Il disagio professionale dei Mmg, rispetto alla fine del secolo scorso ( http://dottorbelleri.files.wordpress.com/2014/08/simg-7_1998-il-disagio-del-mmg0003.pdf ), si è acuito ed ha assunto nuovi connotati e manifestazioni, correlate ad un coacervo di concause e fattori determinanti. Prima di tutto è cambiato il luogo in cui si esprime il malessere della categoria. In passato il disagio emergeva qua e la nelle rubriche delle lettere inviate dai lettori alle riviste di area medica, che segnalavano situazioni critiche e problemi di valenza collettiva, spesso dai risvolti sindacali.
Nel nuovo secolo il malessere si è espresso più che altro per via telematica e con modalità più personalizzate ed informali: dapprima sono state le neonate Mailing List (ML) locali e nazionali della categoria ad ospitare sfoghi e lamentele, tanto da essere soprannominate “muri del pianto”. Con lo sviluppo dei Social Network il muro del pianto si è trasferito su FaceBook (FB), dove sono proliferati i gruppi di ispirazione professionale frequentati in prevalenza da giovani colleghi in formazione o da poco entrati in convenzione. Lo strumento telematico ha facilitato l’esposizione di casi clinici, incidenti e criticità di varia natura, con maggiore spontaneità ed immediatezza, favorendo l’interattività cioè scambi di opinioni e dialoghi informali tra colleghi quasi in tempo reale.
Il ricambio generazionale
All’evoluzione degli strumenti di esternazione del clima di disagio collettivo corrisponde un lento ricambio generazionale, che vede i Mmg del baby boom (classi d’età dal 1946 al 1964) avviarsi gradualmente verso il pensionamento per essere sostituiti dai nuovi Mmg della generazione cresciuta nelle scuole di formazione ed ora in fase di progressivo accesso alla medicina convenzionata.
Ecco quindi una schematica analisi psico-sociale ed organizzativa, in una sorta di passaggio di consegne del malessere della categoria, come emerge dalla variegata casistica dei Social:
• la medicina è sempre più tecnologica ed iper-specialistica e quindi spiazza le cure primarie, sia per le obiettive difficoltà a tenere il passo delle innovazioni sia perché il Mmg è per sua natura un medico a basso tasso tecnologico, abituato a coltivare la relazione e più vicino al mondo della vita degli assistiti che non alla tecnologia biomedica; la MG per sua natura occupa una posizione di confine, un po’ indefinita e ambigua, tra salute e malattia, fisiologia e patologia, sistema sociale ed organizzazione sanitaria;
• si è ipertrofizzato, per via del riassetto istituzionale del sistema, il ruolo dei servizi di urgenza-emergenza in un modo che 15-20 anni fa era inimmaginabile, per cui ogni situazione acuta o potenzialmente tale non può che finire presto o tardi in PS, laddove l’offerta di tecnologia ospedaliera è pronta, varia e facilmente accessibile; inoltre non esiste praticamente la possibilità di accedere al ricovero con la sola richiesta del Mmg, se non dopo aver superato il severo filtro del PS, con uno spostamento dell’asse decisionale a sfavore della Medicina Generale. Si accentuano così i fenomeni di by-pass delle cure primarie. Il Mmg vive tutto ciò come un’implicita squalifica del proprio ruolo professionale che segna il definitivo declino della funzione di gate-keeper del sistema attribuito in passato alle cure primarie;
• sul versante delle terapie la MG soffre di una doppia concorrenza. Da un lato l’introduzione di farmaci frutto di ricerche biotecnologiche e rivolti a nicchie di patologie sposta in sede nosocomiale la prescrizione e la gestione delle terapie croniche a maggiore impatto clinico ed economico, emarginando di fatto le cure primarie. Dall’altro la multiforme fenomenologia di disturbi o veri stati patologici orfani spesso di una diagnosi e di cure “ufficiali”, di dimostrata efficacia, è soddisfatta dalla variegata offerta delle medicine non convenzionali sul territorio, in implicita concorrenza con la MG;
•sul fronte delle prescrizioni diagnostiche il MMG deve vedersela con altre due tendenze divergenti: da un lato il sistema, sul modello della Note AIFA per i farmaci degli anni novanta, ha iniziato a sfornato note per l'appropriatezza prescrittiva diagnostica, prima a livello regionale e poi nazionale con i nuovi LEA, mentre dall'altro sono emersi nuovi soggetti induttori di indagini diagnostiche accanto agli specialisti delle varie branche, spesso renitenti all'uso del ricettario del SSN, ovvero professionisti sanitari paramedici, dagli osteopati ai fisioterapisti, dai nutrizionisti ai farmacisti etc.;
• a complicare il quadro si aggiunge la tendenza all’individualismo della categoria (divide et impera), che in certi contesti genera un'abnorme concorrenza tra professionisti delle cure primarie, alimentata dal ricatto della scelta-revoca; infine pesa il ritardo nella diffusione di forme associative strutturate, per non parlare della decennale vacanza dell'ACN e di una riforma come la Balduzzi, al palo da più di un lustro a fronte di iniziative disomogenee e disordinate delle regioni, talune nel segno di una potenziale emarginazione delle cure primarie dalla gestione della cronicità.
