gestore alla gestione
dell'assistito da parte del MMG – mi si perdoni il gioco di parole
– ha inevitabili riflessi sul monitoraggio degli indicatori di
processo e di esito delle patologie. Infatti si rischia una
duplicazione dei sistemi di gestione ed elaborazione dei dati clinici
che lavoreranno in parallelo, senza occasioni di confronto e
integrazione con intuibile pregiudizio per la qualità degli esiti:
da un lato il sistema informativo del gestore, che privilegia
l'aspetto amministrativo correlato all'esecuzione delle prestazioni
periodiche del PAI (numero e frequenza degli esami prescritti ed
eseguiti) e dall'altro la raccolta dati del MMG spiccatamente
clinica, relativa alla registrazione di parametri biologici (valori
di glicemia, glicata, creatinina, lipidi, stadiazioni cliniche, PA,
frequenza cardiaca, BMI, abitudini di vita etc..) e al loro raffronto
con le terapie croniche in atto (registrazione delle prescrizioni
farmacologiche) ai fini della valutazione degli indicatori di processo ed esito clinico.
Infine
non si può trascurare l'impatto
burocratico-amministrativo delle procedure previste, assai
impegnativo se si considerano i numeri delle coorti coinvolte, anche
superiori alle 500 unità per medico massimalista. L'impegno necessario per
la redazione del PAI e la sottoscrizione del patto di cura potrebbe
appesantire la gestione dell'ambulatorio, come dimostra l'esperienza
pratica dei CReG, specie per i generalisti singoli senza
collaboratori, e soprattutto andare a scapito dell'attività
clinico-assistenziale.
Analogamente anche il gestore, nel caso in cui non dovesse delegare la stesura del PAI al MMG, dovrà mettere nel conto un notevole impegno di mezzi e risorse umane per adempiere alle incombenze previste dalla Delibera, che non brilla certo per linearità e semplificazione procedurale. Si pensi, ad esempio, solo alla necessità di convocare ogni anno presso la sede del gestore, o recandosi al domicilio in caso di grave disabilità, tutti i candidati alla presa in carico per espletare le procedure necessarie ad avviare l'iter del processo di presa in carico (sottoscrizione del patto di cura, del PAI, del consenso al trattamento dei dati etc…). Non a caso la delibera prevede un compenso di “euro 25,00 per ciascun paziente la valorizzazione economica da riconoscere al MMG per la predisposizione del PAI”.
Analogamente anche il gestore, nel caso in cui non dovesse delegare la stesura del PAI al MMG, dovrà mettere nel conto un notevole impegno di mezzi e risorse umane per adempiere alle incombenze previste dalla Delibera, che non brilla certo per linearità e semplificazione procedurale. Si pensi, ad esempio, solo alla necessità di convocare ogni anno presso la sede del gestore, o recandosi al domicilio in caso di grave disabilità, tutti i candidati alla presa in carico per espletare le procedure necessarie ad avviare l'iter del processo di presa in carico (sottoscrizione del patto di cura, del PAI, del consenso al trattamento dei dati etc…). Non a caso la delibera prevede un compenso di “euro 25,00 per ciascun paziente la valorizzazione economica da riconoscere al MMG per la predisposizione del PAI”.
domenica 12 febbraio 2017
Commento e considerazioni sulla delibera lombarda per la "presa in carico" della cronicità (I° parte)
Il
concetto di presa in carico non è certo inedito per la MG, ma è
parte integrante e qualificante della pratica professionale sul
territorio. Già nel momento della scelta del medico di MG
l'assistito viene di fatto preso in carico dal generalista, l'unico
che può assicurare la continuità dell'assistenza primaria, spesso
per decenni. La presa in carico del MMG non è un atto isolato ma
equivale all'inizio di una relazione fiduciaria e personalizzata con
ogni assistito, e a maggiora ragione con i portatori di una o più
condizioni croniche, e ha una doppia valenza “orizzontale”:
-
prima di tutto il generalista si incarica di assistere ogni nuovo iscritto in modo trasversale, globale e a 360 gradi, cioè come persona nella sua interezza bio-psico-sociale e culturale, a prescindere dalla dimensione specialistica, integrando le problematiche cliniche e le patologie d'organo o apparato in una visione non settoriale, interattiva, sistemica e multidimensionale;
-
nella seconda accezione la presa in carico “orizzontale” è connotata in senso temporale, vale a dire nella continuità della gestione sul lungo periodo delle vicende fisio-patologiche che contraddistinguono il ciclo di vita dell'individuo, favorendo l'adattamento del soggetto alle vicissitudini del percorso biologico e psico-sociale individuale e familiare.
