E' di pochi giorni fa la notizia che il bodybuilder Rich Piana,
noto nell'ambiente con il soprannome di Hulk, è stato trovato in coma: la
diagnosi dei medici accorsi nella sua casa in Florida alla chiamata della
compagna è stata «Overdose di anabolizzanti», di cui il famoso culturista
fa uso da 30 anni per apparire come l'eroe della serie televisiva americana.
Certo si tratta di un caso estremo di auto-manipolazione dell'aspetto fisico,
la proverbiale parte emersa di un iceberg che si manifesta come "caso umano"
a beneficio delle cronache giornalistiche, ma che segnala nel contempo la
presenza di una parte sommersa più consistente e diffusa, nel segno
dell'enhancement di una funzione corporea.
La psichiatria ad esempio ha iniziato ad indagare quella sorta di
psicopatologia da palestra, che coinvolge schiere di giovani, perlopiù maschi,
alla spasmodica ricerca della forma fisica e del massimo vigore del proprio
apparato muscolo-scheletrico. La nuova entità nosografica, per ora solo
abbozzata in attesa di entrare ufficialmente nel prossimo DSM, ha un nome che è
anche un programma d'azione: la vigoressia, o complesso di Adone, è la
preoccupazione ossessiva per la propria forma fisica che si esprime con
un'assidua frequentazione delle palestre per potenziare e consolidare
l'apparato locomotore e il tono muscolare. Altro comportamento al confine della
normalità è quello delle persone dedite al jogging in modo compulsivo che, per
effetto delle endorfine liberate dallo sforzo fisico prolungato, sviluppano una
sorta di dipendenza per lo “sballo” da corsa, per cui in casi estremi possono
non avvertire il dolore precordiale dell’infarto o quello della frattura di un
segmento osseo.
Non di rado alla vigoressia si associa l’altra ossessione
salutista dei nostri tempi, l’ortoressia: la preoccupazione assillante par la
qualità dell’alimentazione che diventa una vera e propria ragione di vita e
condiziona l’esistenza di alcune persone fino all’isolamento sociale e al
deperimento organico. Sono casi estremi che però segnalano un diffuso idem
sentire ed agire che sfuma in uno spettro clinico, che va dalla patologia
conclamata fino a gradi minori di preoccupazione per l’efficienza fisica ma più
diffusi socialmente rispetto alle due forme psichiatriche (basta osservare il
proliferare delle palestre dotate di attrezzi tecnologici, a mo’ di catene di
montaggio del fitness).
L’emergere di questi nuovi fenomeni psichiatrici, sconosciuti fino
a poche decine di anni fa, segnala la comune matrice socioculturale, e non
certo biologica, dei comportamenti patologici che hanno come denominatore
comune la ricerca, il potenziamento o la difesa di un’idea di salute e di benessere assoluti ed
estremi, ma irraggiungibili, talvolta a prezzo della messa a repentaglio della
stessa integrità psicofisica.
Il filosofo Adorno emigrato negli USA durante la seconda guerra
mondiale per sfuggire ai nazisti aveva condensato in un aforisma, inserito
nella raccolta Minima Moralia, lo spaesamento per il contatto con la cultura
del nuovo mondo che si manifestava, a suo dire, in forme di “salute mortale”.
Qualche decennio più tardi il sociologo Ivan Illich coniava l’espressione
“nemesi medica” per descrivere il rischio che le pratiche mediche si
convertissero in effetti perversi e controintuitivi, jatrogeni e patogeni, in
nome della lotta alla malattia, della ricerca spasmodica di una salute positiva
e di un benessere completo. Le fosche previsioni dei due intellettuali sembrano
avverarsi nel presente, trasformando il salutismo nella più subdola malattia
epidemica del terzo millennio.
In questo scenario suona quanto mai attuale l’ammonimento del motto scolpito, secondo la tradizione, nel tempio
di Apollo a Delfi: niente
di troppo!
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