domenica 10 dicembre 2017

Alla ricerca della diagnosi perduta, ovvero non ci sono più i medici di un tempo (ma nemmeno i pazienti)

Il vicedirettore de L’Espresso Alessandro Gilioli ha descritto, in modo un po’ scherzoso, la via crucis di un tipico paziente “difficile” - probabilmente lo stesso giornalista - rimpallato da uno specialista all’altro alla vana ricerca di una diagnosi certa per la soluzione del suo problema di salute

Ne è nata un’accesa discussione sia sul sito del settimanale, tra i suoi lettori, che on-line, nei gruppi FaceBook, tra professionisti della salute. Di seguito ho sintetizzato, in forma di decalogo, alcuni dati e concetti per poter ragionare a giudicare con cognizione di causa l’operato di un medico, a prescindere dai casi particolari e dalle esperienze individuali, positive o negative

1-il 20-30% dei sintomi lamentati dagli assistiti non ha una spiegazione diagnostica, anche dopo ripetuti esami e visite specialistiche, che si concludono con un nulla di fatto (gli inglesi utilizzano l’acronimo MUS, ovvero Medically Unexplained Symptoms);

2-in una percentuale simile anche l’esame obiettivo, cioè la visita più accurata di un medico esperto, può dare un esito falso negativo, ovvero non individuare la malattia; anche gli accertamenti diagnostici più “tecnologici” posso rivelarsi falsamente negativi o di difficile interpretazione. Il combinato disposto di questi elementi, nell’ambito di una cultura dominata dai rischi statistici, genera nei medici una cautela che sconfina talvolta in dubbiosità, prima di tutto rivolta a sé, e un clima di incertezza di fondo purtroppo ineliminabile;

3-per di più i pazienti d’oggi, spronati dai continui appelli alla prevenzione e dalle informazioni del dr. Google, riferiscono sintomi più precocemente di un tempo, spesso vaghi, soggettivi e sfumati, mentre in passato si presentavano al medico in fasi più avanzate del decorso quando i sintomi erano evidenti e quindi la diagnosi agevole, addirittura a colpo d’occhio e senza la necessità di ricorrere ad esami complicati e costosi;

4-il vertiginoso aumento delle conoscenze fa si che lo specialista sia concentrato su una parte della patologia, sempre più specifica e parcellare, e perda quindi inevitabilmente di vista il resto, quella visione d’insieme che non riesce più a padroneggiare; il rischio di essere rimpallati da uno specialista all’altro è più elevato se si consultano medici libero-professionisti e non si fa riferimento al proprio medico di famiglia, che dovrebbe avere il compito di fare la sintesi e di coordinare ed armonizzare i vari interventi;

5-il medico generalista soffre ancor di più di questa situazione per i suoi inevitabili limiti di preparazione e aggiornamento, per cui è giocoforza che ricorra alla tecnologia e al parere degli specialisti di branca quando la situazione è poco chiara o vi siano margini di rischio ed incertezze diagnostiche;

6-la medicina non è una scienza esatta e incontrovertibile ma per certi versi rivedibile e provvisoria, mentre le attese (in alcuni casi anche pre-tese) di efficacia della gente sono elevate e non sempre realistiche; tutti vorremmo avere a che fare con medici onniscienti e onnipotenti, che capiscono tutto al volo e prescrivono sempre la medicina giusta, senza esitazione e al primo colpo. Ma i medici, come tutti gli umani, sono purtroppo fallibili, la medicina nel suo complesso è limitata e non garantirà mai l’immortalità (sembrerà banale ricordarlo, ma è necessario);

7-il procedimento diagnostico avanza per “tentativi ed errori” ed approssimazioni successive, magari dopo aver atteso gli sviluppi del caso ( http://www.saluteinternazionale.info/2017/11/il-medico-che-ti-salva-la-vita/ ); purtroppo non c’è sempre modo di arrivare alla diagnosi al volo alla prima visita, ma solo a seguito di iter complicati e lunghi, anche per le regole burocratiche e di appropriatezza a cui si deve sottostare (tranne il medico “privato” che fa ciò che vuole);

8-per tutti questi motivi l’attività diagnostica dei medici del passato era più facile, anche se erano meno preparati di oggi e sbagliavano probabilmente di più, pur beneficiando in compenso dell’aura di certezza e sicurezza della medicina che li metteva al riparo da lamentele e rivalse dei pazienti;

9-oggi invece ad un medico può capitare, anche senza alcuna trascuratezza o negligenza, di essere denunciato e di finire sul banco degli imputati perché non azzecca la diagnosi di primo acchito o non prescrive l’esame appropriato;

10-da una pervasiva cultura del rischio clinico deriva la cosiddetta medicina difensiva, ovvero la tendenza a prescrivere accertamenti e consulenze in caso di dubbio o perplessità, per mettersi al riparo dall’eventualità della denuncia, magari per un’accusa ingiusta o infondata ma sempre destabilizzante. Da qui la girandola di esami e consulenze in cui viene imbrigliato suo malgrado il povero malcapitato descritto da Gilioli.

