lunedì 13 ottobre 2025

Sovraffollamento del PS: è "colpa" del territorio?

Il controverso tema del sovraffollamento del PS è sempre sotto i riflettori dei media e dell’opinione pubblica, con analisi che sottolineano le presunte responsabilità del “territorio” nella genesi del fenomeno, in modo spesso semplificato.

Dipende cosa si intende per "territorio", che comprende una rete articolata di forme organizzative dell'Assistenza Primaria (AP): MMG singoli, in gruppo monoprofessionale, in AFT, in UCCP, medici di Continuità Assistenziale, dei CAU e in futuro operatori sanitari nelle CdC multiprofessionali Hub&Spoke (medici dell’AP del ruolo unico).

Il medico singolo o il piccolo gruppo non ha grandi possibilità di intercettare i codici minori, che peraltro in 2/3 dei casi si autopresentano in PS per svariati motivi, in primo luogo i lunghi tempi di attesa per prestazioni diagnostiche o visite specialistiche, e poi per la differenza con l'offerta di prestazioni tecno-specialistiche che in PS consentono di rivedere in aggravamento una percentuale significativa di codici solo apparentemente minori intercettando patologie tempo-dipendenti.

Ad esempio per la legge Balduzzi alle AFT - organizzazioni virtuali senza sede profilo giuridico e fiscale - non compete la continuità assistenziale h12, introdotta da alcuni AIR con il coordinamento degli orari di studio già sperimentato e dimostratosi inefficace nell’intercettare i codici bianchi. La Balduzzi demanda tale obiettivo alle strutture fisiche multiprofessionali, ovvero alle UCCP, e con il DM77 alle CdC Hub and Spoke aperte h12/24. È significativo che l'ultimo documento delle regioni sulla funzionalità delle CdC le abbia classificate proprio come UCCP della Balduzzi, rimaste per un decennio inattuate.

Se mai le AFT possono assolvere tale funzione indirettamente, ovvero implementando strumenti per il governo clinico delle patologie croniche - come indica esplicitamente la Balduzzi, ovvero i PDTA - al fine di contenere sul medio/lungo gli accessi in PS dei codici maggiori e i ricoveri per eventi e complicanze acute, scompensi d’organo, riacutizzazioni etc. ma non per intercettare i codici bianchi.

In altri termini le AFT coordinando sul territorio l'applicazione e il monitoraggio continuo dei percorsi possono ridurre i ricoveri grazie ad un miglior compenso funzionale cardiovascolare e metabolico; le AFT non essendo soggetti erogatori di prestazioni per la continuità diurna non possono sostituirsi alle strutture fisiche, come UCCP, medicine di gruppo integrate, CAU, postazioni di CA integrate nelle CdC, a cui spetta tale compito in quando in grado di assicurare la continuità assistenziale h12/24 per intercettare sul territorio una parte di codici bianco/verdi.

Insomma è illusorio che le AFT "virtuali" possano vicariare stutture organizzative complesse e multiprofessionali, come indica la riforma Balduzzi e il DM77, e come invece si propongono impropriamente alcuni AIR.

Al di là di queste considerazioni, attinenti alla funzionalità della rete territoriale, vi sono altre e ben note motivazioni che spiegano il sovraffollamento in una logica di sistema e non di servizi isolati. Da anni le linee di indirizzo ministeriali sull’Emergenza Sanitaria descrivono dettagliatamente l’origine del sovraffollamento dei PS nelle inter-retroazioni sistemiche tra i tre processi della filiera:

·       fattori di ingresso in PS (input dal territorio)

·       fattori di throughput nella struttura (interni al PS/all’ospedale)

·       fattori di uscita dall’ospedale (post accesso/dimissioni dopo ricovero).

Ecco uno schematico e sommario elenco di specifici fattori in gioco, che riguardano l’AP, le strutture specialistiche territoriali e l’organizzazione ospedaliera:

  •           la progressiva riduzione di posti letto ospedalieri nelle ultime decadi ha provocato il ben noto boarding, ovvero la necessità di permanenza in PS di pazienti in attesa di ricovero, spesso cronici polipatologici in fase di scompenso, che rallentano il flusso nella filiera, aumentano i tempi di attesa all’ingresso e di visita, sovraccaricando di compiti gli operatori sanitari;
  •  il deficit dell’offerta di prestazioni nelle strutture diagnostiche e specialistiche ambulatoriali sul territorio che dilatano i tempi di attesa e costringono alcuni assistiti a rivolgersi impropriamente al PS, anche perché non sempre i codici di priorità delle prescrizioni vengono rispettati;
  •  la chiusura dei piccoli ospedali e di postazioni di PS che, per via dell'invecchiamento della popolazione, provoca il sovraccarico delle strutture in attività, per giunta alle prese con carenza di personale sia medico che infermieristico;
  • le difficoltà degli ospedali a dimettere i pazienti cronici stabilizzati per scarsità di strutture intermedie, come ospedali di comunità e lungodegenze riabilitative, o per problemi socioassistenziali domiciliari.

