sabato 29 gennaio 2022

Buon compleanno PiC e....buona pensione!

L'inizio del 2022 segnala due anniversari per quanto riguarda la gestione della cronicità: il decennale dei CReG e il quinquennale della Presa in Carico della cronicità in Lombardia o PiC.

L’allegato 14 della delibera di fine 2011 introduceva in Lombardia dall'anno successivo i CReG, ovvero gli esordienti DRG della Cronicità. La riforma poggiava su un giudizio impietoso verso le cure primarie, che era nel contempo la definizione del problema ispiratrice delle policy lombarde per tutto il decennio: “la realtà dei fatti ha mostrato che l’attuale organizzazione delle cure primarie manca, in termini complessivi, delle premesse contrattuali e delle competenze cliniche, gestionali ed amministrative richieste ad una organizzazione che sia in grado di garantire una reale presa in carico complessiva dei pazienti cronici al di fuori dell’ospedale”.

Dopo pochi anni, visti i deludenti esiti dei CReG, arrivava una svolta radicale nel segno della messa da parte della medicina generale per far posto alle cure specialistiche ospedaliere: il 30 gennaio del 2017 veniva pubblicato sul BUR regionale la prima DGR sulla PiC della cronicità e fragilità - salutata con entusiasmo dagli opinion leader e dagli esperti bocconiani, si veda il PS - a cui se ne sarebbero aggiunte altre 3 nel corso dell'anno prima dell'avvio ufficiale nella primavera del 2018.

E' tempo quindi di bilanci, al termine primo quinquennio di PiC che segna anche il suo "pensionamento" di fatto. La prima DGR del 2017 prevedeva la centralità dei Gestori organizzativi nella cura dei cronici, delegata al Clinical Manager ospedaliero, come referente dei pazienti in sostituzione del generalista, e la complementare marginalizzazione della MG da quest'area clinico-assistenziale.

La strategia era palesemente anacronistica e sfasata di decenni rispetto all'evoluzione del sistema ospedaliero: spostare il baricentro delle cure per la cronicità dal contesto naturale del territorio, più vicino e in sintonia con la vita della gente, all'istituzione ospedaliera ignorava la mission nosocomiale a farsi carico delle problematiche acute/emergenziali in ambienti ad elevata densità tecno-specialistica, testimoniata dalla riduzione all'osso dei posti letto per un turn-over accelerato delle degenze "in acuto".

Coerentemente con questa “filosofia” riformatrice la PiC faceva leva sulla concorrenza verticale - cioè tra I livello generalista e II livello nella cornice del quasi mercato o manged competition - per spostare gli equilibri delle cure su diversi fronti
https://curprim.blogspot.com/2021/03/la-presa-in-carico-della-cronicita-e.html
  • dalla dimensione sociale di prossimità (il rapporto medico-paziente nel contesto comunitario) a quella economica del quasi mercato (la dinamica domanda/offerta e la concorrenza tra I e II livello);
  • dall'organizzazione orizzontale (il network sociosanitario territoriale) a quella ospedaliera verticale (la struttura gerarchica piramidale);
  • dalla relazione di cura personale (la scelta/revoca del MMG) al rapporto "contrattuale" con il Gestore organizzativo (il Patto di cura formalizzato con un anonimo Clinical Manager);
  • dalla collaborazione interprofessionale (promossa dai Percorsi Diagnostico Terapeutici ed Assistenziali delle patologie croniche o PDTA) all’antagonismo tra I e II livello per l’arruolamento e la gestione esclusiva dei pazienti, nel senso del gioco a somma zero della concorrenza amministrata o managed competition
Gli esiti dell'operazione erano fin dall'inizio deludenti tant'è che nel gennaio 2020, alla viglia dello tsunami Covid-19, era stato arruolato con Patto di cura e PAI meno del 10% degli oltre 3milioni di cronici lombardi, per il 95% da parte dei MMG aderenti alla riforma (il 40% dei generalisti in attività a fine 2028). Poi con l'arrivo di SARS-COV2 sulla PiC è sceso l'oblio ed infine la riforma della Legge 23 del novembre 2021 ne ha decretato il definitivo "pre-pensionamento". Il Covid-19 è stato un tragico stress test per tutto il sistema sanitario regionale facendo emergere le criticità che covavano sotto l'immagine di una presunta eccellenza lombarda sbilanciata sull'ospedale, caratterizzata dal deliberato abbandono del territorio in nome del "dogma" del quasi mercato che ha ispirato una riforma velleitaria, anacronistica e fallimentare. 

L'urgenza di un cambiamento paradigmatico, imposto dal coronavirus, mette in luce l'irrazionalità del proposito di spostate i cronici dalle cure di prossimità a quelle ospedaliere, che il prevedibile flop della PiC ha certificato. Ma ormai è acqua passata ed oggi grazie ai fondi del PNRR si tenta una ristrutturazione della medicina territoriale tanto quanto 5 anni fa si perseguiva scientemente il suo depotenziamento nella gestione della "pandemia" da cronicità. Basterà per frenare la fuga dal territorio, all'insegna del "si salvi chi può"? Lo vedremo nel prossimo biennio.

P. S. All’indomani della pubblicazione delle delibere del gennaio e maggio 2017 la rivista Mecosan del CERGAS Bocconi ospitava un dibattito sulla PiC: tutti gli autorevoli osservatori plaudivano in modo incondizionato alla riforma e nessuno prefigurava le criticità emerse nel corso del biennio 2018-2019, sul versante quantitativo delle adesioni di medici e pazienti e sui limiti della concorrenza verticale promossa dal quasi mercato tra I e II livello. Con la sola eccezione del prof. Remuzzi, che sottolineava il rischio che le strutture private potessero “valutare quali tipologie di pazienti scegliere, in base alla convenienza della tariffa”, mentre Zanchetti stigmatizzava il fatto, in sintonia con la premessa dei CReG, che spesso il malato cronico fosse stato lasciato “privo o carente di un esperto o di una equipe di esperti che si prendano cura dell’insieme della sua salute”.

venerdì 28 gennaio 2022

COVID-19: evoluzione IV ondata al 28 gennaio

  Evoluzione settimanale dell'ondata omicron al 28 gennaio

Quasi tutti i parametri sono in riduzione rispetto alla scorsa settimana segnando l'inizio della fase discendente della curva epidemica. Il peggio sembrerebbe passato:

