lunedì 20 giugno 2022

PON GOV cronicità: il dimesionamento dei servizi in rapporto alle risorse del sistema (capacity produttiva)

Il documento PON GOV Cronicità aggiorna alcune parti del Piano Nazionale della Cronicità in relazione alle novità introdotte con il PNRR per quanto riguarda la gestione del cronici sul territorio con il supporto dell'ICT. L'argomento viene approfondito nel capitolo 5, dedicato agli strumenti di gestione come PDTA/PAI, e ripreso nel capitolo 9 che propone la valutazione delle risorse necessarie per la cura dei pazienti, in termini di frequenza delle visite e monte ore dedicato alle quattro coorti di assistiti così classificati:

Mono patologici : 19% della popolazione residente;
Pluripatologici: 21% della popolazione residente;
Long Term Care : 5% della popolazione residente (sottoinsieme del cluster pluripatologico);
Fine Vita: 1% della popolazione residente.

Il documento ipotizza che MMG, infermieri e medici specialisti dedichino 120 ore al mese ai pazienti cronici, come indicato da un panel di esperti delle cure primarie, tenendo conto della dotazione di personale esistente nel 2018 Emilia-Romagna e in rapporto ad un bacino medio di 60.000 cittadini.

Il modello considera diversi parametri per il fabbisogno orario necessario per la PiC dei diversi cluster, moltiplicando frequenze delle visite/prestazioni con la loro durata e con la numerosità di pazienti presenti in ogni cluster, per verificare la fattibilità della PiC. Il documento propone tre scenari rispetto all’obiettivo dell’equilibrio tra obiettivi gestionali e risorse organizzative disponibili, nell’ottica di definire ipotesi alternative di priorità per la presa in carico. 

Di seguito sono illustrarti tre scenari relativi solo all’impegno dei MMG, tralasciando il contributo degli specialisti e degli infermieri.

1) Il primo scenario propone una intensità assistenziale “standard”, ovvero ottimizzata per cluster di pazienti, sia in termini di frequenza sia di durata delle visite del MMG

·       una visita una volta ogni due mesi ad un paziente mono patologico,

·       una visita al mese ad un paziente pluri patologico,

·      due visite al mese ad un paziente long term care e una visita alla settimana ad un paziente in fine vita,

·    si prevede una durata delle visite ai pazienti mono patologici e pluri patologici di 15 minuti e di 1 ora per le altre due categorie, considerando anche gli spostamenti da/per il domicilio,

Con questa ipotesi le attuali risorse di MMG della regione ER, a cui fa riferimento il modello, coprirebbero solo il 43% del fabbisogno necessario alla gestione dei 3 cluster.

 2) Il secondo scenario considera risorse di personale fisse e non aumentabili, calcolando di quanto bisogna ridurre l’intensità assistenziale per raggiungere una presa in carico diffusa, con standard assistenziali ridotti, così articolati nel caso del MMG,

·       per i mono patologici le visite mensili diminuirebbero del 68%, passando da una volta ogni due mesi ad una volta ogni sei mesi,

·       i pluri patologici verrebbero visitati il 67% in meno rispetto al modello standard, ovvero una volta ogni tre mesi invece che mensili,

·       nei pazienti long term care e in fine vita la frequenza delle visite verrebbe ridotta della metà (una volta al mese per i long term care e due volte al mese per i pazienti in fine vita).

Per garantire assistenza a tutti i pazienti, in base alla dotazione di personale rilevata in ER, i MMG dovrebbero diminuire la frequenza di viste del 59% in media, con il picco del 68% per i mono patologici.

3) Il terzo scenario invece recupera l’intensità assistenziale standard del primo modello ma ricostruisce l’equilibrio tra prevalenza delle patologie e risorse disponibili riducendo in varia misura le percentuali di pazienti presi in carico, a vantaggio del gruppo fine vita

·       per il MMG il numero dei pazienti viene ridotto in media del 54%,

·      i mono patologici in un bacino di 60.000 persone scenderebbe da 11.400 a 5.500 (-52%),

·        i pluri patologici diminuirebbero di 5.400 unità (-57%),

·       i non autosufficienti si ridurrebbero del 63%, passando da 2.700 a 1.000,

·       i pazienti in fine vita diminuirebbero del 44%, passando da 550 a 280 unità.

Certamente il contributo degli infermieri potrà sopperire al deficit di MMG, come si afferma nel documento ipotizzando in futuro uno skill mix change tra medici e infermieri che sposti almeno il 33% delle attività a favore dei cronici da figure cliniche ad altre professioni sanitarie, anche grazie ad un differenziale di costo di 2,5 per operatore (il costo del lavoro di un medico equivale al costo di 2,5 infermiere).  

Invece il contributo di 120 ore degli specialisti ambulatoriali ed ospedalieri appare piuttosto aleatorio, visto il diffuso deficit di professionisti dedicati al territorio, mentre il controllo dell'aderenze alle terapie può essere svolta dalle farmacie di servizio, coordinate dalla Casa della Comunità. Per quanto il documento ammetta che 

  • l’ipotesi di 120 ore mese effettive di tempo dedicate alle visite per tutte i professionisti sia generosa 
  • e che la capacity di riferimento dell'ER sia distante dalla media nazionale, soprattutto nelle regioni in piano di rientro.

è comunque difficile pensare che una delle tre ipotesi si possa applicare in tutti i contesti regionali, specie nelle zone disagiate o nelle grandi aree metropolitane a maggiore densità abitativa.