La conclusione è scontata: senza una visione sistemica dei rapporti tra ospedale e territorio e delle risorse per la gestione inter-organizzativa non si comprende il problema e non si propongono soluzioni razionali di ampio respiro, ma parziali e velleitarie come il tentativo di attribuire alla AFT il compito di intercettare i codici bianchi al posto di UCCP e CdC. 

Insomma, si addita genericamente “il territorio” al biasimo pubblico per presunte responsabilità che sono in realtà di policy programmatorie e gestionali di lunga data, a livello centrale e regionale.

sabato 4 ottobre 2025

ITALIA NOSTRA. Conferenza "Città in salute", Brescia 15 ottobre 2025

PRESENTAZIONE

Gli esperti nel campo della salute pubblica e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) concordano sul fatto che lo stato di salute di un individuo e di una popolazione sia influenzato da una combinazione di fattori, noti come determinanti della salute.

Secondo diverse stime e modelli, le percentuali attribuite ai vari determinanti possono variare leggermente, ma evidenziano in modo consistente il ruolo predominante dei fattori non medici.

Una ripartizione comune delle percentuali di impatto sui risultati di salute (esclusi i fattori genetici) è approssimativamente la seguente:

Determinanti Sociali ed Economici (Fattori Socioeconomici e Ambientali): 40-50%

  • Includono condizioni di vita e di lavoro, reddito, livello di istruzione, alloggio, accesso a cibo sano, e ambiente fisico (aria, acqua pulita).
  • L'OMS stima che i determinanti sociali della salute siano responsabili del 30-55% degli esiti sanitari.

In studi che considerano solo i fattori modificabili e ignorano la genetica, i fattori non medici (comportamento individuale e ambiente) rappresentano l'80-90% della salute di una persona.

Comportamenti Individuali legati alla Salute (Stili di Vita): 30-40%

  • Comprendono dieta, attività fisica, fumo, uso di alcol e altre scelte personali.

Genetica e Biologia Umana: 10-30%

  • Include il patrimonio genetico, l'età e il sesso. Alcune stime attribuiscono circa il 30% alla genetica.

Accesso e Qualità dell'Assistenza Sanitaria (Sistema Sanitario): 10-20%

  • Si riferisce ai servizi medici e all'assistenza clinica. Il consenso è che l'assistenza medica da sola incida solo per il 10-20% sui risultati di salute di una popolazione.

In sintesi, le stime più recenti e accreditate indicano che i fattori sociali, economici e comportamentali (i determinanti non medici della salute) incidono in modo preponderante, per l'80-90% o più, sulla salute di una persona.

L’influenza delle condizioni ambientali sulla salute e sulle malattie acute infettive è stata al centro dell’igiene pubblica e ambientale da quando i dati della ricerca hanno dimostrato il nesso tra le scadenti condizioni di vita e lavoro della popolazione ed alcune epidemie del passato; alla metà del secolo scorso il concetto di salute come assenza di malattia è stato sostituito dalla definizione dei salute dell’OMS del 1948 come stato di completo benessere psichico, fisico e sociale.

Con la prevalenza della Malattie Cronico-Degenerative, in sostituzione di quelle acute infettive, si è riproposto con numerose evidenze epidemiologiche il nesso tra fattori di rischio, malattie croniche e condizioni di vita e ambientali, a partire dall’influenza delle disuguaglianze socioeconomiche sulla mortalità.

Le patologie croniche non trasmissibili prevalenti nelle società industriali sono responsabili dell'86% delle morti e del 77% delle malattie in Europa. La Sedentarietà è la quarta causa di morte a cui si abbinano spesso stili di vita e abitudini alimentari scorrette e riduzione dell’attività fisica all’aria aperta, che contribuiscono al prevalere delle malattie croniche non trasmissibili, come obesità, diabete e malattie cardio-respiratorie.

In questo contesto si inserisce l’obiettivo dell’Urban One Health di promuovere un modello olistico di pianificazione urbana in cui, integrando discipline diverse – dall’architettura alla medicina, dall’ingegneria alla biologia – venga tutelata la salute di singoli e delle comunità nei contesti urbani, tenendo conto delle interconnessioni fra uomo ed ecosistema che condizionano la qualità della vita e la salute.

Entro il 2050 buon parte della popolazione mondiale vivrà grandi in centri urbani e in megalopoli. Nel 2015 le Nazioni Unite avevano inserito fra i 17 obiettivi dello Sviluppo Sostenibile quello di rendere le città inclusive, sicure e sostenibili, non solo per la dotazione di servizi sanitari ma anche per l’assetto urbanistico, i trasporti, il contesto occupazionale, la sostenibilità ambientale e i servizi di prossimità.

L'aspettativa di vita media è influenzata dalle condizioni socio-economiche, abitative, ambientali e culturali, man mano che ci si allontana dal centro città, con una differenza di alcuni anni in meno nelle zone periferiche.