La
presa in carico, nel senso “olistico”
e longitudinale sopra delineato, viene da sempre attuata dalle cure
primarie, a differenza dell'approccio
verticale ed
episodico
della tecnomedicina specialistica,
e
si concretizza in una stabile relazione medico-assistito, nella
continuità delle cure, nella personalizzazione dell'approccio
clinico, nella proattività comunicativa ed educativa, nella raccolta delle informazioni anamnestiche familiari e
personali, nella compilazione e aggiornamento continuo della scheda
sanitaria e nella tenuta del diario clinico, atti indispensabili e
qualificanti per seguire accuratamente l'evoluzione della storia
individuale.
Questo modello gestionale è la premessa e la conditio sine qua non per assicurare un'efficace ed appropriata gestione clinica e del rapporto con assistiti affetti da una o più condizioni croniche, che si distinguono per il lungo decorso temporale e per la multimorbilità, che fa di ogni “cronico” un caso unico e a sé. La proattività è connaturata nelle pratiche dell'assistenza primaria verso i cronici, nel significato che ne da la psicologia organizzativa: una modalità anticipatoria, orientata al cambiamento e all'auto-iniziativa, per agire in anticipo rispetto ad una situazione futura piuttosto che reagire, per prendere il controllo e far accadere le cose piuttosto che adattarsi a una situazione o attendere che qualcosa accada.
Questo modello gestionale è la premessa e la conditio sine qua non per assicurare un'efficace ed appropriata gestione clinica e del rapporto con assistiti affetti da una o più condizioni croniche, che si distinguono per il lungo decorso temporale e per la multimorbilità, che fa di ogni “cronico” un caso unico e a sé. La proattività è connaturata nelle pratiche dell'assistenza primaria verso i cronici, nel significato che ne da la psicologia organizzativa: una modalità anticipatoria, orientata al cambiamento e all'auto-iniziativa, per agire in anticipo rispetto ad una situazione futura piuttosto che reagire, per prendere il controllo e far accadere le cose piuttosto che adattarsi a una situazione o attendere che qualcosa accada.
La
naturale “vocazione” della MG alla presa in carico globale e proattiva si
realizza da sempre in modo informale ma sostanziale, con
l'adattamento delle modalità organizzative dell'assistenza al
contesto epidemiologico, con una medicina d'iniziativa che tiene conto delle vicende personali del singolo paziente e del suo nucleo
familiare. Insomma è iscritta da
sempre
nel codice genetico della MG la
vocazione e
l'attitudine a
“mettersi
a
“fianco” del paziente, accompagnandolo ed indirizzandolo, in una
logica di
unica
responsabilità di presa in carico rispetto ad una molteplicità
di attività e servizi”. Da
sempre una certo modello di MG si
fa
carico programmaticamente di questo compito, in sintonia con le linee guida generali del Piano Nazionale della Cronicita (si veda il PS) mentre chi non lo assolve con tale spirito si
auto-condanna alla residualità.
Ciò
vale ancor di più per l'assistenza ai portatori di una o più
condizioni croniche, che sono oggetto dei Percorsi
Diagnostico-Terapeutici ed Assistenziali ormai diffusi in ogni
azienda sanitaria locale. Fino ad ora i PDTA sono stati applicati
informalmente, adattandoli alle varie situazioni ed ai diversi
decorsi grazie all'atteggiamento proattivo del MMG. Le indicazioni generali dei
PDTA non sono valide e applicate in modo standardizzato ad ogni
assistito, ma vanno interpretate e personalizzate in relazione alle
condizioni contingenti e all'evoluzione funzionale della patologa.
Il PDTA fornisce una gamma di scenari clinici e decisionali che non possono essere applicati a priori a tutti i pazienti, ma rappresentano delle cornici decisionali a cui fare riferimento per affrontare la variabilità individuale e del decorso della patologia, in risposta e complicanze, comorbilità intercorrenti, sovrapposizioni di altre patologie, instabilità clinica, variazioni fisiologiche etc.. La presa in carico non quindi è un'azione puntiforme, che si esaurisce con la definizione a priori di un pacchetto di prestazioni ad hoc, ma un processo continuo di reciproco adattamento e co-evoluzione tra medico e assistito, per prevenire complicanze e ridurre l'impatto della patologia sulla vita.