COMMENTO

L’aspetto più critico è la previsione di 120 ore mensili dedicate all’assistenza dei pazienti cronici quando secondo l’attuale ACN, integrato dall’AIR, un massimalista è tenuto ad un orario di studio settimana di 15-20 ore, nelle quali oltre ad assistere i pazienti cronici deve far fronte a tutte le altre patologie acute, alla ripetizione delle prescrizioni, alle certificazioni INPS e INAIL e a tutta l’attività di tipo burocratico che occupa buona parte dell’attività ambulatoriale (si pensi solo alla pandemia o ai mesi della normale epidemia influenzale).

E’ improbabile che nel panel di esperti che ha elaborato gli scenari proposti nel documento fossero presenti dei medici pratici o semplicemente responsabili dell’assistenza primaria con un minimo di esperienza sul campo in MG. Anche ipotizzando che l’incremento orario previsto dalla proposta di ACN ibrido, ovvero a ciclo di scelta più debito orario da svolgersi nelle CdC, sia completamente dedicato alla gestione della cronicità un MMG medio non sarebbe in grado di garantire gli obiettivi ipotizzati nella seconda ipotesi.

A questo proposito i tempi previsti nello scenario “standard” sono del tutto irrealistici, lontani dalle pratiche e dall’attuale assetto organizzativo delle cure primarie e con consistenti rischi di medicalizzazione e patologizzazione dei soggetti con monopatologia, che in maggioranza sono portatori di un fattore di rischio senza veri e propri danni a livello degli organi “bersaglio” dell’ipertensione arteriosa e/o dell’iperglicemia/dislipidemia. Basti pensare al tempo necessario per la redazione e l'aggiornamento del PAI sulle piattaforme telematiche in caso di semplice fattore di rischio isolato, in parallelo alla gestione dei dati con software di studio, che senza l'interoperatività tra i sistemi informativi comporta inutili duplicazioni di procedure con utilizzo inappropriato della risorsa tempo.  Inoltre mancano riferimenti alla stratificazione del rischio CCV per poter individuare in ogni cluster soggetti ad alto rischio, indipendentemente dal numero di patologie codificate.

Anche lo scenario più vicino alla realtà non tiene conto che nel prossimo triennio si aggraverà il deficit di MMG in attività, per il combinato disposto dei pensionamenti anticipati dei medici in età di quiescenza e dell’insufficiente ricambio generazionale garantito dalle borse di studio del CFSMG. Per queste motivazioni un mix tra il secondo e il terzo scenario appare la soluzione più realistica e appropriata rispetto alle attuali condizioni normative e contrattuali della MG e del territorio in generale. Nell'elaborazione delle tre ipotesi sono stati considerati solo 2 parametri, vale a dire la frequenza delle visite e la loro durata media; a queste variabili andrebbe affiancato anche lo strumento di gestione clinico-assistenziale, cioè il PDTA piuttosto che il PAI. 

Un appropriato mix tra questi due potrebbe migliorare ulteriormente l'equilibrio tra universalità della PiC e intensità assistenziale ad personam, nel senso dell'applicazione del PDTA per i pazienti a basso rischio, sia mono che polipatologici, e della redazione del PAI per quelli ad alto rischio e/o fragili o a fine vita. A fare la differenza non sono solo il numero e la durata delle visite ma anche il differenziale di procedure richiesto dal PAI rispetto ai PDTA.

Infine non vanno trascurati

  1. i risvolti etico-deontologici del terzo scenario, correlati alla selezione dei pazienti da arruolare a scapito degli esclusi e 
  2. i potenziali conflitti inter-professionali nell'ipotesi di skill mix change tra medici e infermieri.

venerdì 17 giugno 2022

Il disagio dei medici di MG: basi socioculturali

Tratto da: IL MALESSERE DELLA MEDICINA GENERALE
La riforma dell’assistenza primaria dopo la pandemia: ultima spiaggia o inevitabile declino?
Edizione KDP, aprile 2022, pag. 199

Il medico di medicina generale (MMG) vive dall’inizio del secolo un periodo di disagio che cova sotto la cenere e di rado viene a galla sui media tradizionali; il malessere si manifesta perlopiù con “sfoghi” sui social media che tradiscono un misto di risentimento, demotivazione e rassegnazione. Per descrivere questo clima emotivo e cognitivo collettivo può essere utile la nozione powerlesness, che connota il vissuto di quanti si trovano in un contesto lavorativo giudicato svantaggioso, demotivante, frustrante, limitante l’autostima e il contributo creativo all’organizzazione (Piccardo,1994). 

Emblematica a questo proposito è l'esternazione del ministro Giorgetti che a fine estate 2019 osservava: “Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti? Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito”. Questa sorta di sindrome collettiva da perdita di ruolo, ha radici socioculturali e basi epistemologiche riconducibili all’interazione tra alcune tendenze. Vediamole schematicamente.

1-   Lo sviluppo tecnologico e scientifico comporta l’obiettiva difficoltà per i professionisti di mantenersi al passo del rinnovamento delle acquisizioni teorico-pratiche. I progressi della tecnologia biomedica spingono lo specialista verso una ulteriore settorializzazione professionale che si focalizza attorno a specifiche tecniche diagnostiche e/o terapeutiche (Ardigo, Mazzoli,1994) ed emargina il generalista per sua natura non-specialista con una vocazione all’approccio olistico, biopsicosociale e culturale. A questa tendenza si somma la proliferazione di nuove professioni sanitarie, formalmente riconosciute e istituzionalizzate, che aumenta l’offerta sul mercato delle prestazioni ed erode ulteriormente la spazio di intervento e l’autonomia decisionale del generalista. Infine sul piano sociale prevale un’induzione della domanda da parte dell’offerta, che il sistema pubblico non riesce a soddisfare pienamente, in un contesto di patologizzazione e medicalizzazione mediato (Domenighetti 2007, p. 114-117)