La diffusione dell’informazione via web ha attenuato la tradizionale asimmetria informativa tra medico e paziente, pilastro di una medicina paternalistica; assistiti sempre più informati diventano pazienti ‘istruiti’ e spesso ‘esigenti’, che trovano nel Mmg un interlocutore a cui imporre il proprio punto di vista, magari spalleggiati da autorevoli specialisti di riferimento. In certi casi l’accesso alla rete sortisce un’inedita asimmetria relazionale a favore dell’assistito, specie quello affetto da malattia rara che, per esperienza diretta ed adesione a reti di auto-aiuto sui social, finisce per essere più informato, esperto e ‘competente’ del medico curante.
Il successo della tecnomedicina iperspecialistica ospedaliera sulle patologie acute si traduce uno speculare incremento delle forme croniche, la cui domanda di presa in carico, gestione sul lungo periodo ed assistenza continuativa ed integrata non può essere soddisfatta dall’ospedale, ma viene solo parzialmente intercettata dalla medicina di primo livello, poco organizzata, poco propensa ad aderire a forme associative ben organizzate ed orientata più verso l’offerta di cure episodiche.
Il combinato disposto di questi determinanti ha prodotto un aumento dei contrasti e degli "incidenti" con alcuni assistiti, esigenti e pretenziosi, ed una sorta di accerchiamento professionale da parte di altri attori. Nei sistemi organizzativi strutturati gerarchicamente chi occupa posizioni intermedie è nell'incomoda posizione di doversi guardare sia dalle insidie provenienti dall'alto (i vincoli normativi, le regole burocratiche e il difficile rapporto con le Aziende Sanitarie) sia da chi dal basso preme per allargare spazi d'azione professionale o affermare i propri diritti, (http://curprim.blogspot.it/2017/04/dopo-linternista-scende-in-campo.html). Insomma il MMG si trova così tra due fuochi e nell'ambiguo ruolo del servitore di due padroni.
Riforme e stereotipi
La svolta manageriale, impressa all’organizzazione sanitaria dalle ultime riforme, ha avuto effetti divergenti, ma paradossalmente sinergici sulla medicina del territorio: da un lato ha ridotto l’autonomia professionale e la discrezionalità decisionale dei medici mentre dall’altro ha promosso il cosiddetto ‘consumerismo’, che ha trasformato il paziente in ‘consumatore’ di servizi e prestazioni sanitarie da richiedere a proprio piacimento alla medicina di I° livello, secondo il modello "sanità da supermarket". Per giunta il processo di digitalizzazione e dematerializzazione che investe il mondo sanitario contribuisce a creare disagio e frustrazione per il frequente malfunzionamento dei programmi e dei collegamenti telematici, che intralciano la continuità dell’attività assistenziale e distolgono spesso il medico dai compiti clinici.
Nonostante l’ultra ventennale esperienza di formazione specifica post laurea l’immagine sociale del Mmg rimane ancorata allo stereotipo del ‘medico generico della mutua’, a fronte di una pervasività dell’evoluzione in senso tecno-specialistico del sistema che, di per sé, rappresenta un fattore di squalifica della MG, a cui si aggiunge la variegata gamma di ‘incidenti’ con altri attori del sistema, alimentata dall’immagine pubblica di un medico ‘di base’ poco qualificato, marginale e in buona sostanza inaffidabile.
A fronte di questo panorama complesso, per l’interazione di diverse concause a vari livelli, si rafforza la richiesta pubblica di attribuzione dello status di specialista al Mmg al fine di contrastare la deriva squalificante verso le cure primarie e nel tentativo di recuperare un’identità professionale forte e socialmente visibile per controbilanciare alcune delle tendenze sopra delineate, non certo favorevoli alla promozione della medicina del territorio. Inoltre il disagio espresso dai nuovi Mmg segnala lo scarto tra le attese coltivate durante la formazione e la concreta realtà del lavoro sul campo.
Il fatto è che l’identità professionale non deriva solo da quella che ci si costruisce da se o come esito della socializzazione istituzionale, ma è anche quella che gli interlocutori attribuiscono al professionista, dai colleghi ospedalieri agli assistiti, spesso in sinergia e non sempre sotto il segno dell’apprezzamento. Si tratta quindi di intervenire per modificare un immaginario collettivo e stereotipi sociali dalle profonde radici storiche, perciò radicati e duri a morire, e contemporaneamente fronteggiare una tumultuosa evoluzione epidemiologica, scientifica e tecnologica, che non va certo in una direzione sinergica con la cultura della medicina generale. Insomma un compito (quasi) impossibile che richiede un fisco (e una mente) bestiale!
In altre parole, ricorrendo ad una metafora della filosofia della scienza, si tratta del compito (paradossale?) di riparare e ristrutturare radicalmente la nave, non all’attracco in un porto tranquillo, ma durante la navigazione in acque agitate, se non in piena tempesta, e preservando nel contempo l'identità originaria dello scafo, come nel mito di Teseo.