Nel nostro paese uno dei giochi di società più diffusi è la
"caccia al colpevole", piuttosto che la definizione dei problemi e la
ricerca di soluzioni pratiche. E quale migliore bersaglio venatorio del “generico
mutualista”, in qualità di vaso di coccio e anello debole del sistema delle
professioni sanitarie?
Il suddetto "mutualista", essendo un non-specialista per antonomasia- quindi soggetto ad inevitabili deficit e limiti professionali - si presta egregiamente a questa bisogna; anche perchè una parte della categoria effettivamente agisce professionalmente ancora in modo generico, poco professionale e superficiale, offrendo il fianco alla caccia di cui sopra, a mo’ del proverbiale tiro al bersaglio sulla CR.
Il suddetto "mutualista", essendo un non-specialista per antonomasia- quindi soggetto ad inevitabili deficit e limiti professionali - si presta egregiamente a questa bisogna; anche perchè una parte della categoria effettivamente agisce professionalmente ancora in modo generico, poco professionale e superficiale, offrendo il fianco alla caccia di cui sopra, a mo’ del proverbiale tiro al bersaglio sulla CR.
Il gioco della squalifica del "mutualista",
da parte di alcuni specialisti, è stato definito dal sociologo delle
professioni Tousjin con un’originale metafora: da decenni prosegue una sorta di
bracconaggio professionale nella
riserva venatoria delle cure primarie. A poco sono valsi gli sforzi per fare
formazione specifica ed ECM, ricerca e audit, tirocini e tutoraggio, discussioni
di casi clinici su riviste, mailing list e gruppi Facebook etc... Lo stereotipo
del "medico della mutua" continua ad imperversare nella società, per
effetto del combinato disposto tra evoluzione super-specialistica della
medicina e propensione alla delega da parte di alcuni colleghi.
Quando è un’intera categoria a proporsi come alternativa al
“generico” emergono proposte come quella avanzata tempo fa di introdurre la
figura del “geriatra di base” in sostituzione del MMG, evidentemente ritenuto
poco affidabile in questo settore della patologia. Ad analoghi obiettivi risponde la proposta dell'internista nella gestione dei cronici sul territorio e dell'infermiere
di famiglia, avanzata da vari collegi provinciali e che si concretizza, per
ora, nell'organizzazione di corsi master per preparare i futuri infermieri territoriali, che restano per ora al palo per mancanza di risorse (http://curprim.blogspot.it/2017/04/dopo-linternista-scende-in-campo.html).
Inoltre è
ricorrente, sempre da parte di servizi specialistici, l'accusa ai MMG di non
diagnosticare, curare o gestire in modo professionale questa o quella specifica
patologia, come è accaduto recentemente con la segnalazione del mancato invio
dei pazienti con dolore cronico ai relativi centri specialistici, di cui ci ha
riferito la stampa.
L'altro filone che ha ormai eroso in modo consolidato lo
spazio professionale della MG è quello delle cure palliative, dove da un giorno
all'altro con una burocratica comunicazione, si viene estromessi dalla cura dei
malati in fase pre-terminale, da parte dei relativi servizi domiciliari. A
questo modello si ispira in modo evidente il clinical manager della Presa in
Carico dei cronici lombardi, che prefigura una marginalizzazione delle cure
primarie e un progressivo spostamento del baricentro dal territorio verso le
strutture ospedaliere pubbliche e private, le più interessate a fidelizzare i
cronici per rafforzare la propria posizione sul “mercato sanitario”. Se la MG
fosse in grado di dimostrare, numeri alla mano, di prendersi effettivamente in
carico, in modo globale ed appropriato, i malati cronici non ci sarebbe bisogno
di introdurre l’inedita figura “clinical manager” della cronicità.
In un panorama generale, non certo esaltante, la novità proposta dei geriatri rappresenta un'evoluzione positiva in senso collaborativo e, una volta tanto, non squalificante nei confronti della MG.