  • dalla sistematica revisione al ribasso delle soglie dei parametri biologici che definiscono “il patologico” per una serie di fattori di rischio, assimilati a condizioni di malattia ;
  • dalla generalizzazione delle diagnosi precoci percepite dalla popolazione come sinonimo di guarigione-,
  • dall’attribuzione dello statuto di “malattia” a condizioni che fanno parte del normale processo biologico della vita, ad esempio con campagne di disease mongering;
  • dalla promozione di aspettative di efficacia verso l’impresa medica che vanno al di là di ogni ragionevole evidenza scientifica e che alimentano una privatizzazione di fatto, dovuta al deficit di offerta pubblica, proporzionale all’allungamento delle liste e dei tempi di attesa per le prestazioni di diagnostica ambulatoriale. 

2-    Con la diffusione del Web si è ridotta l’asimmetria informativa tra medico e paziente in proporzione diretta all’affermazione della disintermediazione offerta dalla rete e del tramonto della tradizionale dipendenza paternalistica. Ciò si traduce, da un lato. in maggiore autonomia del paziente divenuto “esigente” e in certi casi rivendicativo fino all’uso strumentale della revoca, dall’altro, in aspettative di efficacia “tecnica” che favoriscono il by-pass delle cure primarie a favore di risposte specialistiche, come nella situazione tratteggiata dall’on Giorgetti. In modo complementare l’autonomia decisionale del medico è stata progressivamente condizionata dalla cosiddetta “medicina amministrata”, che si concretizza in vincoli normativi e prescrittivi via via stratificati nel tempo, per il controllo della spesa sanitaria a causa della perdurante crisi della finanza pubblica. 

3-      L’evoluzione della società è guidata dalla suddivisione in sottosistemi; la logica che spinge verso una crescente differenziazione funzionale del sistema sociale e di divisione del lavoro è il tentativo di affrontare e ridurre la complessità ambientale con una speculare segmentazione del sapere e delle pratiche. Ogni sottosistema funzionalmente differenziato della società è orientato ad un proprio codice, a criteri valutativi, a schemi cognitivi e routine operative che garantiscono l’autonomia rispetto agli altri sotto sistemi (Baraldi, 1994). La risultante della differenziazione è la proliferazione delle subprofessioni all’interno di ogni branca medica e la focalizzazione su settori patologici sempre più ristretti; di conseguenza, come afferma Ardigò, in un sistema complesso "la risposta specialistica tende sempre a prevalere su quella a minore differenziazione" (Ardigò, 1990) con intuibili risvolti sul triangolo relazionale paziente-MMG-specialista (ad esempio con l’introduzione di Piani Terapeutici per farmaci di esclusiva prescrizione specialistica e preclusi al MMG). La differenziazione funzionale comporta il rischio di effetti indesiderati, come la divaricazione tra pratiche tecno-specialistiche ospedaliere in acuto e gestione olistica della cronicità sul territorio (Asioli, 2019). Con questa chiave interpretativa si può leggere il profilo “residuale” del MMG, non specialista per eccellenza, proposto alla stregua di un impiegato esecutivo e potenziale terreno di “bracconaggio” e sconfinamento professionale sul territorio, per quella che è stata definita la “generalizzazione” delle medicina di II livello. 

4-     Il paradigma di semplificazione costituisce lo sfondo culturale e cognitivo delle tendenze sopradescritte (Morin, 1993). Due sono i suoi pilastri che orientano l’azione e la conoscenza: il principio di disgiunzione e quello di riduzione. Per conoscere un oggetto occorre innanzi tutto disgiungerlo, separarlo rispetto all’ambiente: la conoscenza è tanto più solida quanto più è decontestualizzata e standardizzata mentre la varietà, unicità, complessità del contesto sono considerati irrilevanti o fattori di disturbo per il dispiegarsi della razionalità tecnica (Schoen, 1994). Secondo il principio di riduzione per conoscere un aggregato di parti è sufficiente la conoscenza approfondita dei suoi costituenti elementari dai quali si può dedurre il comportamento del tutto. Nella storia della medicina questi principi hanno ispirato, per esempio, lo sviluppo dell’assistenza ospedaliera; qui avviene quella disgiunzione tra malato e ambiente di vita che è finalizzata ad approfondire la conoscenza della malattia tramite la riduzione dei sintomi al livello dell’organo malato, delle cellule o delle strutture molecolari. La rigida applicazione del paradigma di disgiunzione\riduzione è storicamente esemplificata dall’istituzione manicomiale e dall’assistenza pediatrica. Nel caso del bambino malato la consapevolezza degli effetti deleteri (psicologici, cognitivo, affettivi e somatici) della separazione dalla madre e dalla famiglia (la decontestualizzazione della malattia) è stata “scientificamente” riconosciuta solo negli anni cinquanta, cioè dopo che per decenni i bambini ospedalizzati avevano subito i danni della deprivazione affettiva  e relazionale (Ardigò, 1990).

