Il vicedirettore de L’Espresso Alessandro Gilioli ha descritto, in modo un po’
scherzoso, la via crucis di un tipico paziente “difficile” - probabilmente lo
stesso giornalista - rimpallato da uno specialista all’altro alla vana
ricerca di una diagnosi certa per la soluzione del suo problema di salute
Ne è
nata un’accesa discussione sia sul sito del settimanale, tra i suoi lettori,
che on-line, nei gruppi FaceBook, tra professionisti della salute. Di seguito
ho sintetizzato, in forma di decalogo, alcuni dati e concetti per poter
ragionare a giudicare con cognizione di causa l’operato di un medico, a
prescindere dai casi particolari e dalle esperienze individuali, positive o
negative
1-il 20-30% dei sintomi lamentati
dagli assistiti non ha una spiegazione diagnostica, anche dopo ripetuti esami e
visite specialistiche, che si concludono con un nulla di fatto (gli inglesi
utilizzano l’acronimo MUS, ovvero Medically Unexplained Symptoms);
2-in una percentuale simile anche
l’esame obiettivo, cioè la visita più accurata di un medico esperto, può dare
un esito falso negativo, ovvero non individuare la malattia; anche gli
accertamenti diagnostici più “tecnologici” posso rivelarsi falsamente
negativi o di difficile interpretazione. Il combinato disposto di questi elementi, nell’ambito di una
cultura dominata dai rischi statistici, genera nei medici una cautela che
sconfina talvolta in dubbiosità, prima di tutto rivolta a sé, e un clima di
incertezza di fondo purtroppo ineliminabile;
3-per di più i pazienti d’oggi,
spronati dai continui appelli alla prevenzione e dalle informazioni del dr. Google, riferiscono sintomi più
precocemente di un tempo, spesso vaghi, soggettivi e sfumati, mentre in passato si
presentavano al medico in fasi più avanzate del decorso quando i sintomi erano
evidenti e quindi la diagnosi agevole, addirittura a colpo d’occhio e senza la
necessità di ricorrere ad esami complicati e costosi;
4-il vertiginoso aumento delle
conoscenze fa si che lo specialista sia concentrato su una parte della
patologia, sempre più specifica e parcellare, e perda quindi inevitabilmente di
vista il resto, quella visione d’insieme che non riesce più a padroneggiare; il
rischio di essere rimpallati da uno specialista all’altro è più elevato se si
consultano medici libero-professionisti e non si fa riferimento al proprio
medico di famiglia, che dovrebbe avere il compito di fare la sintesi e di
coordinare ed armonizzare i vari interventi;
5-il medico generalista soffre
ancor di più di questa situazione per i suoi inevitabili limiti di preparazione
e aggiornamento, per cui è giocoforza che ricorra alla tecnologia e al parere
degli specialisti di branca quando la situazione è poco chiara o vi siano
margini di rischio ed incertezze diagnostiche;
6-la medicina non è una scienza
esatta e incontrovertibile ma per certi versi rivedibile e provvisoria, mentre
le attese (in alcuni casi anche pre-tese) di efficacia della gente sono elevate
e non sempre realistiche; tutti vorremmo avere a che fare con medici onniscienti
e onnipotenti, che capiscono tutto al volo e prescrivono sempre la medicina
giusta, senza esitazione e al primo colpo. Ma i medici, come tutti gli umani,
sono purtroppo fallibili, la medicina nel suo complesso è limitata e non
garantirà mai l’immortalità (sembrerà banale ricordarlo, ma è necessario);
7-il procedimento diagnostico avanza
per “tentativi ed errori” ed approssimazioni successive, magari dopo aver atteso gli sviluppi del caso ( http://www.saluteinternazionale.info/2017/11/il-medico-che-ti-salva-la-vita/ ); purtroppo non c’è sempre modo di arrivare alla diagnosi al volo alla prima visita, ma solo a seguito di iter complicati e lunghi, anche per le regole burocratiche e di appropriatezza a
cui si deve sottostare (tranne il medico “privato” che fa ciò che vuole);
8-per tutti questi motivi
l’attività diagnostica dei medici del passato era più facile, anche se erano
meno preparati di oggi e sbagliavano probabilmente di più, pur beneficiando in
compenso dell’aura di certezza e sicurezza della medicina che li metteva al
riparo da lamentele e rivalse dei pazienti;
9-oggi invece ad un medico può
capitare, anche senza alcuna trascuratezza o negligenza, di essere denunciato e
di finire sul banco degli imputati perché non azzecca la diagnosi di primo
acchito o non prescrive l’esame appropriato;
10-da una pervasiva cultura del rischio
clinico deriva la cosiddetta medicina difensiva, ovvero la tendenza a
prescrivere accertamenti e consulenze in caso di dubbio o perplessità, per
mettersi al riparo dall’eventualità della denuncia, magari per un’accusa
ingiusta o infondata ma sempre destabilizzante. Da qui la girandola di esami e
consulenze in cui viene imbrigliato suo malgrado il povero malcapitato
descritto da Gilioli.
Conclusione: i medici che fanno
diagnosi ci sono sempre, solo che la diagnosi è diventata più complicata,
difficile, sfuggente a tal punto che talvolta nemmeno si trova….
Nessun commento:
Posta un commento