sabato 30 giugno 2018

La gestione delle malattie croniche secondo il Professor Assal

Il professore ginevrino Philippe Assal è il pioniere dell'elaborazione culturale e della pratica assistenziale verso le malattie croniche; da decenni si occupa in particolare di diabete ed è il padre dell’educazione terapeutica di questa ed altre condizioni croniche. Il suo modello formativo e gestionale è un riferimento per tutti gli operatori sanitari ed è stato fatto proprio dall’OMS. Vale quindi la pena di riproporre sinteticamente le sue idee nel momento in cui la gestione della cronicità è al centro dell’attenzione della politica e al vertice dell’agenda pubblica, sia per gli addetti ai lavori che per i diretti interessati.

La tesi di fondo dell’educazione terapeutica è semplice e chiara: l'approccio alla malattia cronica rappresenta per tutti gli operatori sanitari una sfida epocale che obbliga a confrontarsi con vari sistemi di pensiero e di azione, oltre a quello biomedico tradizionale, vale a dire la sfera educativa e psicosociale per un nuovo approccio culturale ed organizzativo alle cure. L’obiettivo è di riallineare i modelli esplicativi della malattia più diffusi e radicati tra la gente, vale a dire la condizione infettiva acuta, con la nuova realtà della malattia cronica, praticamente sconosciuta fino allo sviluppo della medicina scientifica. 

Nell’arco di pochi decenni, grazie alla scoperta e all’uso clinico dell’insulina negli anni trenta del 900, il destino di schiere di malati, come i diabetici ad esordio giovanile, è cambiato quasi “miracolosamente”: da una vita segnata da stenti e non di rado dall’exitus in giovane età, ad una lunga sopravvivenza in buone condizioni, seppur a prezzo di cure e controlli assidui e con il rischio di complicazioni tardive. Il punto di partenza del modello di educazione terapeutica di Assal è la differenza tra condizione acuta e cronicità.

Infatti nella malattia acuta
·         segni e sintomi sono evidenti e si manifestano in modo più o meno repentino;
·         la crisi costituisce un momento critico, talvolta a rischio della vita, e si conclude con la restitutio ad integrum
·         bisogna formulare urgentemente una diagnosi rapida e dare inizio al trattamento terapeutico
·         l’approccio è di tipo riduzionista, si presta attenzione solo all’essenziale
·         il processo diagnostico-terapeutico in acuto è il modello di riferimento della formazione medica e influenza l’identità professionale
·         rappresenta meno del 10% dell’insieme delle visite del medico.

Nella malattia cronica invece
  • la guarigione e/o la restitutio ad integrum di regola non è possibile
  • mancano sintomi evidenti e spesso il decorso resta silente per anni al di fuori delle riacutizzazioni o delle crisi
  • se sono presenti dolori, questi tendono a persistere o a recidivare
  • spesso non vi è correlazione tra sintomi soggettivi e parametri biologici
  • l’evoluzione clinica resta incerta sul lungo periodo
  • può dipendere ed essere influenzata dallo stile di vita e dalle abitudini voluttuarie
Queste differenze hanno importanti conseguenze sull’identità professionale dei medici, sulle aspettative dei pazienti, sulle concezioni e sulle valutazioni di entrambi circa la natura della malattia, la qualità dell’assistenza e gli obiettivi delle cure. Oggi grazie a nuovi modelli di formazione degli operatori e di educazione dei pazienti l’arsenale terapeutico si è arricchito di un nuovo approccio che consente di migliorare il compenso metabolico, ridurre l’incidenza delle complicanze acute e croniche più gravi del diabete. Tuttavia per raggiungere questi risultati è necessario un coinvolgimento e un elevato grado di interazione tra medico e assistito (ad esempio i contatti telefonici sono frequenti) in un contesto organizzativo-gestionale di tipo quasi “militare”.