5-      Infine sul versante macro-sistemico si sono intensificate le ingerenze e il controllo esterno sulla professione medica da parte dei due contropoteri che hanno controbilanciato l’autonomia/dominanza della medicina: da un lato le logiche dell’economia di mercato, rappresentate dalle assicurazioni private e della grandi organizzazioni sanitarie for profit specie nel contesto nord americano, e dall’altro la deriva burocratica e manageriale imboccata dai sistemi di welfare pubblico, specie nel vecchio continente, per contenere una spesa sanitaria incontrollabile. Nel contempo la definizione positiva di salute dell’OMS del 1948, in sostituzione di quella negativa come assenza di malattia, accentuava il dislivello tra i bisogni e le attese alimentate dalla promessa di un benessere globale, e l’offerta di un servizio sanitario alla prese con la crisi endemica della finanza pubblica. L’inflazione della domanda di prestazioni mediche, prodotto di una accentuata soggettivazione del bisogno sanitario, sfociava in razionamento implicito dell’offerta diagnostica e terapeutica, a base di ticket moderatori, di allungamento delle liste d’attesa e del conseguente ricorso al mercato privato della diagnostica o con forme di pagamento out of pocket per i farmaci. Come ha osservato il sociologo della complessità Edgar Morin gli operatori sanitari sono “vittime sia di una politica neoliberista che viene applicata dappertutto per privatizzare ed atrofizzare i servizi pubblici sia di una gestione statale iperburocratizzata sottoposta sempre più alle pressioni di potenti lobby” (Morin 2020, p.45)

La risultante di queste concause è il declino dell’autorità professionale del medico, correlato al venir meno del paternalismo e dell’asimmetria della relazione tradizionale, connotata da deferenza e rispetto. Questo contesto mina alle basi il rapporto fiduciario e “la legittimazione stessa della biomedicina quale modalità esclusiva di erogazione delle cure sanitarie”, che si esprime nella difficoltà a garantire l’aderenza alle terapie (Giarelli 2013, p. 403) e nell’instabilità della relazione di cura sottoposta a crescenti tensioni o aperti conflitti. 

Bibliografia a richiesta: bllgpp@gmail.com

giovedì 9 giugno 2022

La riforma della medicina territoriale e le case della comunità "ciofeca"

 Contributo al dibattito sul futuro dell'assistenza primaria

Per prefigurare gli esiti della riforma della medicina territoriale conviene partire da quanto bolle in pentola e che verrà presto servito come piatto forte al cenacolo riformatore, vale a dire le Case della Comunità (CdC). Prima però mi si consenta una divagazione da “filosofia” spicciola delle politiche pubbliche, utilizzando la chiave di lettura della classica dicotomia tra programmazione top down e bottom-up. La misura 6 del Pnrr per quanto riguarda le strutture territoriali costituisce uno strano ibrido tra i due modelli di policy: da un lato promuove la crescita dal basso delle nuove strutture a partire dalle risorse umane, cognitive ed organizzative disponibili sul campo e da coinvolgere ma, dall’altro, dopo una semina top down a pioggia definita nei minimi dettagli a prescindere dalle caratteristiche del territorio, con un’unica semenza che dovrebbe attecchire indipendentemente dal terreno, fertile o sabbioso, arido o ben irrigato.

Va da se che sarebbe stato più redditizio l’uso di varianti adatte alle diverse orografie, pena il rischio che qualche seme cresca in modo stentato e dando frutti poco gustosi. La distribuzione centralizzata a pioggia delle CdC, in stile pianificazione sovietica, prescinde dalla dotazioni regionale di case della salute, che si colloca  lungo un continnum compreso tra il 100% dell’Emilia Romagna e lo 0% di una manciata di altre amministrazioni. La decisione di imporre top down le 1350 CdC marca di ambiguità l’implementazione ibrida di cui sopra. Sarebbe stata più appropriata una ripartizione regionale dei fondi, lasciando libere le amministrazioni di imbastire la rete Hub&Spoke più adatta al proprio contesto, in nome dell’autonomia regionale e del principio della territorializzazione dei servizi, correndo però il rischio di una disomogeneità nei tempi e nei modi di edificazione delle CdC.

Insomma, fuor di metafora, che CdC da 45-50mila abitanti rischino di rivelarsi un’indigesta ciofeca è chiaro a tutti per svariati motivi; “ogni scolaretto sa” quanto siano diversificati gli ecosistemi del bel paese, per parametri sociodemogafici, orografici, economici ed antropologici senza contare la path dependence socio-organizzativa. La domanda è: possibile che gli estensori del Pnrr non ne fossero consapevoli? La risposta più probabile è che hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco, per assecondare i diktat top down della UE diffidente verso le regioni italiane. Ad onor del vero i 2 miliardi in più previsti dalla prima versione della Missione6 erano quasi sufficienti per intessere una vera rete Hub&Spoke. Invece si è preferito dirottarli sull'assistenza domiciliare.

Inspiegabilmente la seconda versione ha adottato un parametro inappropriato per servizi sociosanitari territoriali efficaci e di prossimità, buono tutt’al più per la riedizione del vetusto “poliambulatorio specialistico INAM” nelle grandi città, ma poco o nulla appetibile per quel terzo di connazionali che risiedono in comuni con meno di 20mila abitanti. La pianificazione a tavolino delle 1350 CdC dovrà fare i conti con il fatto che tra il neo-poliambulatorio e lo studio del MMG single nel borgo appenninico, alle prese con lo spopolamento denunciato dal poeta paesologo Arminio, si aprirà un gap che assomiglia ad una voragine. La combinazione tra un difficile ricambio generazionale in MG, specie nelle aree disagiate, e CdC inaccessibili agli abitanti delle stesse zone potrebbe assumere connotati paradossali se non di una beffarda prossimità.

Bastava ripassare il DM70 o scorrere i report Emiliani sulla locale rete di case della salute Hub&Spoke, per convincersi che una una razionale diversificazione dell’offerta, in ossequio alla legge della varietà necessaria, passa dalla previsione di tre modelli: case piccole da 10-15mila abitanti, medie da 30-40mila e grandi da 50 mila e più. Eppure anche in Emilia, sebbene sulla carta le categorie programmate fossero tre, quando è stato fatto l’inventario delle case in funzione si è scoperto che non ce n'era una uguale all'altra, come ha sottolineato il prof. Longo del CERGAS Bocconi.