  • i nuovi casi, di poco superiori al milione, sono diminuiti del 13% rispetto alla scorsa settimana
  • i ricoveri complessivi sono aumentati solo di 311 nei reparti medici, sono diminuiti di 77 in terapia intensiva mentre i decessi sono +6.5% con una letalità dello 0,23%
  • gli attualmente positivi e i soggetti in isolamento domiciliare sono diminuiti di oltre 26mila rispetto alla scorsa settimana, nonostante oltre 1 milione di nuovi casi
  • i dimessi guariti sono scesi sotto il milione
Nel complesso i dati confermano la minore gravità clinica della variante Omicron, che ha superato il 95% dei campioni sequenziati, testimoniata dalla riduzione dei soggetti in isolamento, dei positivi e dalla sostanziale stazionarietà ricoveri. In pratica, nonostante il gran numero di casi, i malati hanno sintomi lievi, non vengono ricoverati, guariscono e si negativizzano in pochi giorni. 























mercoledì 26 gennaio 2022

Nota AIFA N. 100: antidiabetici

INDICAZIONI PER LA PRESCRIVIBILITA’ A CARICO DEL SSN

A. La modifica dello stile di vita (terapia medica nutrizionale – dieta, attività fisica, astensione dal fumo) rappresenta il primo step nel trattamento del diabete, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione clinica, quale intervento irrinunciabile nella strategia terapeutica generale. L’entità del beneficio di tale intervento è almeno sovrapponibile all’effetto di un primo trattamento farmacologico ed è privo di eventi avversi. L’intervento sullo stile di vita va periodicamente rinforzato ai fini del mantenimento delle competenze acquisite.

B. Se la modifica dello stile di vita non risulta sufficiente (dopo almeno 3 mesi) rispetto all’obiettivo individuale prestabilito di HbA1c (vedi punto C), il farmaco di prima scelta per il trattamento del diabete di tipo 2 è la metformina salvo controindicazioni o intolleranza.
  • La tollerabilità gastrointestinale della metformina può essere migliorata dalla titolazione graduale nelle prime settimane di trattamento e dall’assunzione post-prandiale (<5% dei pazienti sospende per intolleranza).
  • Nel caso in cui la metformina risulti controindicata o non tollerata, possono essere utilizzati in monoterapia tutti gli altri farmaci. La scelta del farmaco da utilizzare dovrà tener conto delle caratteristiche del paziente (fattori di rischio e comorbidità) e delle indicazioni e controindicazioni contenute in scheda tecnica.
C. L’obiettivo di emoglobina glicata (HbA1c) nel paziente trattato con farmaci non associati a ipoglicemia è generalmente al di sotto di 53 mmol/mol (7.0%), valore che consente di ridurre l’incidenza e la progressione delle complicanze micro e macrovascolari e la mortalità. Un controllo più intensivo con valori al di sotto di 48 mmol/mol (6.5%) può essere considerato in casi selezionati sulla base del giudizio clinico. In caso di utilizzo di farmaci associati a ipoglicemia è, invece, opportuno mantenere l’HbA1c a livelli relativamente più elevati, intorno a 58 mmol/mol (7.5%).

D. Qualora uno schema terapeutico contenente metformina (da sola o associata ad altri farmaci) non sia sufficiente al raggiungimento/mantenimento dell’obiettivo individuale stabilito di HbA1c, si dovrà considerare l’associazione e/o la sostituzione di uno o più di essi. 

In particolare:

Un inibitore del SGLT2* o un agonista recettoriale del GLP1* (entrambi quando non controindicati e ben tollerati) dovrebbero essere considerati preferenzialmente nei seguenti scenari clinici:
  • Paziente in prevenzione CV secondaria
  • Paziente in prevenzione CV primaria che presenta un rischio CV elevato
Un inibitore del SGLT2* (quando non controindicato e ben tollerato) dovrebbe essere considerato
preferenzialmente nei seguenti scenari clinici:
  • 3. Paziente con malattia renale cronica (presenza di VFG <60 mL/min e/o di albuminuria micro o macro)**
  • 4. Paziente con scompenso cardiaco
Nei pazienti di cui ai punti 1, 2, 3 e 4 gli inibitori del DPP4 dovrebbero essere considerati soprattutto quando i farmaci raccomandati siano controindicati/non tollerati (ad es. VFG <30 mL/min o soggetto anziano).

Nel paziente senza malattia renale cronica, senza malattia cardiovascolare e non ad alto rischio per malattia cardiovascolare, non sono attualmente disponibili evidenze sufficienti a raccomandare l’utilizzo di una specifica classe di farmaci rispetto alle altre oggetto della Nota. In tali pazienti la scelta terapeutica deve tenere conto di diversi fattori quali le caratteristiche individuali del soggetto, il profilo di tollerabilità del farmaco, l’entità di riduzione di HbA1c che si intende raggiungere o l’effetto sul peso corporeo.

Per prevenzione CV secondaria si intende presenza o anamnesi positiva per:


  • malattia cardiovascolare: cardiopatia ischemica, pregresso IMA, bypass aortocoronarico, angioplastica,
  • procedura di rivascolarizzazione coronarica;
  • malattia cerebrovascolare: pregresso ictus o TIA, rivascolarizzazione carotidea;
  • arteriopatia periferica sintomatica.

Per rischio CV elevato, nel paziente senza malattia CV conclamata o anamnestica, si intende:

  • presenza di danno vascolare aterosclerotico documentato (es. malattia coronarica multivasale o stenosi carotidea >50%);
  • presenza di danno in un organo target;
  • presenza di almeno tre fattori di rischio CV (fra età >50 anni, ipertensione arteriosa, dislipidemia, obesità, fumo di sigaretta)

Per malattia renale cronica si intende:
  • VFG inferiore a 60 mL/min e/o presenza di albuminuria (micro e macro).

E. Gli inibitori del SGLT2, gli agonisti recettoriali del GLP1 e gli inibitori del DPP4 possono essere associati alla terapia insulinica, che rappresenta una opzione terapeutica in tutte le fasi del diabete mellito di tipo 2 e rappresenta, inoltre, l’opzione di scelta per il trattamento dell’emergenza glicemica, secondo le indicazioni autorizzate e quanto riportato al precedente punto D.