Conclusione: i medici che fanno diagnosi ci sono sempre, solo che la diagnosi è diventata più complicata, difficile, sfuggente a tal punto che talvolta nemmeno si trova….

P.S. Se il buon Gilioli - silenziando per un po’ la sua propensione razionalista, illuminista, scientista, cartesiana e kantiana - avesse consultato un medico “alternativo”, specie un omeopata, una pronta diagnosi e un cura immediata a base di portentose “palline e goccine” , senza alcun bisogno di esami, Risonanze, EMG etc… l’avrebbe certamente rimediata, addirittura alla prima visita e senza spendere un patrimonio!

domenica 3 dicembre 2017

Presa in Carico dei cronici in Lombardia: come finirà?

Le Delibere sulla Presa in Carico (PiC) delle patologie croniche, licenziate nei mesi di gennaio, maggio e agosto 2017 dalla Regione Lombardia, hanno messo in moto una cascata di processi decisionali, dagli esiti incerti, che condizionerà il percorso attuativo della riforma, destinato a concludersi nella primavera del 2018 con l’arruolamento dei malati cronici da parte dei Gestori della PiC. Di seguito si troverà un abbozzo schematico delle cornici decisionali riferite ai diversi attori implicati nella PiC nel corso del suo iter applicativo, vale a dire Medici di MG, strutture accreditate e assistiti affetti da una o più condizioni croniche, ognuno con i propri metri valutazione e dinamiche cognitive.

I risultati pratici e il successo della riforma saranno influenzati dalle inter-retroazioni delle scelte fatte dagli attori, a seguito di complesse valutazioni circa vantaggi e svantaggi, rischi ed opportunità, interessi economici e professionali, costi e benefici, vincoli e possibilità, tempi, modalità e conseguenze pratiche delle diverse opzioni, in quello che appare un caso di studio per manager/amministratori, politici e professionisti, e una sorta di esperimento naturale per economisti, psicologi e sociologi delle decisioni collettive.

1-I primi ad essere chiamati ad una scelta non facile sono stati i medici di MG. Il processo decisionale si è sviluppato su due piani e due tempi: a livello collettivo e “comunitario”, entro il 31 luglio, e individuale, entro il 30 settembre. Nel primo caso è toccato a Sindacati ed Associazioni Culturali di categoria valutare l’opportunità di costituire sul territorio le Cooperative indispensabili per poter assumere la funzione di Gestore. Ai singoli MMG è toccato l’onere di aderire o meno alla proposta di Gestore e, in caso positivo, di scegliere la Cooperativa a cui associarsi nella propria ATS.

Questo doppio processo ha dato come esito la costituzione di 41 Coop di MMG a cui hanno aderito 2292 generalisti su circa 6300 in attività. Sulla deliberazione di costituire le Coop ha pesato l’accettazione o il rifiuto della sfida “politica” lanciata dalla regione con la PiC alle associazioni della MG, non meno delle condizioni economico-gestionali minime per poter reggere sul piano organizzativo (è stato calcolato che una Cooperativa per ammortizzare i costi dovrebbe avere un bacino di MMG con almeno 50000 assistiti); a livello individuale sono state le considerazioni anagrafiche, professionali, economiche e di appartenenza societaria ad influire sull’opzione se divenire o meno soci per poi rivestire il ruolo di Gestore.

2-Ben diversa è stata la scelta che hanno affrontato le strutture private per divenire Gestore della PiC (le Aziende Ospedaliere pubbliche hanno aderito di default). Nel loro caso hanno giocato un ruolo preminente le considerazioni di carattere organizzativo, economico e finanziario rispetto a quelle più “emotive” ed individuali di medici e pazienti.