Come conciliare uno standard unico e rigido di CdC, di necessità gestita in modo piramidale e burocratizzato sul modello dell’ospedale, con esigenze territoriali così variegate?  In che modo si potrà colmare la voragine tra il generalista single e la mega-struttura? Si profila già l’escamotage in stile “passato il Recovery gabbata la UE” per rimediare alla “svista” centralista: il dimezzamento dello standard, come nella montagna lombarda, o la suddivisione di una CdC in una sede principale e una secondaria, nelle regioni che si potranno permettere finanziamenti aggiuntivi per sdoppiare le strutture previste, ovvero le solite note a riconferma del divario territoriale attualmente esistente.

Qui rientra in gioco la MG che potrebbe riempire il vuoto come adombrano alcuni documenti che candidano le forme associative della Balduzzi al ruolo di Spoke, previsti dal DM71 ma rimasti indefiniti. Due sono gli indizi che corroborano questa ipotesi.

  • In primo luogo non è casuale che finalmente l’ACN 2016-2018, firmato a fine gennaio 2022, abbia recepito le AFT e le UCCP varate nel 2012 e mai inserite nelle precedenti Convenzioni, per deficit di volontà, fiducia e/o finanziamenti. Di fatto grazie alle risorse del PNRR trova finalmente attuazione una riforma innovativa rimasta nei cassetti degli assessorati per un decennio. 
  • In secondo luogo i futuri ACN ibridi introdurranno quella parasubordinazione che potrebbe far si che le CdC Hub non restino semi deserte, per il noto sottofinanziamento della spesa corrente ai fini del reclutamento del personale. La quota oraria del prossimo ACN dovrebbe garantire sia l’assistenza agli utenti orfani di un MMG sia gli interventi di popolazione, in particolare per la gestione della cronicità e della domiciliarità.

Nelle UCCP e nelle AFT in rete con le CdC Hub i generalisti potrebbero conservare l’attuale limitata autoorganizzazione, che difficilmente potranno avere in CdC da 50mila abitanti, in cambio di garanzie su audit, accoutability e benchmarking della qualità etc. come indicato della Balduzzi. Si potrebbero innescare processi sociali e professionali per la promozione della comunità di pratica, apprendimento, formazione sul campo e ricerca del territorio, mai decollata; si potrà forse tentare di frenare un’emorragia di risorse umane apparentemente inarrestabile, sotto i colpi di una teleburocrazia a silos e di una deriva amministrativa punitiva, arrivate al culmine nel 2020-2021 in contemporanea con la delegittimazione mediatica.

Se invece si decidesse di spremere ulteriormente i fantomatici libero-professionisti già bersagliati da un sadico accanimento burocratico allora un’ingestibile emorragia trascinerà il sistema verso il collasso annunciato. Servirebbe qualche piccolo gesto di “empatia”, per allentare una morsa soffocante e dare un po’ di respiro ai più disagiati. Le speranze in verità sono scarse, perché i segnali provenienti dai decisori e dalle agenzie pubbliche sono poco incoraggiati se non di serena indifferenza al grido di dolore che sale dai territori; una volta arrivati al fondo si può solo risalire, ma siamo sicuri di averlo già toccato?

martedì 7 giugno 2022

COVID-19 dati mensili al 31 maggio

 Evoluzione della pandemia al 31 maggio 2022

  • La pandemia negli ultimi 2 mesi è in lenta remissione, con contagi che scendono sotto il milione, dimezzati rispetto ad aprile, dopo l'exploit di quasi 5 milioni a gennaio; nel bimestre aprile-magio i contagiati sono poco più di 1/3 di quelli registrati nei primi due mesi dell'anno
  • I ricoveri complessivi a fine mese sono dimezzati rispetto ai 10mila di aprile; i decessi si riducono di 1/3, con poco più di 3mila casi mensili per una letalità dello 0,32% in lieve aumento
  • Rimane stabile il numero di dimessi guariti come pure la percentuale di tamponi positivi, che si attesta al 13%.
Nel complesso i dati dimostrano che il virus continua a circolare in forma attenuata, con una media di 33mila casi al dì e 105 decessi; in altri termini si è ormai "endemizzato" con un andamento in lenta e continua riduzione, nonostante l'attenuazione delle restrizioni in vigore nei mesi precedenti.





lunedì 6 giugno 2022

La riforma dell'assistenza primaria: ultima spiaggia o inevitabile declino?

 Giuseppe Belleri

IL MALESSERE DELLA MEDICINA GENERALE

La riforma dell’assistenza primaria dopo la pandemia: ultima spiaggia o inevitabile declino?

Edizione KDP, aprile 2022, pag. 199

Introduzione

L’epidemia di Coronavirus ha avuto il suo epicentro nazionale in Lombardia e verrà ricordata nei prossimi decenni per il suo carattere improvviso e travolgente, che ha evocato una varietà di descrizioni metaforiche: battaglia campale, tsunami, tempesta perfetta, cigno nero, terremoto sanitario, bomba atomica etc.

Al link l'estratto con l'introduzione e il primo capitolo
Passata la fase emergenziale è possibile avviare una riflessione critica sugli eventi e sugli effetti della pandemia, così rilevanti tanto da mettere a dura prova la tenuta di tutto il sistema per un picco di domanda e un deficit di offerta difficile da fronteggiare ad ogni latitudine. Il Covid-19 ha avuto un particolare impatto sulla medicina del territorio per le sue specifiche caratteristiche strutturali e funzionali, in particolare nelle zone a più alta incidenza della Lombardia, facendo emergere una condizione di disagio e di crisi professionale che ha radici profonde e lontane.

