Nell’ultimo mese in Lombardia si sono sviluppate due iniziative pubbliche parallele sulla carenza di MMG in alcune zone della regione, dove molti cittadini sono privi di assistenza primaria. Da un lato la Lega Nord ha montato 500 gazebo nelle piazze per raccogliere le firme dei cittadini su una petizione che accusa il governo di incapacità a risolvere il problema; dall’altro contemporaneamente un partito concorrente a livello locale ma alleato a Roma, vale a dire il PD lombardo, ha promosso un’analoga iniziativa on line con un intento speculare, ovvero di “dare la colpa” della situazione critica alla giunta regionale.
La proposta del partito di Matteo Salvini segnala
una svolta radicale rispetto alle posizioni precedenti. Era la fine di agosto
2019 quando durante un incontro pubblico di fine estate l’onorevole Giorgetti,
allora ministro del primo governo Conte, aveva avanzato la sua “diagnosi”: “Nei
prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di
base, senza offesa per i professionisti qui presenti? Nel mio piccolo paese
vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e
cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito”.
Ruvida opinione personale, sfuggita alla
tradizionale diplomazia della politica, o lucida analisi della situazione? A
distanza di 30 mesi, dopo due governi, una pandemia ed ora una guerra che promette
un impatto non meno perturbante, per una curiosa legge del contrappasso l’orientamento
verso la MG è radicalmente cambiato di segno: dalla squalifica alla promozione
di un’intera categoria professionale.
Le cause della diffusa carenza di medici sul territorio sono note da più di un lustro e si sono aggravate per i riardi degli ACN, a livello nazionale e locale: il blocco del ricambio generazionale per il mancato adeguamento delle borse per il Corso di Formazione specifica, il pensionamento anticipato per il logoramento dei medici del baby boom, il disinteresse dimostrato dai decisori pubblici verso la medicina del territorio emerso con evidenza durante la pandemia., un malessere diffuso per la burocratizzazione della professione e per le tensioni con assistiti dovute a contraddizioni per le quali il medico fa da parafulmine, essendo per giunta bollato come fannullone ed accusato di “scarsa produttività”, una difficile integrazione tra cure primarie e specialistiche per vincoli prescrittivi difformi e regole farraginose.
La sommaria analisi dell’On. Giorgetti provocò
a suo tempo reazioni risentite da parte di molti osservatori e archiviata come
un’uscita infelice, ma a distanza di tempo dopo gli eventi del 2020-2021 può
essere letta in modo più articolato. Proviamo a decodificare il discorso per evidenziarne
il senso programmatico. L’opinione del ministro può essere interpretata in
chiave cognitivo-comportamentale, in quanto parte da constatazioni di fatto per
arrivare ad una conclusione generale, che è nel contempo una dichiarazione di
intenti e un proposta di soluzione del problema.
Il dato comportamentale è evidente: la
gente by-passa il primo livello perché non trova sul territorio una risposta
alle sue esigenze, ovvero una soluzione tecnologia e specialistica ad un
problema emergente. Per questo si rivolge in prima battuta al dott. Google, che
propone ciò che non viene garantito dalla medicina di I livello. Così la consultazione
medica si rivela un vuoto rito e, proprio per questo, il professionista ha
perso la credibilità d’un tempo e la fiducia della gente. Tanto vale procedere
di propria iniziativa, in nome dell’autonomia e dell’empowerment del paziente
che i medici stessi promuovono a parole. Conclusione: se così stanno le cose la
paventata carenza di medici di MG non è poi così grave ed impellente come viene
rappresentata.
Questa descrizione del problema rientra in
un frame economico, preludio alla sua soluzione razionale: esiste un evidente
squilibrio tra domanda ed offerta organizzativa, cioè tra bisogni soggettivi
dei pazienti e volumi di prestazioni erogabili dal sistema, che esita nella “defezione”
delle gente dal I livello verso le strutture che possono compensare tale gap,
sia private accreditate che libero professionali; a causa delle infinite liste
d’attesa e di ticket salati la gente decide autonomamente di rivolgersi in
prima battuta ad uno specialista, saltando un inutile passaggio dal MMG. Insomma
il cronico dislivello tra domanda e offerta può essere colmato da una sana competizione
tra pubblico e privato.
L’analisi economica si applica a bisogni insoddisfatti,
percepiti come urgenti o oggettivamente tali, che il blocco delle prestazioni
durante la pandemia ha aggravato. Tuttavia esiste un’altra categoria di frequentatori
degli studi medici alle prese con lo stesso problema, ovvero quel 30-40% di
cronici che consuma i ¾ delle risorse economiche e di tempo
clinico-assistenziale. A questa popolazione si rivolgeva proprio in quei mesi la
riforma lombarda della Presa in Carico (PiC) della cronicità e fragilità, a
partire da una soluzione di mercato non dissimile da quella avanzata per i
fatti acuti.
La PiC ha riproposto il frame esplicativo della
riforma dei CReG, una sorta di DRG della cronicità risalente al 2012, la cui
premessa recitava: «la realtà dei fatti ha mostrato che l’attuale organizzazione
delle cure primarie manca delle premesse contrattuali e delle competenze
cliniche, gestionali ed amministrative richieste ad una organizzazione che sia
in grado di garantire una reale presa in carico complessiva dei pazienti
cronici al di fuori dell’ospedale».
La soluzione dalla PiC era ancor più
radicale, nel segno del quasi mercato interno: spostare il baricentro della cura
della cronicità da un territorio inaffidabile, sul piano clinico ed
organizzativo, al contesto ospedaliero, con il passaggio dei pazienti dal
generalista al clinical manager specialistico in grado di sopperite ai deficit
delle cure primarie. Quali sono stati gli esiti dell’operazione è una questione
ormai archiviata, a causa del combinato disposto tra limiti concettuali di una
riforma destinata a rompere l’equilibrio sistemico e l’impatto della pandemia;
la PiC non ha superato questa doppia prova empirica e si è arenata definitivamente
sulle secche del disinteresse delle strutture private. Basti pensare che tutti i Gestori ospedalieri della PiC hanno arruolato solo il 5% dei 300mila cronici, rispetto al 95% di quelli presi in carico dai MMG in Coop.
Insomma il quasi mercato a concorrenza verticale tra I e II livello non ha mantenuto le promesse di rimediare alle carenze della MG, anzi a posteriori ne ha rivalutato paradossalmente il ruolo, tanto enfatizzato come centrale quanto contraddetto da policy ventennali all’insegna dell’incuria. Ora per di più il mercato, impropriamente coinvolto nella PiC, si è preso una sorta di rivincita con la cronica carenza di medici di MG, che può essere ricondotta al dislivello tra la domanda di generalisti e l’offerta sul mercato del lavoro. Due sono le principali concause: il deficit di borse per la Formazione specifica e soprattutto e lo scarso appeal della professione per un gap tra trattamento economico umiliante dei Corsisti di serie B verso gli Specializzandi di serie A. Il presidente Biden ha suggerito in modo sbrigativo e diretto la ricetta per riequilibrare la dinamica domanda-offerta: “Gli imprenditori dicono che non riescono a trovare dipendenti? Io vi dico, pagateli di più”.
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