Il PDTA fornisce una gamma di scenari clinici e decisionali che non possono essere applicati a priori a tutti i pazienti, ma rappresentano delle cornici decisionali a cui fare riferimento per affrontare la variabilità individuale e del decorso della patologia, in risposta e complicanze, comorbilità intercorrenti, sovrapposizioni di altre patologie, instabilità clinica, variazioni fisiologiche etc.. La presa in carico non quindi è un'azione puntiforme, che si esaurisce con la definizione a priori di un pacchetto di prestazioni ad hoc, ma un processo continuo di reciproco adattamento e co-evoluzione tra medico e assistito, per prevenire complicanze e ridurre l'impatto della patologia sulla vita.
L'esempio
paradigmatico è quello del diabete mellito tipo II scompensato, ad
esempio come conseguenza di un'infezione: a seguito di episodio
acuto, dall'influenza alla pielite, può essere necessaria
l'intensificazione della terapia, ad esempio introducendo
l'insulinica, e del monitoraggio clinico-laboratoristico per alcune
settimane o mesi, fino al recupero dell'equilibrio metabolico,
eventualmente ricorrendo anche alla consulenza specialistica o al
momentaneo passaggio in cura presso il centro diabetologico. La presa
in carico consiste in un atto prescrittivo isolato a priori, ma è percorso di adattamento e personalizzazione delle cure, in particolare per quanto riguarda i suggerimenti
comportamentali ed educazionali, gli stili e le abitudini di vita, le prescrizioni di accertamenti e
di terapie, segnatamente farmacologiche etc.
Grazie
all'applicazione flessibile e proattiva dei PDTA è stato possibile documentare quantità e qualità degli interventi
clinici attuati dai medici di MG che hanno aderito, a partire dal
2005, al progetto di Governo Clinico delle patologie croniche
dell'ATS (ex ASL) di Brescia, a cui partecipa stabilmente oltre l'80%
dei circa 700 generalisti della provincia ( https://www.ats-brescia.it/bin/index.php?id=317 ). Questi risultati sono
stati raggiunti in modo informale, senza la necessità di particolari
incombenze burocratiche, semplicemente applicando in modo
personalizzato i PDTA e registrando sistematicamente le informazioni
generate durante la quotidiana attività assistenziale; il processo
avviato una dozzina di anni fa ha consentito di raccogliere, in modo
coordinato e collettivo, una notevole mole di dati sull'evoluzione
delle coorti di pazienti cronici, esempio unico del suo genere nel
panorama sanitario nazionale.
Infine per quanto riguarda la categorizzazione dei cronici in tre livelli di complessità in funzione delle patologie associate e dei conseguenti bisogni assistenziali, appare riduttivo i criterio dell'abbinamento di 2 o più patologie, individuate con metodi statistici e non con una valutazione clinico-funzionale globale. Nella pratica anche il soggetto portatore di una singola condizione cronica, a cui si associano altre condizioni non comprese nell'elenco delle 11 patologie previste dalla Delibera, può richiedere un numero elevato di accessi ambulatoriali o domiciliari, per una complessità e una condizione di fragilità sociosanitaria di grado medio-alto. Ma soprattutto non è affatto detto che il portatore di tre condizioni croniche - come il "tipico" iperteso, diabetico tipo II con iniziale IRC o scompenso cardiaco/rivascolarizzazione miocardica - appartenga necessariamente alla classe 1 o debba essere seguito a domicilio.
Infine per quanto riguarda la categorizzazione dei cronici in tre livelli di complessità in funzione delle patologie associate e dei conseguenti bisogni assistenziali, appare riduttivo i criterio dell'abbinamento di 2 o più patologie, individuate con metodi statistici e non con una valutazione clinico-funzionale globale. Nella pratica anche il soggetto portatore di una singola condizione cronica, a cui si associano altre condizioni non comprese nell'elenco delle 11 patologie previste dalla Delibera, può richiedere un numero elevato di accessi ambulatoriali o domiciliari, per una complessità e una condizione di fragilità sociosanitaria di grado medio-alto. Ma soprattutto non è affatto detto che il portatore di tre condizioni croniche - come il "tipico" iperteso, diabetico tipo II con iniziale IRC o scompenso cardiaco/rivascolarizzazione miocardica - appartenga necessariamente alla classe 1 o debba essere seguito a domicilio.