F. Le associazioni, estemporanee o precostituite, tra farmaci oggetto della Nota rimangono di pertinenza specialistica in quanto parte di una valutazione più complessa che andrà effettuata tenendo conto delle caratteristiche dei singoli pazienti e delle considerazioni generali riportate nella Nota.

* per i principi attivi per i quali esiste una dimostrazione di un beneficio clinico su tali parametri.
** nel rispetto degli RCP dei singoli farmaci. Si veda tabella B

sabato 22 gennaio 2022

La bozza di ACN per il PNRR: limiti e criticità di un libro dei sogni

Nelle ultime 2 settimane è stato sottoscritto, con oltre 3 anni di ritardo, l'ACN/Convenzione 2016-2018 ed è stata divulgata la bozza di Convenzione per la Medicina Generale in applicazione del PNRR, mentre è ancora in forse il rinnovo dell'ACN 2019-2021 anch'esso peraltro già scaduto a fine anno. Dall'inizio dell'anno e a seguire nei prossimi mesi si dovrà recuperare un ritardo di oltre 6 anni, per via del disinteresse e della cronica mancanza di risorse che ha ispirato la strategia del rinvio dei problemi e della sistematica dilazione nel rinnovo degli ACN. 

Ora però con il PNRR il contesto è cambiato ma pare che i decisori pubblici se ne siano accorti solo a fine 2021: senza strumenti normativi adeguati si rischia di perdere i finanziamenti comunitari, da qui il tentativo di recuperare in extremis patologici ritardi. Tuttavia la strada è ancora lunga ed impervia mentre i tempi sono strettissimi perchè entro fine maggio tutti dovrà essere pronto per avviare la macchina organizzativa della messa in opera regionale del PNRR. 

In questo scenario è stata diffusa la bozza di rinnovo dell’ACN che secondo alcune discrezioni sarà "blindata" convertendola in un atto legislativo, per non perdere il treno del PNRR, e mettendo i sindacati di fronte al fatto compiuto: prendere o lasciare l'impianto generale della bozza, centrata sulla proposta di vincolare l'impegno professionale del MMG al parametro delle 38 ore dei dipendenti, suddivise in 20 ore dedicate all'attività ambulatoriale rivolta agli assistiti (70% dei compensi correlati alla scelta/revoca) e le restanti a programmi/obiettivi di salute "comunitaria", ovvero rivolati alla popolazione da svolgere nei distretti e nelle Case della Comunità. 

Oltre agli aspetti positivi - analizzati nel post al link https://curprim.blogspot.com/2022/01/considerazioni-sulla-bozza-di-rinnovo.html - non si possono non sottolineare le criticità della bozza di ACN. Accenno solo a due aspetti pratici che mettono in dubbio l’impatto di una convenzione imposta top down, con una forzatura rispetto alle mediazioni sindacali: la questione logistica e l'assistenza domiciliare.

1 - Passeranno almeno 2 anni, se tutto va per il verso giusto, prima che siano attive almeno 1/3 delle Case e degli Ospedali di Comunità previsti sulla carta. Nel frattempo dove verranno espletate le attività previste nelle ore che i MMG sono tenuti a svolgere nelle strutture? Inoltre la tipologia standard della struttura prevede 10 sale di consultazione per i medici dell'assistenza primaria, che per un bacino di 45 residenti conta almeno 35 professionisti tra MMG, PLS, MCA e dei servizi e infermieri di comunità (per maggiori dettagli si veda il PS). 

Anche considerando i locali dei distretti, sarà fisicamente impossibile ospitare tutti gli operatori sanitari in contemporanea nella 12 ore diurne, sia per l'assistenza convenzionata individuale a quota capitaria sia per le attività orarie di tipo comunitario. Senza contare che già ora i MMG hanno una gamma di strumenti per restare in contatto con i pazienti, sia in orario di studio sia oltre: contatto diretto o indiretto tramite un parente, ambulatoriale o domiciliare, telefonico o telematico, su appuntamento o ad eccesso libero, programmato od occasionale, con il medico o con il personale di studio, tramite mail o SMS, de visu o de video con televisita, teleconsulenza o in telelavoro da casa, in sincrono o in asincroni, in office o in back office etc..  

Solo alla fine del quinquennio 2022-2026 vi sarà una ragionevole disponibilità di locali per ospitare una parte dei medici delle cure primarie ma solo nei maggiori centri abitati. Insomma l'obbligo di 38 ore di attività professionale rischia di rivelarsi una proposta astratta dal contesto logistico e il classico libro dei sogni, non tanto per l'ordinaria attività ambulatoriale da svolgere negli studi medici ma soprattutto per la novità delle ore di presenza nella CdC per compiti verso la popolazione. 

Il problema dell' "over-booking" delle CdC sta a monte della bozza: lo standard previsto dal PNRR è il punto più critico della Missione 6. Le CdC così dimensionate – ovvero in media 1 ogni 45-50mila abitanti al centro nord e ogni 35-.40 mila nel mezzogiorno - potrebbero essere adatte alle aree urbane ad elevata densità o perlomeno nei comuni con almeno 50 mila residenti. I residenti in zone con difficoltà di collegamenti stradali, già ora penalizzati per la distanza dagli ospedali, non potranno di fatto gravitare e fruire delle CdC, come riconosce esplicitamente la bozza che attribuisce la funzione di spoke della CdC hud alla rete degli studi medici dei MMG.

Inoltre difficilmente in queste aree i MMG accetteranno di lasciare i propri studi, diffusi sul territorio, per confluire in poliambulatori lontani dalle residenze dei propri assistiti. In sostanza lo standard delle CdC da 45mila abitanti è inadatto per limiti logistici e geodemografici ai comuni con meno di 15mila abitanti della pianura, della collina e soprattutto della montagna, dove risiede oltre il 30% della popolazione italiana, che sarà possibile raggiungere solo con l’attuale rete dagli studi spoke dei MMG. Insomma, il futuro ACN, se dovesse ricalcare questa impostazione, avrebbe gli stessi difetti della Balduzzi, ovvero produrre un accordo astratto e inappropriato rispetto alle condizioni della sua messa in pratica e quindi destinato a rimanere inapplicato al pari di altre riforme rimaste sulla carta.
 
