Correva l'anno 2015 e con questa dichiarazione due consiglieri regionali lombardi annunciavano la messa a punto della riforma sulla Presa in Carico (PiC) della cronicità e fragilità, varata nel 2018:
"Abbiamo disegnato un meccanismo istituzionale che può fare a meno di loro, credo comunque che ci siano molti medici di medicina generale contenti di questa soluzione".
Le affermazioni squalificati dei due esponenti della maggioranza venivano riportate dal quotidiano L'Eco di Bergamo provocando la ferma reazione del sindacato FIMMG: “Ci sentiamo offesi. Sospeso ogni incontro in Regione”.
Quella informale dichiarazione di intenti era stata preceduta dalla posizione ufficiale contenuta nella delibera del 2011 sui CReG - antesignani della PiC - che esordiva con un severo giudizio nei confronti della MG
..la realtà dei fatti ha mostrato che l’attuale organizzazione delle cure primarie manca, in termini complessivi, delle premesse contrattuali e delle competenze cliniche, gestionali ed amministrative richieste ad una organizzazione che sia in grado di garantire una reale presa in carico complessiva dei pazienti cronici al di fuori dell’ospedale.
Entrambe le tesi erano le premesse teoriche per avviare un'operazione di task shifting, vale a dire il passaggio in massa dei cronici dalla gestione territoriale a quella specialistica ospedaliera, per una sorta di esautoramento del MMG considerato inadeguato al compito di curare i pazienti affetti da fattori di rischio isolati o vere e proprie patologie come diabete mellito, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, PBCO e così via. A distanza di pochi anni dall'implementazione della PiC nel 2018-2019, complice il Covid-19, la riforma annunciata naufragava, a dispetto delle attese, per l'indifferenza dei diretti interessati a migrare dalla medicina territoriale a quella ospedaliera e per il disinteresse degli specialisti a farsene carico.
Come è stato possibile questo esito contro-intuitivo e come si spiega un'affermazione di principio così disallineata dalla realtà dei bisogni dei pazienti? Probabilmente se i due consiglieri regionali si fossero interrogati sulle opinioni dei cronici, circa le prestazioni dei MMG documentate da numerose indagini demoscopiche, le loro convinzioni e i loro propositi sarebbero stati meno tranchant e più realisti.
La realtà, come insegnano da un secolo sociologi e filosofi, è una
costruzione sociale e culturale mediata dalla comunicazione, che lungi
dal fornire un resoconto passivo ed oggettivo su quanto accade la fuori,
contribuisce ad una percezione di “normalità” quanto più è condivisa
dai media, tanto da divenire uno scontato pre-giudizio. Inutile stupirsi
e stracciarsi le vesti, questo è il gioco della comunicazione che crea
la realtà, anche se talvolta attraverso l’indagine scientifica può
emergere una configurazione inattesa disallineata dalla vulgata
prevalente. Perché la percezione e la rappresentazione dei fatti è
frutto anche di interazioni simboliche, pratiche sociali situate e
relazioni vis a vis, dalle quali possono emergere le opinioni “tacite”
degli attori.
Il leit motiv sulla scarsa affidabilità e professionalità dei MMG - a base di accuse di essere un libero professionista ben pagato e poco efficiente/efficace come quelle del governatore laziale - perdura da anni resistendo a dati empirici contrari, come le proteste dei cittadini rimasti senza medico in giro per la penisola, oppure la scarsa attrattività della professione, per cui a dispetto di un trattamento economico e normativo vantaggioso e privilegiato i posti al Corso regionale non vengono assegnati per un 1/3 e le zone carenti sul territorio restano tali per anni, tanto da sollevare appunto le proteste dei residenti.
Come si spiega questo curioso paradosso, per cui la gente protesta perché non usufruisce più di un servizio ritenuto dagli osservatori “fallimentare” e i laureati snobbano una professione redditizia ed esclusiva? Ma tant’è, i luoghi comuni sono coriacei e resistenti alle perturbazioni dei dati di fatto e al confronto con la realtà documentata dalle indagini scientifiche che confutano pregiudizi, percezioni personali e valutazioni ideologiche autoreferenziali apparentemente incrollabili, tanto da motivare una sorta di cronicità contro l' "infedeltà" della MG, come quella condotta del Data Room del Corriere della Sera a partire dal 2021.
COMMENTO. In nessun altro settore come la medicina del territorio si adatta il motto/pilastro dell'epistemologia, in chiave metaforica ma anche in senso proprio: LA MAPPA NON E' IL TERRITORIO, IL NOME NON E' LA COSA. Per evitare di costruire rappresentazioni parziali della realtà disallineate dai dati di fatto si devono adottare diverse lenti e punti d’osservazione, ovvero mappe a diversa scala dello stesso territorio, per evitare di costruire immagi stereotipate, viziate da generalizzazioni o da euristiche/bias (della disponibilità e/o rappresentatività) che porta ad attribuire all'intera categoria i caratteri di una sua parte, nel bene o nel male.
Il confronto con il giudizio dei diretti interessati sulla MG è lo strumento senza il quale si rischia di adottare una rappresentazione fuori misura o semplificata rispetto alla varietà/complessità dell'oggetto. L’esperienza dul campo obbliga a confrontale la propria MAPPA con quella che si ricava dalla pratica e dal full immersion in prima persona, per toccare con mano l'importanza delle componenti situate e delle relazioni nel contesto territoriale.
E' dal confronto tra le premesse implicite di sfondo, date per scontate, e la realtà fattuale che emerge la conoscenza e l'apprendimento, come viene sperimentato dai tirocinanti del sesto anno di medicina che approdano sul pianeta MG, dove scoprono con sorpresa che esiste un'altra dimensione clinico-assistenziale, un specifico stile di lavoro e di relazione, non riducibili al modello nosocomiale.
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