COMMENTO
E CONCLUSIONI. Il documento sulla presa in carico
propone un obiettivo programmatico: superare la logica della mera razionalizzazione e regolamentazione dell'offerta verso una maggiore
proattività dei servizi integrati nel percorso di presa in carico e
gestione della cronicità, nel senso della medicina di iniziativa.
Questa esigenza presuppone una rappresentazione rigida della
relazione tra domanda ed offerta in sanità, tipica della prospettiva
ospedaliera, per cui l'offerta “risponde” in modo specifico e
specializzato ad una domanda, dopo averla filtrata e codificata,
secondo schemi standard e routine organizzative. In realtà sul
territorio la relazione domanda-offerta di prestazioni è da sempre
più dinamica, interattiva e sfaccettata.
Così l'assisto può
indurre direttamente una prestazione con una richiesta esplicita di
accertamenti a prescindere da un disturbo (la tipica esigenza di
“fare tutti gli esami”) e così pure il medico, indipenden-temente
dalla domanda esplicita o da un disturbo lamentato dall'assistito,
può proporre e prescrivere accertamenti in presenza di una
condizione di rischio o di una patologia cronica conclamata (i
follow-up periodici previsti dai PDTA), ad esempio durante una visita
ambulatoriale per una certificazione od in occasione di una
prescrizione ripetitiva di farmaci. Questa diversa configurazione
della dinamica tra domanda ed offerta caratterizza da sempre le cure
primarie ed è il presupposto della medicina di iniziativa ed
opportunità e della puntuale applicazione proattiva dei PDTA in MG.
Piano Nazionale per la Cronicità: ELEMENTI COMUNI AI MODELLI REGIONALI PER LA PRESA IN CARICO DEI SOGGETTI CRONICI
1)La necessità di superare la frammentazione dell’assistenza sanitaria nel territorio. Da questo punto di vista, uno degli aspetti su cui ricercatori, operatori e decisori nel settore della sanità hanno posto molta attenzione nel corso degli ultimi anni è la continuità dell’assistenza, che permette una risposta adeguata, in termini di efficacia dell’assistenza, efficienza gestionale e appropriatezza, soprattutto per il trattamento di tutti quei pazienti affetti da patologie in cui la presenza di situazioni di comorbilità, fragilità e non autosufficienza richiede l’adozione di un approccio integrato e multidisciplinare.
2) L’adozione di modalità operative per favorire il passaggio da un’assistenza “reattiva” a un’assistenza “proattiva” da parte della medicina generale, quale modalità operativa in cui le consuete attività cliniche ed assistenziali sono integrate e rafforzate da interventi programmati di follow-up sulla base del percorso previsto per una determinata patologia.
3) Una assistenza basata sulla popolazione, sulla stratificazione del rischio e su differenti livelli di intensità assistenziale, riprendendo anche le indicazioni sulla caratterizzazione delle cure che sono alla base dei flussi dell’assistenza territoriale e, ove utilizzabili, dell’assistenza socio-assistenziale
4) Il riconoscimento che l’assistenza primaria rappresenta il punto centrale (hub) dei processi assistenziali con forti collegamenti con il resto del sistema, con un ruolo cardine svolto dal distretto. Il distretto rappresenta l’ambito ove si valuta il fabbisogno e la domanda di salute della popolazione di riferimento rilevata dai professionisti, e riveste un ruolo di tutela e programmazione. Importante è che ci sia un ruolo di governance, intesa come cornice organizzativa e gestionale, chiaro ed esplicito, sia a livello regionale che aziendale.
5) Una maggiore caratterizzazione e definizione delle funzioni delle diverse figure professionali, mediche e non, a partire dalla figura centrale del Medico di medicina generale (MMG).
6) La possibilità di definire sedi fisiche di prossimità sul territorio per l’accesso e l’erogazione dei servizi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali rivolti alla popolazione di pazienti cronici.
7) La presenza di sistemi informativi evoluti in grado di leggere i percorsi diagnostico terapeutici
assistenziali (PDTA) al fine di monitorare e valutare l’assistenza erogata al paziente cronico.