2- Nonostante i propositi del PNRR circa l’assistenza domiciliare occasionale e quella programmata/integrata nella bozza non vi sono dettagli su questa attività, che occupa non meno di 1 ora al giorno ogni MMG in continuità con l’assistenza ambulatoriale. L'organizzazione dell'assistenza domiciliare parte dallo studio del MMG per una intuibile motivazione legata alla prossimità. Si pensi solo ai problemi di spostamento dallo studio del medico, definito nella bozza spoke, alla Casa della Comunità in zone disagiate o scarsamente popolate. 

Alle 20 ore settimanali di assistenza ambulatoriale dovrebbero essere aggiunte almeno altre 5 ore dedicate a quella domiciliare, riducendo in egual misura quelle da prestare nella sede del distretto o della Casa della Comunità. Inoltre gli operatori sanitari dell’assistenza domiciliare dovranno fari i conti con le difficoltà di spostamento per raggiungere le abitazioni di utenti residenti in piccoli paesi o frazioni distribuite in ampio territorio, con intuibili problemi di viabilità e tempi per i trasferimenti.

Questa incongruenza è ancor più marcata se si pensa che uno dei capitoli della Missione 6 è dedicato proprio all'estensione dell'assistenza domiciliare, con l'ambizioso obiettivo di arrivare al 10% di ultra 65enni curati a casa rispetto all'attuale 6%. A dire il vero nella bozza si accenna all'assistenza domiciliare ma nel segno del paradosso in quanto si prevede che nelle “12 ore settimanali svolte per iniziative definite dal distretto e/o dalla casa della comunità è prevista anche l’ assistenza domiciliare“ potendo “essere svolte presso la casa della comunità (hub e spoke), lo studio del MMG, la sede della AFT, altri locali individuati dalle autorità sanitarie”.
 
E’ difficile immaginare come sia possibile garantire l’assistenza domiciliare in locali diversi da quelli di residenza dell’assistito! Ma tant’è, quest’obbligo potrebbe trovare posto in una norma di legge, al pari di parametri orari rigidi e sottoposti a controllo burocratico, che ignorano la flessibilità dell’impegno professionale sul territorio, sia in studio sia a domicilio del paziente o con il telelavoro da casa, per via di ben note variazioni settimanali e stagionali della domanda.
 
CONCLUSIONE. La bozza di ACN da per scontata la premessa implicita, ovvero che la relazione di cura sul territorio si possa concentrare nell'unità spazio-temporale di un sede fisica e di un orario di lavoro rigido, regolato da parametri prestazionali in stile mansionario, nella cornice del rapporto di subordinazione gerarchica e di controllo burocratico.

L'impostazione "vetero" della bozza non tiene conto che nell'assistenza primaria la relazione di cura si realizza in forme, luoghi e tempi diversificati, distribuiti in una varietà  di episodi spazio-temporali grazie alla mediazione dalla tecnologia elettronica; per giunta in risposta alla pandemia sono proliferate nuove tecniche comunicative e di relazione sconosciute in altri contesti organizzativi. La rivoluzione tecnologica consente di by-passare la mediazione professionale, di dematerializzare e differire i processi, delocalizzarere i contatti e le comunicazioni rispetto alla necessità della presenza fisica seduta stante, seppure a prezzo della moltiplicazione dei silos/monadi informatiche.

Una simile configurazione di pratiche clinico-assistenziali - situate nel contesto territoriale, mediate tecnologicamente a distanza e diversificate nella dimensione spazio-temporale - garantisce la continuità di cura sul lungo periodo nella cronicita e si è rivelata funzionale anche nell'emergenza pandemica, per la rischiosità del contatto vis a vis in presenza.

In questo trend evolutivo imporre il rigido parametro organizzativo dell'orario di lavoro nella sede unica della CdC, magari con la timbratura di un e-cartellino in stile travet novecentesco in alternativa alle logiche di accountability dei processi/esiti clinici, è una forzatura top down, inappropriata e oltre tutto irrealizzabile per un evidente deficit logistico e di disponibilità oraria delle future CdC (si veda il PS).

P.S. In una CdC con 10 locali dedicati alle consultazioni mediche sarebbero disponibili 600 ore distribuite in 5 giorni settimanali per 35 tra MMG e PLS. Se tutti i professionisti dell'assistenza primaria dovessero esercitare tutte le 38 ore nei locali della CdC servirebbero almeno 1330 ore settimanali, escludendo infermieri di famiglia e medici dei servizi. 

Si possono avanzare tre ipotesi alternative sull'utilizzo delle 600 ore disponibili che, comprendendo la giornata di sabato, diverrebbero 720.

1-Se una CdC dovesse ospitare 20 tra MMG e PLS full time servirebbero almeno 760 ore complessive, ovvero 400 per la normale attività di studio + altre 360 per le 18 ore da svolgere per compiti di comunità. 

2-Se invece i locali fossero utilizzati solo per le 18 ore di attività aggiuntive da parte dei 35 professionisti, escludendo quelle dell'assistenza di libera scelta ad personam,  ne servirebbero almeno 630. 

3-Infine in caso di utilizzo misto, cioè per 20 tra MMG e PLS per l'assistenza individuale di 20 ore + 15 per le 18 ore di attività "comunitaria", le ore necessarie sarebbero 660.

venerdì 21 gennaio 2022

COVID-19: evoluzione settimanale dell'ondata omicron al 21 gennaio

 Evoluzione settimanale dell'ondata omicron al 21 gennaio

L'evoluzione della IV ondata omicron è arrivata al plateau. Rispetto alla scorsa settimana tutti gli indici fanno pensare ad una svolta significativa che dovrebbe avvenire la prossima settimana

  • i nuovi casi, pur sempre superiori al milione, sono diminuiti del 2%
  • i ricoveri complessivi sono aumentati del 6% mentre i decessi del 30% con una letalità dello 0,2%
  • i dimessi guariti sono oltre 1milione rispetto alla metà della scorsa settimana
  • gli attualmente positivi e i soggetti in isolamento domiciliare si sono ridotti di un 10% circa rispetto alla scora settimana nonostante oltre 1,2 milioni di nuovi casi
  • tra i nuovi casi degli ultimi 30 giorni (1/3 circa di tutti i segnalati dall'inizio della pandemia) i giovani fino a 18 anni sono arrivati al 20,8%, la fascia 19-50 rappresenta la metà mentre gli ultra 70enni sono scesi il 6,17%

Nel complesso i dati dimostrano la minore gravità della variante omicron, confermata dal turn over dei ricoverati, dal gran numero di dimessi/guariti e dalla riduzione dei nuovi ricoveri.