Alla MG sono state imputate carenze e deficit nella gestione del Covid-19 fino quasi a farne il responsabile per eccellenza di una situazione complessa, mentre per altri le cause del problema risiedono in quel “territorio abbandonato” descritto per la prima volta dai colleghi di Codogno, rimasti soli nel pieno della tempesta pandemica in quel fatidico marzo 2020.

A partire dalla seconda ondata e fino all’esaurimento della quarta ondata nel marzo 2022 la MG si è così trovata sul banco degli imputati per le proprie presunte colpe nella gestione della pandemia. Tale imputazione si è tradotta in ripetute accuse di latitanza, scarsa professionalità, produttività oraria, disponibilità telefonica fino ad espressioni ingiuriose verso i “fannulloni” del territorio. Così per correggere questo stato di cose è stata invocata una profonda riforma della medicina territoriale che si intreccia con i cambiamenti indotti dal PNRR che si dovrebbe concretizzare nelle strutture territoriali previste dalla Missione 6 (Case ed Ospedali di Comunità, Centri Operativi Territoriali, Distretti e potenziamento dell’assistenza domiciliare).

A queste iniziative si dovrebbe affiancare in parallelo una riforma complessiva dell’organizzazione e delle normative che regolano i rapporti tra medici del territorio e SSN, attualmente in forma di Convenzione tra lo stato e gli esercenti professionali con uno status giuridico di parasubordinazione, che per alcuni dovrebbe essere trasformato in rapporto di subordinazione. Anche la formazione dei MMG è sotto accusa e in parallelo al passaggio alla dipendenza dovrebbe essere superato il l’attuale Corso di Formazione Specifica su base regionale per evolvere verso una vera ed autorevole specializzazione universitaria. Il combinato disposto tra il rapporto di subordinazione e il superiore status specialistico dovrebbero risollevare sia l’immagine pubblica sia il “morale” della categoria, fiaccato da tensioni crescenti con assistiti esigenti, per le interferenze della burocratizzazione manageriale e per un deficit di tutele lavorative e previdenziali mal sopportate dalle nuove generazioni di MG.

Attorno a questo programma si è coalizzato un composito fronte riformatore che, sulla spinta della crisi pandemia e di una campagna mediatica a tratti delegittimante, ha imposto all’agenda pubblica l’esigenza di un cambiamento tanto radicale quanto carico di incertezza e a rischio di sostenibilità, da quella finanziaria a quella logistica, dalla quella previdenziale a quella normativa. Se sulla revisione della formazione dei futuri MMG vi è un’ampia convergenza, pur con alcune riserve, non è così per il passaggio dal regime convenzionale alla dipendenza, ipotesi che ha spaccato la categoria in due fronti contrapposti.

Il volumetto si propone, con la formula estemporanea dell’instant book, di fare il punto del processo di riforma della medicina del territorio alla vigilia dell’avvio del PNRR, a partire dalla "diagnosi" del malessere che pervade la categoria e che si manifesta empiricamente con due tendenze emergenti e convergenti: il pensionamento anticipato di massa e la crisi vocazionale delle "nuove leve". Le conseguenze sistemiche sono la desertificazione assistenziale di intere zone con milioni di cittadini privati del diritto all'assistenza primaria. 

Nell’arco di un trimestre, dopo un lungo dibattito pubblico e all’interno delle istituzioni, si è arrivati a stabilire tre punti fermi della cornice normativa per la ristrutturazione della medicina territoriale:

  • lo schema per il rinnovo degli ACN, funzionali alla messa in atto del PNRR (appendice B)

  • il rinnovo dell’ACN 2016-2018, propedeutico al successivo, che recepisce le forme organizzative della riforma Balduzzi del 2012 (capitolo 11 e appendice C)

  • il DM71 che detta gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale e delle strutture finanziate dal PNRR (capitolo 11 e appendice A)

Tuttavia restano ancora diverse aree di incertezza: rimane indefinita l’ipotesi del passaggio al rapporto di dipendenza dei medici convenzionati che dovrebbe garantire secondo alcuni la soluzione definitiva dei problemi della sanità territoriale e il rilancio della MG. Anche l’iter della riforma del Corso di Formazione Specifica in MG, nonostante unanimi consensi, resta solo a livello di dichiarazioni politiche di intenti programmatici. Per di più sul finire della quarta ondata di una lunga guerra contro il virus, dagli esiti vittoriosi grazia alle armi vaccinali, ecco che improvvisamente divampa di nuovo in Europa uno storico e virulento flagello, che a metà del novecento aveva già seminato morte, traumi, distruzione, sofferenze psicologiche e sociali: il virus nazionalista che ora rischia di pregiudicare il difficile ritorno alla normalità, dopo aver contenuto l’avanzata di SARS-COV2, per le sue molteplici conseguenze anche sanitarie. Ora a bocce (quasi) ferme è comunque possibile intravvedere il percorso di sviluppo del cambiamento innescato dal PNRR, a diversi livelli ed equilibri sistemici, ed il suo potenziale impatto sul lungo periodo.