8) L’utilizzo di linee guida in grado di tener conto della comorbilità e della complessità assistenziale. Risulta fondamentale, infatti: integrare le linee guida basate sull’evidenza con le attività cliniche quotidiane; condividere le linee guida basate sull’evidenza e le informazioni con i pazienti per incoraggiare la loro partecipazione; utilizzare metodi di insegnamento efficaci.
9) L’integrazione socio-sanitaria e team multiprofessionali che puntano al miglioramento continuo,
mediante integrazione tra MMG, infermieri, specialisti, altre professioni sanitarie e sociali in grado di
prendersi carico di gruppi di popolazione e di garantire loro una continuità assistenziale integrata. Ciò
comporta una diversa organizzazione della medicina generale, basata su modelli che privilegiano l’attività in associazione (Aggregazioni Funzionali Territoriali – AFT – e Unità Complesse di Cure Primarie – UCCP – come previste dalla Legge n.189 del 2012 e dal Patto per la Salute 2014-2016);
10) L’investimento su auto-gestione ed empowerment in modo da aiutare i pazienti e le loro famiglie ad acquisire abilità e fiducia nella gestione della malattia, procurando gli strumenti necessari e valutando regolarmente i risultati e i problemi. Le evidenze scientifiche dimostrano che i malati cronici, quando ricevono un trattamento integrato e un supporto al self-management e al follow-up, migliorano e ricorrono meno all’assistenza ospedaliera.
11) L’uniformità ed equità di assistenza ai cittadini. Il punto è di particolare rilievo in quanto i diversi modelli organizzativi regionali dovrebbero tenere conto della difficoltà di accesso alle cure da parte dei cittadini. Si tratta di un sistema in evoluzione che richiede una forte integrazione tra i diversi setting assistenziali.
giovedì 9 febbraio 2017
La Delibera lombarda sulla presa in carico della cronicità in pillole
Tre
sono i pilastri della delibera della Regione Lombardia sulla “presa
in carico” della cronicità (N. 6164 del 30 gennaio 2017: https://reteunire.wordpress.com/2017/01/31/la-delibera-della-regione-lombardia-sulla-presa-in-carico-della-cronicita/ ) che prosegue e supera la sperimentazione dei CReG:
-
stratificazione della popolazione in base ai bisogni di salute e all'intensità di cura
-
ruolo e compiti del gestore e del MMG
-
patto di cura con l'assistito e piano assistenziale individuale (PAI)
1-Individuazione
della popolazione target, criteri e procedure della stratificazione
Il
primo passo previsto dalla delibera è la qualificazione della
domanda di salute della popolazione, che viene articolata in 5
livelli, compito affidato all'ATS sulla base delle informazioni
aggregate della Banca dati Assistito. Di questi 3 sono composti da
assisti affetti da una o piu delle 11 patologie croniche individuate,
per un totale di 2 milioni di assistiti: Insufficienza
respiratoria/ossigenoterapia, scompenso cardiaco, diabete tipo I e
tipo II, cardiopatia ischemica, BPCO, ipertensione arteriosa,
vasculopatia arteriosa, vasculopatia cerebrale, miocardiopatia
aritmica, insufficienza renale cronica. Vediamo in dettaglio questi
livelli di stratificazione, comprendenti le coorti dei pazienti
cronici di pertinenza del MMG, cercando di quantificare la
popolazione interessata sulla base dell'esperienza pratica.
*Livello
1. Fragilità clinica e/o funzionale con bisogni
prevalenti di tipo ospedaliero, residenziale, assistenziale a
domicilio (150000 assistiti). Si tratta in genere di
pochi assisti complessi e pluripatologici, che richiedono un
complesso intervento di tipo socio-assistenziale, parallelo a quello
medico-sanitario, che afferiscono quindi a strutture residenziali o
sono seguiti in ADI multiprofessionale, come terminali o soggetti in
stadio avanzati di demenza, ospiti di RSA, RSA aperta, centri
integrati etc..
*Livello
2. Cronicità
polipatologica con prevalenti bisogni extra- ospedalieri, ad alta
richiesta di accessi ambulatoriali integrati/ frequent users e
fragilità sociosanitarie di grado moderato (1.300.000
cittadini).