Dati dall'inizio della pandemia degli ultimi 30 giorni










I ritardi degli ACN rischiano di ritardare il PNRR e non si superano con forzature legislative

Non si cambia la società per decreto

M. Crozier

I patologici ritardi nel rinnovo di ben due ACN triennali metto a repentaglio la parte della Missione 6 del PNRR dedicata al rilancio della medicina territoriale. Eppure fin dal varo del PNRR sono stati segnalati alcuni rischi ed ostacoli per l’attuazione delle case ed ospedali della comunità, vale a dire i punti qualificanti del piano per l'assistenza primaria: la mancanza di definizione di strutture, tecnologiche e norme organizzative per l'assistenza territoriale, normativa nazionale ambigua in materia di assistenza primaria, con conseguente attuazione ineguale a livello regionale, scarsa capacità di coordinare i professionisti, soprattutto quelli con accordi contrattuali, scarsa capacità di coinvolgere il diversi stakeholder, numero e competenza insufficienti del personale dedicato all'attività (si veda il PS).

Non si trattava di un cahier de doléances frutto di opposizione preconcetta al recovery plan, ma dei principali avvertimenti contenuti nelle schede di programma inviate a Bruxelles, dopo l’OK del parlamento italiano, per ottenere il via definitivo ai finanziamenti promessi.
 
Ebbene, all’inizio del 2022 le pessimistiche previsioni paventate nel dossier sono venute alla luce con ritardi e inadempienze di breve e lungo periodo: nei due anni della pandemia si è perso prima il treno dell'ACN triennale 2016-2018, sottoscritto in extremis con altrettanto ritardo il 20 gennaio 2022, e poi anche il successivo ACN 2019-2021 che ha cessato la sua validità temporale prima ancora di essere negoziato.

Se si allarga l’orizzonte temporale ai primi decenni del secolo si registra il ritardo quindicennale nel rinnovo della parte normativa ed organizzativa dell’ ACN, delle deliberazioni sulle case della salute mentre a novembre 2022 cadrà il decennale della riforma Balduzzi, che da allora riposa nei cassetti della maggioranza degli assessorati regionali.
 
AFT e UCCP potevano costituire una rete di protezione per un’efficace gestione della pandemia, le prime addirittura a costo zero; ciononostante sono rimaste sulla carta per il disinteresse dei decisori regionali, a parte alcune eccezioni. Da qui un dubbio legittimo: se in quindici anni riforme, decreti ministeriali, accordi stato-regioni e ACN sono rimasti lettera morta, cosa garantisce che sia portata a termine in un lustro una ristrutturazione epocale come quella del PNNR?
 
La leva per colmare i limiti di un approccio puramente giuridico-formale, come quello che ha ispirato norme rimaste inattuate, doveva venire dalle risorse comunitarie e soprattutto da un cambiamento del metodo di implementazione del PNRR, imposto con il cronoprogramma di riforme dettato da Bruxelles pena la revoca dei finanziamenti.
 
Invece all’inizio dell’anno cruciale per l’avvio del programma di riorganizzazione del territorio siamo ancora alle prese con rinvii, inottemperanze e soprattutto con la riproposizione delle stesse logiche giuridico-formali top down, come l’ipotesi di un rinnovo dell’ACN ope legis, dopo una vacanza contrattuale quinquennale, al pari della rivendicazione del passaggio al rapporto di subordinazione o di un’etichetta specialistica garante del recupero di immagine e ruolo sociale.
 
Per una sorta di coazione a ripetere si reitera la soluzione astratta di norme calate dal centro sui territori, confidando che un atto legislativo emergenziale possa rimediare al tempo perso e indurre ipso fatto cambiamenti sociali complessi che richiedono processi articolati di traduzione pratica, previa negoziazioni e coinvolgimento del sistema socio-tecnico incaricato della messa in atto delle riforme stesse.
 
Senza queste precondizioni anche il più accurato dispositivo normativo rischia nel migliore dei casi l’inefficacia e nel peggiore di sortire effetti perversi o contro-intuitivi, come il rischio di defezioni anticipate dei medici in procinto del pensionamento; potrebbe essere questo l’esito empirico di ACN imposto senza condivisione di obiettivi e strumenti, per via di una “ scarsa capacità di coordinare i professionisti, soprattutto quelli con accordi contrattuali, e coinvolgere i diversi stakeholder”, come ammoniva con preveggenza il dossier sopra citato.
 
In questo contesto risaltano alcuni limiti della bozza di rinnovo dell’ACN divulgato in questi giorni. Accenno solo a due aspetti pratici che mettono in dubbio l’impatto di una convenzione imposta con una forzatura rispetto alle mediazioni sindacali.

1 - Passeranno almeno 2 anni, se tutto va per il verso giusto, prima che siano attive almeno 1/3 delle Case e degli Ospedali di Comunità previsti sulla carta. Nel frattempo dove verranno espletate le attività previste nelle ore che i MMG sono tenuti a svolgere nelle strutture? Inoltre la tipologia standard della struttura prevede 10 sale di consultazione per i medici dell'assistenza primaria, che per un bacino di 45 residenti supera i 35 professionisti tra MMG, PLS, MCA e dei servizi e infermieri di comunità. Come sarà possibile ospitare tutti questi operatori sanitari in contemporanea nella 12 ore diurne, sia per l'assistenza convenzionata individuale a quota capitaria sia per le attività orarie di tipo comunitario?
 
2- Nonostante i propositi del PNRR circa l’assistenza domiciliare occasionale e quella programmata/integrata nella bozza non vi sono dettagli su questa attività, che occupa non meno di 1 ora al giorno ogni MMG in continuità con l’assistenza ambulatoriale. L'organizzazione dell'assistenza domiciliare parte dallo studio del MMG per una intuibile motivazione legata alla prossimità. Si pensi solo ai problemi di spostamento dallo studio del medico, definito nella bozza spoke, alla Casa della Comunità in zone disagiate o scarsamente popolate. Alle 20 ore settimanali di assistenza ambulatoriale dovrebbero essere aggiunte almeno altre 5 ore dedicate a quella domiciliare, riducendo in egual misura quelle da prestare nella sede del distretto o della Casa della Comunità.