PRESENTAZIONE

Il volume parte dall'analisi del clima emotivo di malessere e dalla “diagnosi” della crisi che attraversa la Medicina Generale convenzionata, accentuata dall’impatto della pandemia da Covid-19 sul territorio, per prospettare possibili percorsi di riforma e cambiamento. La principale occasione di “rifondazione” è il PNRR che si propone di rafforzare la sanità territoriale dopo un decennio di disinteresse pubblico, grazie agli investimenti strutturali della Missione 6 per la diffusione dalle Case e degli Ospedali di Comunità, che dovrebbero favorire una maggiore integrazione tra professionisti sanitari del territorio e dell'ospedale, risollevando le sorti dell’assistenza primaria. 

Il primo capitolo espone una sintesi delle procedure relative alle decisioni di policy e dei problemi di implementazione delle riforme pubbliche nel contesto sociosanitario. La prima parte propone un profilo storico e socioculturale del disagio vissuto dai MMG, descrive le caratteristiche organizzative e giuridiche della Medicina convenzionata e analizza l’evoluzione della categoria con la chiave di lettura della sociologia delle professioni, con particolare riferimento al concetto di professionalismo: si propone l’ipotesi che il malessere della MG segni l’ultima tappa del declino della dominanza professionale. 

La seconda parte descrive a grandi linee le specificità organizzative e delle pratiche dell'assistenza primaria e, di seguito, le criticità imputate al MMG che dovrebbero essere superate con il passaggio dalla convenzione al rapporto di subordinazione e con l'introduzione della Specializzazione universitaria. Nel testo vengono discussi i diversi aspetti della proposta di dipendenza come soluzione della crisi, che vede la categoria divisa tra favorevoli e chi invece vorrebbe mantenere l’attuale regime convenzionale, pur accettando una sua evoluzione, come proposto dalla parte pubblica. 

Nella terza parte vengono esposti e commentati i contenuti del PNRR, del Decreto Ministeriale sugli standard delle strutture territoriali e degli Accordi Collettivi Nazionali, propedeutici alla realizzazione della Misura6 del PNRR. L’ultimo capitolo propone un’analisi della MG secondo i principi delle Comunità di Pratica come proposta strategica per il superamento del malessere della categoria, in una prospettiva di promozione del professionalismo organizzativo e comunitario.

INDICE DEL VOLUME

  1. Introduzione pag. 4

  2. La riforma e il ciclo di policy: definizione del problema teorie causali e valutazione d’impatto pag.7

PRIMA PARTE

  1. Il disagio del MMG: la dimensione socioculturale pag. 20

  2. Il profilo giuridico, economico e sociologico ed evoluzione storica del medico convenzionato pag.43

  3. Organizzazione e specificità del lavoro in MG pag.55

  4. La risposta organizzativa al Covid-19. pag.58

SECONDA PARTE

  1. Le criticità e la definizione del problema. pag.75

  2. Organizzative e modelli gestionali in MG. pag. 79

  3. Convenzione o dipendenza: pro e contro. pag.85

  4. Modelli organizzativi e servizi sociosanitari territoriali pag.99

TERZA PARTE

  1. Standard del DM71 pag. 105

  2. Criticità del DM71 e ACN 2016-2018 pag. 126

  3. Medicina del territorio e comunità di pratica pag.138

  4. Conclusioni (provvisorie) pag.149

  5. Bibliografia pag.154

  6. Appendici pag.158

mercoledì 1 giugno 2022

Il Giano bifronte del territorio e l'ACN ibrido

Il Covid19 ha fatto emergere un deficit di omogeneità clinica e di affidabilità organizzativa del territorio, per una "patologica" variabilità comportamentale del MMG, tallone d'Achille che una un'organizzazione non si può permettere in quanto pregiudica efficacia ed efficienza nella dimensione di popolazione. Formulata la diagnosi la conseguente terapia sarebbe stata la transizione alla dipendenza, soluzione improponibile per i costi e per i tempi del Pnrr, oltre che poco gradita ai sindacati tanto quanto lo era invece all'area giovanile e a quella "progressista", per mettere in riga un MMG libero professionista corporativo, che confonde una modesta autonomia organizzativa con il mercato sanitario e la professione liberale.

Con la convenzione ibrida in chiave parasubordinata il MMG Giano dovrebbe osservare, da un lato, il suo assistito in una relazione di cura familiare vis a vis, garante della personalizzazione, dell'informalità e della continuità nella cornice della libera scelta e, dall'altro, intervenire su una popolazione estesa ed anonima in forma organizzata e impersonale con il turn-over tra colleghi, nella cornice istituzionale a lui poco avvezza. Sarà inevitabilmente una soluzione da Arlecchino a part time, con un servitore di due padroni un po' "schizo", destinato quindi a scontentare entrambi e a sacrificare capra e cavoli?

Giano bifronte, arlecchino e l'equivoco della parasubordinazione

Solo chi non conosce l'attuale assetto dell'ACN dell''Assistenza Primaria si può stupire della proposta di parasubordinazione, che è in atto da sempre con le due forme di remunerazione, a quota capitaria ed oraria. Basta pensare ai medici dei servizi o a quelli di Continuità Assistenziale che fanno turni diurni o notturni ad ore o addirittura in forma mista, come il MMG non massimalista che lavora contemporaneamente in CA a tempo pieno o ridotto. Di fatto il futuro MMG sarà un ibrido tra il generalista a ciclo di scelta e il medico dei servizi con attività oraria. Insomma niente di nuovo sul piano normativo e della natura giuridica del rapporto di lavoro autonomo coordinato e continuativo dell'ACN.

Inoltre il MMG è da sempre e per sua ontologia un ibrido professionale, un curioso ircocervo sociosanitario, un servitore double face, ma spesso a sua insaputa perchè in molti credono o vorrebbe esercitare un altro mestiere, dal clinico internista puro al "piccolo" specialista. Non esiste un altro contesto professionale votato all'intervento epidemiologico di coorte e nel contempo con la mission della personalizzazione olistica e informale dell'assistenza.