Secondo il Prof. Assal il cambiamento necessario per seguire i malati cronici è cruciale e comporta una nuova attenzione, da parte degli operatori sanitari, per la persona, le sue idee, la famiglia e l'ambiente sociale. Ognuno di questi livelli sistemici, oltre a quello biologico vero e proprio, può influenzare il decorso della malattia cronica e deve essere preso in attenta considerazione. Occorre un salto di qualità culturale per passare dal mondo biologico (i processi metabolici implicati nella malattia diabetica) a quello psicosociale (il malato nella sua interezza “ecologica”). Questo obiettivo comporta un riallineamento culturale tra i modelli esplicativi della malattia della gente (la cosiddetta ilness degli antropologi medici) rispetto agli schemi concettuali prevalenti a livello di formazione, "incorporati" nelle pratiche assistenziali e nelle organizzazioni sanitarie (il desease, ovvero la concezione biomedica della malattia).

In tutti i paesi e nelle diverse realtà culturali i malati cronici hanno in comune il senso di solitudine per la loro malattia.  I bisogni dei pazienti affetti da una patologia cronica sono ormai noti:
ü  ricevere cure di qualità
ü  avere la possibilità di manifestare attese e timori
ü  confidare che i curanti tengano conto delle opinioni e delle credenze della gente
ü  essere aiutati nel processo di adattamento alla malattia
ü  acquisire un saper fare per gestire la malattia in modo da
ü  conservare l’autonomia potendo nel contempo collaborare con i curanti.

Di conseguenza la relazione tra medico e assistito deve evolvere verso nuove forme che contemplino
ü  la condivisione del sapere e del potere in un modello di rapporto in cui l'operatore accetti di essere "guidato" dal paziente
ü  il superamento del riferimento teorico-pratico alle cure intensive che evoca un medico attivo e un paziente passivo recettore delle prescrizioni
ü  un accordo-compromesso tra schemi concettuali biomedici e credenze-logiche dell'assistito
ü  una nuova sensibilità per i problemi psicosociale e per il mondo della vita dei malati.

Strategie e tecniche di apprendimento, messe in atto nel corso del processo di educazione terapeutica, sono ispirate a queste principi programmatici. Ad esempio è richiesto al medico di adattarsi ai desideri del diabetico, anche se non si può rinunciare all’obiettivo pedagogico per eccellenza, ovvero l’evoluzione delle idee preconcette sulla malattia e il tentativo di integrare le nuove conoscenze con le abitudini di vita.

Assal sottolinea il fatto che le abilità pratiche acquisite dai pazienti sono il prodotto di turbamenti personali che richiedono l’elaborazione di nuovi significati della propria esperienza di malattia. A livello personale ogni malato è uno scienziato che sperimenta la validità dei consigli e delle prescrizioni del medico, ad esempio sospendendo il farmaco per verificarne l'efficacia. Così in certi casi la non-compliance è un processo quasi scientifico di validazione delle cure. La reazione del medico a questi esperimenti deve prendere in considerazione un franco confronto tra credenze del paziente e sapere medico ufficiale.

Per facilitare l'apprendimento è necessaria empatia, un'atmosfera positiva e, talvolta, anche un pizzico di spirito umoristico che non guasta. E’ dimostrato che l'educazione terapeutica riduce le complicanze acute e croniche, le ospedalizzazioni, i costi diretti e indiretti e migliora la qualità di vita della gente. Per raggiungere questi obiettivi si richiede una formazione terapeutica sistematica che superi la frammentarietà di una gestione orientata ad affrontare solo gli aspetti organici ed episodici della malattia.

Purtroppo però nell’attuale assetto dei servizi sanitari non sempre i medici che interagiscono con il diabetico sono in grado di comunicare efficacemente tra loro. E’ quindi necessario che anche l’organizzazione dell’assistenza evolva verso modelli che mettano al centro processi di integrazione e di continuità assistenziale tra i vari attori che si alternano alla cura dei malati cronici in una dimensione sistemica a rete.

L’approccio biomedico tradizionale trascura una dimensione molto importante dell’esperienza di malattia: le idee, le credenze, le attese e i pregiudizi del malato che deve essere aiutato ad esprimere le sue preoccupazioni nascoste. E’ quindi prioritaria una formazione continua che abitui gli operatori sanitari a considerare non solo l’equilibrio metabolico ma anche quello psicosociale e a prestare attenzione alle rappresentazioni mentali del malato, vale a dire i modelli esplicativi ed interpretativi della sua condizione di malato.

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