Questa incongruenza è ancor più marcata se si pensa che uno dei capitoli della Missione 6 è dedicato proprio all'estensione dell'assistenza domiciliare, con l'ambizioso obiettivo di arrivare al 10% di ultra 65enni curati a casa rispetto all'attuale 6%. A dire il vero nella bozza si accenna all'assistenza domiciliare ma nel segno del paradosso in quanto si prevede che nelle “12 ore settimanali svolte per iniziative definite dal distretto e/o dalla casa della comunità è prevista anche l’ assistenza domiciliare“ potendo “essere svolte presso la casa della comunità (hub e spoke), lo studio del MMG, la sede della AFT, altri locali individuati dalle autorità sanitarie”.
 
E’ difficile immaginare come sia possibile garantire l’assistenza domiciliare in locali diversi da quelli di residenza dell’assistito! Ma tant’è, quest’obbligo potrebbe trovare posto in una norma di legge, al pari di parametri orari rigidi e sottoposti a controllo burocratico, che ignorano la flessibilità dell’impegno professionale sul territorio, sia in studio sia a domicilio del paziente o con il telelavoro da casa, per via di ben note variazioni settimanali e stagionali della domanda.
 
Non si cambia la società per decreto, ammoniva nel secolo scorso il sociologo francese Michel Crozier, figuriamoci quando si tratta di ricostruire e coordinare una complessa rete orizzontale e non gerarchica di servizi socio sanitari ed assistenziali, composta da una pluralità di attori professionali ed organizzativi, pubblici e privati, autonomi e interdipendenti.

P.SRischi ed ostacoli per il completamento dei programmi.

Le schede di accompagnamento degli interventi della misura 6 inviate a Bruxelles comprendono anche la dettaglia elencazione dei rischi e dei potenziali ostacoli per la completa e puntuale realizzazione delle strutture. Quella relativa alla CdC è senza dubbio la più dettaglia e ricca di spunti per un’efficace implementazione delle strutture.

Rischi ed ostacoli per la realizzazione della CdC

1-amministrativi:

         la mancanza di definizione di strutture, tecnologiche e norma organizzative per l'assistenza territoriale;

         il numero di enti e amministrazioni coinvolte;

         la mancanza di connessione tra istituzioni;

         normativa nazionale ambigua in materia di prima assistenza, con conseguente attuazione ineguale a livello regionale;

         disuguaglianza a livello regionale nel livello di attuazione di LEA per l'assistenza sanitaria e nel livello di attuazione istituzionale dell’accreditamento.

 2- organizzativi:

         scarsa capacità di coordinare i professionisti, soprattutto quelli con accordi contrattuali;

         mancanza di omogeneità a livello regionale nell'offerta di servizi;

         difficoltà in individuazione degli spazi idonei messi a disposizione dai comuni;

         scarsa capacità di coinvolgere il diversi stakeholder coinvolti;

         numero e competenza insufficienti del personale dedicato all'attività;

         scarsa responsabilizzazione dei cittadini / pazienti nell'adesione a iniziative di promozione della salute e scarsa integrazione tra Servizi;

         mancanza di formazione specifica degli operatori;

3- finanziari:

        mancanza di risorse ad hoc destinate ai servizi;

        difficoltà nel finanziamento delle attività che non hanno un budget dedicato;

        difficoltà nel governo delle varie fonti di finanziamento da diversi enti e amministrazioni.

 Lo standard previsto per le CdC è senza dubbio il punto più critico della Missione 6 del PNRR. Le CdC così dimensionate – ovvero in media 1 ogni 45-50mila abitanti al centro nord e ogni 35-.40 mila nel mezzogiorno - potrebbero essere adatte alle aree urbane ad elevata densità o perlomeno nei comuni con almeno 50 mila residenti. Peraltro l’infrastruttura prevista e finanziata dal PNRR difficilmente potrà ospitare tutti gli operatori sanitari dell’assistenza primaria, vale a dire MMG, PLS, MCA, medici dei servizi, igienisti, coordinatori sanitari e infermieri di famiglia, per non meno di una quarantina di professionisti, a cui si dovranno aggiungere gli specialisti ambulatoriale, gli operatori amministrativi e gli addetti al centralino.

Queta tipologia sarà meno adatta alle zone extraurbane scarsamente popolate della pianura, della collina e soprattutto della montagna. Tenuto conto che il 90% degli 8mila comuni italiani ha meno di 15mila abitanti e che il 30% della popolazione abita in località con meno di 10mila residenti non sarà possibile garantire l’attuale capillarità assicurata dagli studi dei MMG. Con questi parametri si è fatto un passo indietro rispetto alla prima bozza per cui vi è il rischio di un aumento delle disparità di accesso tra i cittadini in quanto non potranno garantire una buona accessibilità nelle zone disagiate e nei piccoli comuni con popolazione sparsa in frazioni.

I residenti in zone con difficoltà di collegamenti stradali, già ora penalizzati per la distanza dagli ospedali, non potranno di fatto gravitare e fruire delle CdC. Inoltre difficilmente in queste aree i MMG accetteranno di lasciare i propri studi, diffusi sul territorio, per confluire in poliambulatori lontani dalle residenze dei propri assistiti; anche gli operatori sanitari dell’assistenza domiciliare dovranno fari i conti con le difficoltà di spostamento per raggiungere le abitazioni di utenti residenti in piccoli paesi o frazioni distribuiti in ampio territorio con intuibili problemi di viabilità e tempi per i trasferimenti.