Inoltre le aree metropolitane contribuiscono per il 70% alle emissioni globali di carbonio e all’inquinamento dell’aria, soprattutto nei centri urbani densamente abitati: le condizioni ambientali, climatiche, abitative, sociali delle città si riflettono sulla salute di chi vi vive, ma anche sul benessere di animali, piante ed ecosistemi.

Per questi motivi l’OMS promuove la creazione di aree verdi di prossimità: se ogni cittadino europeo potesse disporre di 5.000 mq di verde a 300 metri dalla propria abitazione si potrebbero evitare 43.000 decessi prematuri all’anno, grazie alla riduzione dell’inquinamento atmosferico e all’azione ambientale raffrescante. Si calcola che se parchi, giardini e zone erbose arrivassero a coprire il 40% della superficie urbana si potrebbe ottenere una riduzione significativa della temperatura al suolo.

Numerosi studi hanno dimostrato i benefici delle aree verdi sul benessere psico-fisico, sulla salute cognitiva e psichica dei bambini e degli adolescenti, sul decorso di numerose condizioni come la gravidanza, l’obesità, le malattie metaboliche e cardiovascolari, soprattutto in rapporto all’attività fisica favorita dai parchi pubblici.

La diffusione delle aree verdi gioca un ruolo chiave in relazione a diversi aspetti della Urban One Health, che il convegno promosso da Italia Nostra intende approfondire, in particolare circa

  •     il contributo alla mitigazione del riscaldamento climatico e dell’inquinamento ambientale;
  •      la pianificazione urbanistica, con la tipologia, diffusione e la corretta manutenzione delle aree verdi;
  •       il contributo alla salute pubblica, al benessere psicologico e sociale e alla prevenzione di fattori di rischio per le malattie croniche.

Per approfondire:

venerdì 3 ottobre 2025

I modelli esplicativi dell'antropologia medica

  Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

Disponibile su Amazon in formato cartaceo ed e-book, pag, 198

La dimensione antropologica: una nuova prospettiva sulla diversità dei modelli esplicativi

 L’antropologia medica con il concetto di modello esplicativo (ME) propone una chiave di lettura utile anche per la cronicità. Prima però conviene introdurre una definizione di cultura spendibile nel contesto sanitario per favorire una competenza professionale anche in questo settore, che non si riduca all’incontro con culture “esotiche”, di cui sono portatori le popolazioni immigrate. 

Con il termine cultura non si deve intendere solo la produzione di opere letterarie, poetiche, saggistiche, filosofiche, scientifiche, musicali, artistiche di carattere accademico “alto”.

 La cultura può riguardare tanto ciò che diamo per scontato e non sottoponiamo a giudizio critico – cioè che presumiamo sia universale – quanto ciò che comprendiamo della diversità sociale. Pertanto proponiamo la seguente definizione di cultura: l’insieme delle conoscenze condivise, implicite ed esplicite, che vanno a costituire convenzioni e pratiche, ma anche le idee, i simboli e gli artefatti concreti che sostengono tali convenzioni e pratiche, rendendole significative.[1]

giovedì 2 ottobre 2025

Medicina evoluzionistica e malattie croniche

 Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

Disponibile su Amazon in formato cartaceo ed e-book, pag, 198

Capitolo 6 . Medicina evoluzionistica, mismatch e cronicità

 Secondo l'approccio darwiniano la salute e la patologia assumono significati diversi rispetto al pensiero medico tradizionale quando sono collocati in una prospettiva evoluzionistica. Le condizioni di salute e di malattia non dipendono solo da agenti causali prossimali diretti, che alterano gli equilibri fisiologici, ovvero da fattori immediati come nel modello esplicativo della teoria dei germi. 

Oltre alle risposte fisiopatologiche prossime, innescate da perturbazioni ambientali, esistono cause remore che si manifestano in modo disadattativo al tempo presente in quanto il frutto di adattamenti remoti.

Ad esempio per la medicina evoluzionistica i sintomi delle patologie acute infettive, tipiche dell’ambiente di vita delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori, hanno una funzione adattativa per rispondere efficacemente all’egente eziologico, in quanto frutto della selezione naturale per migliorare la sopravvivenza della specie.

Cronicità e valutazione del rischio

 Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

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Capitolo 6 . Cronicità e valutazione del rischio

 La cronicità ha rotto schemi interpretativi consolidati, ha rimescolato le carte rispetto a schemi consolidati, inducendo dissonanze cognitive, culturali e socio-relazionali a cui il sistema non ha ancora dato una risposta organizzativa e gestionale ben definita. Queste differenze hanno importanti conseguenze sull’identità professionale dei medici, sui bisogni e sulle aspettative dei pazienti, sulle concezioni e sulle valutazioni di entrambi circa la natura della malattia, la qualità dell’assistenza e gli obiettivi delle cure.