In questa categoria si possono inserire gli assistiti polipatologici,
generalmente geriatrici,
ad intensità
socio-assistenziale
medio-alta, seguiti sia
in
ambulatorio (un
centinaio circa)
che
in ADP (10-20 per massimalista) con una frequenza di accessi del MMG
da mensile a settimanale, solitamente ben
compensati,
autosufficienti
o in caso di disabilità
assistiti
a domicilio da badante e/o caregiver familiare. Il prototipo di
questa
categoria
è il diabetico tipo II,
iperteso
e/o con
complicanze cardio-vascolari (coronaropatia, vasculopatia cerebrale o
periferica, neuropatia, retinopatia, nefropatia etc..). In questo
gruppo il bisogno è sia sul versante socio-assistenziale (assistiti
in ADP con importante disabilità) che medico-sanitario:
si tratta di un'ampia gamma di assistiti che sporadicamente accedono
alle strutture ospedaliere per esami e controlli
specialistici (in genere per gli esami di
laboratorio, ad esempio in caso di TAO,
basta il prelievo domiciliare). Alcuni
di questi
pazienti a
causa delle difficoltà di spostamento potrebbero
beneficiare di accessi domiciliari da parte di specialisti, che
nell'attuale
assetto organizzativo
non sono troppo agevoli, o
di periodici follow-up presso strutture ospedaliere per eseguire
pacchetti di prestazioni previste dal PAI.
Per
questa categoria è prevista la presa in carico sia da parte della MG
che delle strutture
sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private accreditate.
*Livello
3. Cronicità in fase iniziale prevalentemente
monopatologica e fragilità sociosanitarie in fase iniziale a
richiesta medio-bassa di accessi ambulatoriali integrati e/o
domiciliari /frequent users (1.900.000). In questa
categoria rientra la stragrande maggioranza dei cronici, geriatrici o
non, autonomi (diabetici, ipertesi, BPCO, scompensati, vasculopatici
etc.. per un totale 4-500 assistiti per MMG) che possono accedere
autonomamente allo studio del MMG e che continueranno ad essere
seguiti come accade ora, con il riferimento delle buone pratiche dei
PDTA e con iniziative di Governo Clinico come quelle dell'ATS di
Brescia. Grazie alla presa in carico potranno eseguire in un sol
giorno alcuni pacchetti di accertamenti previsti dal PAI (ad esempio
esami ematici+ECG+FO in caso di diabete tipo 2) che ora devono
prenotare singolarmente e portare a termine in diverse sedute. Ma al
di fuori di questi follow-up periodici, continueranno ad accedere la
proprio MMG per la prescrizione dei farmaci, i controlli clinici
periodici, il monitoraggio delle terapie e il loro aggiustamento, la
gestione delle eventuali complicanze, co-morbilità, scompensi
momentanei o riacutizzazioni etc… Il terzo livello viene
elettivamente affidato al territorio, ovvero al MMG “proattivo”,
come recita la Delibera.
2-Compiti
e ruolo del Gestore della presa in carico e del MMG
Il
nuovo modello organizzativo individua nel ‘gestore’ il
responsabile della presa in carico, oltre a definire nuove modalità
di remunerazione dell’intero percorso, alternative al tradizionale
pagamento a singola prestazione occasionale.
Ruolo
e funzioni dei Gestori
I
soggetti responsabili della presa in carico dovranno essere
accreditati e/o a contratto per garantire, in funzione dei livelli di
stratificazione della domanda, le seguenti funzioni:
-
Sottoscrizione del patto di cura con il paziente previa definizione del piano di assistenza individuale (PAI) comprensivo di tutte le prescrizioni necessarie al percorso;
-
Coordinamento e attivazione dei nodi della rete erogativa dei servizi sanitari e sociosanitari,tenuto conto dei bisogni individuali;
-
Erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie per i diversi livelli essenziali di assistenza,direttamente o tramite partner di rete accreditati e/o a contratto;
-
Monitoraggio dell’aderenza al percorso, anche attraverso la prenotazione delle prestazioni e il coordinamento dei diversi partner di rete, per assicurare le prestazioni/servizi previste nel PAI, anche in telemedicina;
-
Case management, sia in termini di responsabilità clinica che di accompagnamento del paziente, rispetto ai bisogni assistenziali e alla complessità clinica della classe di appartenenza;
-
Assicurare al cittadino un’ampia gamma di punti di offerta, per garantire la libertà di scelta in relazione alle attività previste dal PAI.