E' la ragione sociale del MMG, Giano bifronte per natura, la sua precaria identità professionale e la sua condanna per non essere né carne né pesce, cioè senza una collocazione riconosciuta sugli scaffali del supermarket sanitario, zeppo di sopraffine specialità. I capisaldi della definizione Wonca Europa ne fanno fede, a supporto di una "varietà necessaria" in quanto richiesta dall'ecologia professionale per far fronte ad un'impari varietà del contesto epidemiologico, clinico, socioculturale, economico e geodemografico. E' la miseria e nobiltà della MG, difficilmente comprensibile per agenzie ministeriali dedite ad un accanimento regolatorio tele-burocratico, tanto vessatorio quanto autolesionistico per effetti perversi ormai evidenti a dispetto della stucchevole enfasi sulla semplificazione.

Ecco un esempio di questo equivoco per l'antinomia tra attese ed esiti empirici: la diagnosi e la prevenzione primaria del rischio cardiovascolare asintomatico, ad elevata prevalenza, ha più intenti epidemiologici che finalità di cura personalizzata, anche se con l'insorgere di complicanze e comorbilità la dimensione clinica individuale balza in primo piano, in rapporto ai sintomi e alla prevenzione secondaria. Basta considerare quanto sia aleatorio l'impatto ad personam di un farmaco preventivo quando il suo NNT supera il centinaio, per giunta riferito alla popolazione selezionata del trial.

TINA, ovvero quale alternativa?

Al momento non si intravvedono altre strade percorribili, anche se la soluzione trovata non è certo perfetta ma sconta difetti e rischi, a partire dalle prevedibili resistenze sindacale sulla parte oraria da svolgere nelle Case della Comunità, che peraltro è già integrata nell'ACN per quanto riguarda l'organizzazione della Continuità Assistenziale. Uno di questi si tinge di paradosso: il MMG tappabuchi incaricato di prestare assistenza oraria ai cittadini orfani del MMG funzionerà nelle zone adiacenti alle Case della Comunità e molto meno nelle aree disagiate lontane dalle strutture, dove la carenza di MMG è cronica e più sentita.

Il vecchio sistema era poco difendibile e un arroccamento difensivo contro il cambiamento era perdente e velleitario, specie dopo la campagna di denigrazione mediatica andata in onda nel biennio 2020-2021 per trovare il solito colpevole, dopo l'esaltazione retorica degli eroi in camice bianco.

La soluzione è sub ottimale, non resta che assecondare il cambiamento e cercare di governarlo verso uno sbocco propositivo e positivo evitando le contrapposizioni, intenti di controllo fiscale o finanziario e lasciando vera autonomia organizzativa e clinica nella pratica sul campo, a prescindere dallo stato giuridico. La soluzione innovativa poggia sull'accountability nel contesto della AFT, ovvero sulla rendicontazione della quantità e qualità del lavoro, abbinata al modello di pay for performances già sperimentato in vari contesti e non certo nell'imposizione di obsolete e inconsistenti media di spesa per farmaci od accertamenti, spesso indotti dal II livello.

Proporre l'ennesima riforma quando siamo alla vigilia della messa in opera della Balduzzi, a "soli" 10 anni dall'approvazione con un Acn triennale a sua volta già scaduto da un triennio, ha un retrogusto paradossale e potrebbe spingere il sistema verso un punto di rottura senza ritorno, in una fase già abbastanza critica per i macroscopici ritardi accumulati, i pensionamenti anticipati di massa e una crisi vocazionale che rischia di vanificare il Pnrr.

D'altra parte chi può offrire oggi una soluzione alternativa ottimale in una fase di transizione epocale a dir poco burrascosa e carica di incertezze?

P.S. Riferimenti normativi.

ACN 2016-2018

ART. 31 – RUOLO UNICO DEL MEDICO DI ASSISTENZA PRIMARIA.

1. Dall’entrata in vigore del presente Accordo i medici già titolari di incarico di:

a) Assistenza Primaria;

b) Continuità Assistenziale;

assumono la denominazione di medici del ruolo unico di assistenza primaria.

PROPOSTA DI REVISIONE DELL'ACN

Struttura della remunerazione.

2. Il ruolo unico di assistenza primaria prevede che i medici del ruolo unico di assistenza primaria svolgano attività professionale a ciclo di scelta e/o su base oraria, operando nelle AFT e nelle forme organizzative multiprofessionali (UCCP) come disciplinato dal presente accordo.

A. in una quota fissa del 70% che comprende: le ore destinate alle attività ambulatoriali (massimo 20), le 6 ore di attività svolte all’interno della casa della comunità

·         per i medici non massimalisti, le ore “residue” necessarie al completamento del ciclo fiduciario (20 ore) per le attività promosse dal distretto. Ai medici non massimalisti, tenuti all’erogazione delle ore “residue”, è comunque riconosciuta una quota equivalente a quella dei massimalisti

B. una variabile del 30% a completamento delle 38 ore (12 ore a settimana) per il raggiungimento degli obiettivi di salute definiti dal distretto che comprende:

·         le ore di attività promosse dal distretto anche presso la casa della comunità (sulla base dei piani nazionali, regionali e distrettuali) per: progetti di salute, PDTA, PAI, campagne di prevenzione, vaccinazioni, assistenza domiciliare, telemedicina, attività di studio e ricerca;

la partecipazione tramite AFT ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati è condizione necessaria per accedere a questa quota della remunerazione.