domenica 16 gennaio 2022

Guida alla riforma della sanità lombarda

Pagine 140, Versione cartacea ed e-book
Nel secondo semestre del 2021 si è concretizzata per l’assistenza primaria o territoriale una svolta radicale e forse storica nelle policy nazionali e regionali. La pandemia ha amplificato alcuni nodi problematici che covavano sotto la cenere di una apparente normalità, in particolare nell’epicentro pandemico lombardo dove la Medicina Genera (MG) è stata messa a dura prova e ha pagato il prezzo umano più alto. 
Alla fine del 2021 infatti è terminato l’iter di due provvedimenti destinati a segnare una cesura a livello nazionale con ricadute a livello regionale, ovvero: a livello centrale la messa in opera della missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e in sede periferica la revisione della legge regionale lombarda N. 23 del 2015.
In entrambe i casi i provvedimenti hanno a che fare in modo specifico con l’assetto e la gestione dell’assistenza primaria e della MG e sono tra loro correlati: la nuova configurazione del SSR lombardo ha recepito le innovazioni del PNRR per il rafforzamento della sanità territoriale, in particolare case ed ospedali di comunità.
Per comprendere e valutare i cambiamenti introdotti con la "riforma della riforma" Maroni conviene partire dal precedente assetto ripercorrendo l'evoluzione del SSR lombardo degli ultimi anni. In sintesi, alla base dei deludenti esiti della politica sanitaria regionale verso il territorio, nella cornice delle politiche pubbliche, troviamo la stessa teoria (implicita), cioè la managed competition ovvero il cosiddetto quasi mercato, che antepone il principio della concorrenza alla collaborazione tra comparti del SSR, come nel caso della riforma della Presa in Carico (PiC) della cronicità e fragilità approvata nel 2017. 
Nei fatti la soluzione del quasi mercato ha fatto emergere i limiti empirici del New Public Management nella gestione della cronicità e nella governance del territorio. Infatti il passaggio dei cronici dalle cure primarie al Gestore ospedaliero doveva risolvere i problemi organizzativi denunciati nella premessa dei CReG del 2006 circa le presunte carenze della MG nella cura della cronicità.
Questa ipotesi non ha retto alla prova dei fatti ed è stata confutata dal ruolo irrilevante svolto nella PiC dai Gestori ospedalieri, che si sono rivelati “il” problema di una riforma inappropriata, esito amplificato dal Covid-19 sul versante dell'organizzazione dei servizi territoriali. In pratica la managed competition da soluzione dei problemi si è rivelata la spiegazione causale delle difficoltà incontrate dalle policy lombarde sia nella gestione della PiC sia nel contenimento del COVID-19. 
In particolare con la pandemia sono venuti al pettine i nodi della mancata integrazione tra I e II livello, già evidenziati dalla PiC, riconducibili all’ideologia di quasi mercato che ha pervaso le politiche sanitarie verso il territorio nell’ultimo lustro, emblematicamente testimoniato dal disinteresse dei decisori pubblici verso la riforma Balduzzi e la mancata attivazione della AFT.

In questo contesto l’approvazione dell'ennesima riforma segna la fine di un ciclo ventennale di politiche all’insegna della marginalizzazione della medicina territoriale e nel contempo marca una svolta programmatica di 180° nella governance del territorio, con il superamento di fatto della “filosofia” della LR 23. 

D’altra parte era difficile approvare una riforma peggiorativa rispetto alla legge Maroni, se non altro per non perdere l’erogazione dei fondi strutturali del PNRR, vincolati alla ricostruzione e riorganizzazione della rete sociosanitaria deliberatamente smantellata da ventennali politiche ispirate al quasi mercato. Il PNRR può inaugurare un ciclo virtuoso per la sinergia tra interventi istituzionali e concrete realizzazioni dal basso, nel segno del rafforzamento del network di strutture sanitarie, con le Cese e gli Ospedali di Comunità, e della riorganizzazione della medicina generale. Il volume illustra la situazione dei servizi territoriali pre-pandemia, le dinamiche innescate dal Covid-19 nell'organizzazione ospedaliera e territoriale e le prospettive dalla riforma della legge 23 per il rilancio dell'assistenza primaria.

sabato 15 gennaio 2022

COVID-19: evoluzione settimanale dell'ondata omicron al 14 gennaio

Evoluzione settimanale della IV ondata: 16 dicembre-14 gennaio

Nelle ultime 4 settimane sono stati registrati oltre 3 milioni di COVID-19 su un totale di 8milioni, vale a dire il 36% di tutti i casi dall'inizio della pandemia, con un continuo aumento settimanale, da +239mila il 24 dicembre a + 1,272 milioni il 14 gennaio; a questo "esplosivo" aumento non ha corrisposto un proporzionale incremento dei ricoveri in area medica e soprattutto in terapia intensiva, passati complessivamente da 10mila a 20mila dal 24 dicembre al 14 gennaio mentre i decessi sono stati 5247.

La letalità è rimasta sotto lo 0,5% a fronte della percentuale dei tamponi postivi  passata dal 4 al 16,5%, sempre dalla metà di dicembre. Nell'ultima settimana vi è stato un incremento del 38% dei nuovi casi, rispetto al 141% dell'ultima settimana del 2021, e del 43% dei decessi. L'ondata di Omicron, che ha sorpassato la delta con oltre l'80% dei tamponi sequenziati, sembra rallentare e forse è arrivata al plateau.

Variazione settimanale in percentuale rispetto al dato di 7 giorni prima

Variazione settimanale in valori assoluti

Variazione assoluta settimanale rispetto al dato di 7 giorni prima

Dati cumulativi ultimi 30 giorni






Il MMG è un libero professionista?

  Le pandemie e il cambiamento climatico si combattono non individuando responsabili prossimali attraverso sistemi prossimali semplificato, ma con una seria ricostruzione delle catene causali entro  un orizzonte temporale di medio-lungo periodo

Vineis e Savarino 2021

Come ha osservato Antonio Panti sul Quotidiano Sanità: "da eroi a capri espiatori il passo è più breve di quanto sembri e gli amministratori del servizio sanitario, dopo aver lasciato i medici di famiglia senza protezioni e supporti, scoprono ora le gravi carenze del territorio”

Può essere interessante analizzare come si è realizzata la transizione dall'eroismo civile al biasimo pubblico, fino alla narrazione mediatica che pone sul banco degli imputati il generalista per ciò che non ha funzionato durante la pandemia. L'ultimo anno è stato contrassegnato da una campagna di stampa in questo senso, caratterizzata dall'interazione tra due argomentazioni che supportano l'atto di accusa, come una sorta di pistola fumante che non richiede ulteriori investigazioni o ricerca indiziaria per dimostrare la colpevolezza del "sospettato".

Il primo argomento è di carattere "ontologico", ovvero la natura libero professionale del medico di MG, che lo porterebbe ad anteporre interessi personali e particolari a quelli derivanti dal ruolo di professionista inserito nel contesto della sanità pubblica, seppure in un posizione di confine come quella del medico del territorio.