In
sintesi il gestore coordina tutto il percorso gestionale della
condizione cronica, che inizia con l'arruolamento e la formalizzazione della presa in carico (PAI e
patto di cura) e si concretizza con l'attivazione della rete degli
erogatori, la fornitura delle prestazioni, la verifica dell'aderenza
alle varie tappe del percorso da parte del soggetto “arruolato” e il monitoraggio degli indicatori di processo/esito.
La presa in carico dovrebbe favorire l'evoluzione del sistema da una logica a «silos» a una logica di «processo integrato», in cui i modelli di erogazione e finanziamento devono ridurre l’inappropriatezza clinica ed organizzativa grazie al rimborso non della singola prestazione ma di una tariffa onnicomprensiva relativa ad un set predefinito di prestazioni e servizi previsti dal PAI.
I Soggetti Gestori della presa in carico dovranno essere selezionati dalle ATS sulla base di specifici requisiti di idoneità stabiliti dalla Giunta Regionale, dovranno adeguarsi al livello di domanda e alla natura prevalente del bisogno sanitario e/o sociosanitario, in modo da garantire il percorso di presa in cura.
Patto di Cura e Piano Assistenziale Individuale
Il Patto di cura, con cui gestore e paziente condividono l’avvio e le modalità della nuova presa in carico, è uno strumento:
I Soggetti Gestori della presa in carico dovranno essere selezionati dalle ATS sulla base di specifici requisiti di idoneità stabiliti dalla Giunta Regionale, dovranno adeguarsi al livello di domanda e alla natura prevalente del bisogno sanitario e/o sociosanitario, in modo da garantire il percorso di presa in cura.
Patto di Cura e Piano Assistenziale Individuale
Il Patto di cura, con cui gestore e paziente condividono l’avvio e le modalità della nuova presa in carico, è uno strumento:
- organizzativo di pianificazione di interventi personalizzati;
- di comunicazione e coordinamento tra tutti coloro che intervengono, a vario titolo, nel percorso di cura all’interno della rete d’offerta (MMG, specialisti, servizi sociali, ecc.);
- di empowerment del paziente, di monitoraggio e verifica dell’appropriatezza.
Per quanto riguarda il patto di cura e il PAI "solo il cittadino può dare l’avvio o concludere il percorso di
presa in carico, eventualmente facendo richiesta motivata all’ATS per la sostituzione del proprio Gestore" nello spirito della libertà di scelta, mentre la nuova modalità di gestione non elimina la modalità tradizionale di prescrizione ed erogazione delle prestazioni, ma vi si affianca.
Il
ruolo del MMG
Rimane
il professionista
di riferimento del paziente cronico
nell'ambito
delle
funzioni previste dalla convenzione nazionale:
- Può essere il gestore diretto della presa in carico (il terzo livello, ferma restando la libertà di scelta del cittadino, è riservato in via preferenziale ai MMG in forma associata, che possono anche candidarsi per gli altri livelli);
- Può avere un ruolo di raccordo con gli altri titolari della presa in carico del paziente (prevalentemente per i livelli 1 e 2) prendendo atto, condividendo e integrando le informazioni presenti nel PAI, potendo bene-ficiare, in quest’ultimo caso, di un eventuale remunerazione in accordo con i singoli gestori. Nel caso la persona necessiti di ulteriori prescrizioni non ricomprese nel PAI, queste dovranno essere condivise tra il MMG e il Gestore.
Tappe
del processo di arruolamento e di presa in carico
-
Valutazione del paziente da parte del gestore per l'idoneità (in caso di inidoneità invio alla commissione di valutazione ATS)
-
Arruolamento in carico al gestore
-
Sottoscrizione del patto di cura
-
Predisposizione del PAI in carico al gestore con pubblicazione sul FSE
-
Registrazione dell'arruolamento
Organizzazione
del percorso di cura in capo al gestore
- Gestione AMMINISTRATIVA: accesso gratuito alle prestazioni, supporto alle richieste del paziente e dei care-giver, gestione dell'agenda sanitaria
-
Gestione CLINICA: erogazione delle prestazioni previste dal PAI, supposto ai servizi di telemedicina e fornitura di presidi a domicilio, visite di follow-up (ridefinizione eventuali problematiche cliniche, modifiche/conferma del PAI, presa in carico da parte di altro nodo della rete ed invio ad altro percorso)
-
MONITORAGGIO: indicatori di processo e indicatori di esito.