Il secondo capo d'accusa è di natura empirica ed organizzativa, complementare a quello ontologico, e sarebbe la dimostrazione dello scarso impegno individuale e dell'inefficienza organizzativa  della MG, a tal punto da spiegare i "disastrosi" esiti della gestione pandemica sul territorio: mi riferisco allo scarso numero di ore dedicate all'attività ambulatoriale, prova fattuale dell'inefficacia della MG nel fronteggiare la pandemia. In un precedente post ho approfondito la questione organizzativa - sollevata sia dai servizi televisivi della giornalista Gabanelli sia da un intervento dei ricercatori del Mario Negri di Milano sul Quotidiano Sanità-  a cui gli interessati non hanno replicato ( https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=98347 ).

Par un'analisi più articolata si veda anche: https://curprim.blogspot.com/2021/12/quale-riforma-per-la-medicina.html e il testo .

E' quindi tempo di considerare l'argomento "ontologico", visto che ricorre spesso nelle analisi di un sindacato come la CGIL medici, tanto da rappresentare le basi della "teoria causale" che spiegherebbe le criticità manifestate dalla medicina del territorio, dovute all' “attuale organizzazione della Medicina Generale, del medico ‘single practice’, libero professionista, isolato dal sistema” che impedirebbe “anche da un punto di vista normativo, la governance del sistema”.

Vale quindi la pena di precisare “tecnicamente” le differenze tra il rapporto di lavoro convenzionato e quello libero-professionale “puro” regolato dalle norme del codice civile (articoli dal 2229 al 2238 sulle professioni intellettuali, all’interno del Titolo III sul lavoro autonomo).

Le caratteristiche del lavoratore autonomo esercente una professione intellettuale sono così riassumibili

  • Iscrizione obbligatoria ad un albo professionale che cura il codice deontologico, detiene potere disciplinare etc sotto la vigilanza dello stato
  • L’attività professionale consiste nell’ esecuzione di una prestazione d’opera intellettuale
  • Il compenso è autodeterminato, commisurato all’importanza dell’opera e al decoro della professione, definito da un contratto con il cliente in regime di concorrenza
  • Il compenso pattuito con il cliente, secondo le modalità stabilite dal Codice Civile, è comprensivo delle spese
  • L' esecuzione della prestazione avviene in modo autonomo e       personale, eventualmente con il contributo di collaboratori, e con responsabilità solo per eventuali danni per dolo o colpa grave

Le caratteristiche della MG convenzionata sono

  • Compiti professionali, modalità di organizzazione, erogazione del servizio, vigilanza e potere disciplinare definite dalle norme di un Accordo Collettivo Nazionale negoziato sottoscritto dalle organizzazioni  sindacali di categoria
  • La facoltà di scelta/revoca del cittadino,      senza pagamento diretto delle prestazioni, configura un rapporto fiduciario tacitamente rinnovato annualmente
  • Compensi a quota capitaria annuale onnicomprensiva più quote per prestazione specifiche (ADP, ADI etc..)
  • Possibilità di esercitare la libera-professionale con i propri assistiti (certificati e visite extra orario) e con altri iscritti al SSN a tariffe pre-definite
  • Retribuzione da parte del cosiddetto terzo pagante, ovvero il SSN, e sistema pensionistico con gestione autonoma rispetto a quello del libero-professionale.

Le differenze tra le due tipologie sono ampie e abbastanza autoevidenti, considerando ovviamente la figura del medico che ricopre in esclusiva il ruolo di MMG e non a "mezzo servizio", come accade con i colleghi che svolgono un'attività specialistica parallela a quella di medico convenzionato con il SSN. Nel caso dello specialista la prestazione è episodica, parcellare, limitata nel tempo e nello spazio, eseguita in forma organizzativa autonoma e retribuita dopo essere stata portata a termine. La medicina generale invece si basa su una relazione continuativa nel tempo e nello spazio con un assistito preso in carico in forma globale, caratterizzata da una varietà di prestazioni non parcellari ma "olistiche", inserite in una dimensione diacronica, secondo regole organizzative definite da una accordo collettivo con il terzo pagante, che si concretizza in una retribuzione annuale prevalentemente a quota capitaria non prestazionale.

La dimensione economica rende bene la differenza tra le due prestazioni professionali

  • il  medico generalista in esclusiva riceve un compenso annuale di circa 70 € ad assistito, il quale può consultare il proprio medico in modo illimitato con accessi ambulatoriali anche plurisettimanali, visite domiciliari, contatti telefonici o telematici etc..; rispetto all'ammontare delle entrate annue i compensi di un MMG sono per oltre il 90% dovuti all'attività convenzionata;
  • lo specialista che svolge attività in regime libero professionale viene compensato con una parcella raramente inferiore ai 100€ a visita, ma spesso anche in misura doppia o tripla, per una singola prestazione professionale ambulatoriale o  più raramente domiciliare.
Un esempio pratico illustra la condizione ibrida e per certi versi paradossale del medico convenzionato: le Note AIFA vincolano le prescrizioni farmaceutiche sul territorio ma spesso sono ignorate nell'ambiente ospedaliero dai medici dipendenti, che pur essendone tenuti, non informano i pazienti - come fa legittimamente il libero professionista - circa la rimborsabilità o meno dei farmaci, con inevitabili equivoci e tensioni tra MMG e paziente in caso di molecole non prescrivibili a carico del SSN.

In sintesi, la tipologia contrattuale a convenzione configura un rapporto parasubordinato, ovvero di lavoro autonomo coordinato e continuativo regolato da ACN, che è appunto una forma ibrida tra la subordinazione e la vera e propria libera professione. Inoltre la MG si distingue anche da altre forme di rapporto di lavoro convenzionato, retribuite con compenso orario simile a quello della dipendenza, come nel caso del medico di CA, dello specialista ambulatoriale o dell'infermiere di famiglia.

Come ha rilevato Paolo Vineis nel recente libro "La salute del mondo, Feltrinelli, "le pandemie e il cambiamento climatico si combattono non individuando responsabili prossimali attraverso sistemi prossimali semplificati, ma con una seria ricostruzione delle catene causali entro un orizzonte temporale di medio-lungo periodo".