Le strutture private sono alle prese con un dilemma manageriale non di poco conto. Devono investire ingenti risorse per portare a termine il processo di PiC, in particolare per l’organizzazione del call center, senza la garanzia di poter arruolare un numero di “cronici” sufficiente ad ammortizzare i costi fissi e di transazione dell'intera operazione. Si calcola che per poter assicurare l’equilibrio economico sian necessario l’arruolamento di non meno di 5000 assistiti per ogni gestore.

A fronte di investimenti non indifferenti, sia in strutture che in personale medico (clinical manager) paramedico (il case manager) ed operatori di call center, le strutture private dovranno fare i conti con le incertezze circa il numero di adesioni e di arruolamento dei cronici. La scelta degli assistiti è il nodo cruciale che condizionerà tutto il processo e dove le strutture private devono fronteggiare una sorta di asimmetria decisionale a lo sfavorevole e che vede invece i MMG avvantaggiati (si veda il punto 3). Infatti le strutture private for profit devono tenere conto di una doppia concorrenza:
  • nel caso in cui il MMG è socio di una Cooperativa gli assistiti saranno indotti a scegliere come Gestore il proprio Medico a scapito dell’organizzazione privata
  • mentre i MMG non aderenti alla PiC potrebbero scoraggiare o addirittura sconsiglierà ai propri assistiti di accettare la PiC da parte di un Gestore estraneo alla MG.
Alcuni privati proprio a causa di queste incertezze, fatti i debiti calcoli economici ed organizzativi, hanno declinato l'invito dell’ATS, come è accaduto nell’area milanese dove il prestigioso gruppo IEO-Monzino e l’istituto Don Orione si sono chiamati fuori, riservandosi di rivestire solo il ruolo di Erogatori di prestazioni e non di Gestori in prima persona (anche il gruppo San Donato sembra orientato in tal senso, perlomeno stando alle dichiarazioni pubbliche di suoi dirigenti locali). Le organizzazioni for profit, per loro natura e mission, sono più propense a svolgere la funzione di Erogatore di prestazioni piuttosto che quella di Gestore clinico-organizzativo dei singoli casi.

D’altra parte già nel mese di ottobre Dario Beretta, responsabile dell’Ospedalità Privata in Lombardia (AIOP), aveva osservato che “il punto critico della manovra sarà capire quanti assistiti aderiranno davvero all'iniziativa, e come si comporteranno i medici di famiglia. Se li indirizzeranno all'adesione oppure no". Così commentava La Repubblica del 28 novembre scorso, a pagina II dell’edizione milanese: “Partecipare alla riforma conviene solo se tanti pazienti decideranno di sposarla, cosa che è difficile che avvenga a breve, visto che la maggioranza dei medici di famiglia è a dir poco scettica”.

Un ruolo chiave nella PiC verrà giocato dal “clinical manager” della struttura, alternativo al MMG del paziente. Se il Gestore scelto sarà un ospedale pubblico la sua Dirigenza non avrà problemi ad individuare al proprio interno il “manager" clinico incaricato di redigere il PAI (piano assistenziale individuale) e il patto di cura con il malato cronico, in sostituzione del MMG (se il Gestore sarà il generalista stesso in cooperativa il problema non si porrà). Ma in una struttura privata che eroga solo prestazioni diagnostiche chi svolgerà i compiti clinici, facendo le veci del generalista? Quali garanzie di professionalità e competenza potrà dare ai cronici un manager clinico arruolato da un’organizzazione internazionale for profit dotata di poliambulatorio e priva di strutture cliniche?

3-I malati cronici lombardi, di fronte alla lettera che all’inizio del 2018 proporrà loro di PiC, saranno investiti di una doppia decisione, analoga a quella del MMG: in un primo tempo dovranno stabilire se aderire o meno alla proposta di PiC e, in un secondo momento, scegliere a quale Gestore affidarsi tra quelli proposti dall’elenco curato dall’ATS. Saranno quindi messi di fronte ad un duplice carico decisionale ed è assai probabile che prima di agire si consultino con il proprio MMG, per avere delucidazioni e suggerimenti sia sulla scelta di fondo che sulla individuazione del Gestore a cui rivolgersi.

In questo caso il MMG sarà nella condizione, quasi naturale ed inevitabile, di influenzare l’esito del processo decisionale in un senso o nell’altro, prima di tutto se avrà assunto in proprio il ruolo di Gestore. In un precedente post ho analizzato le variabili psicologiche che potranno influenzare gli assistiti sul piano cognitivo, facendo riferimento alla teoria della “spinta gentile” formulata dall’economista comportamentale Richard Thaler, fresco premio Nobel proprio in questa materia (https://curprim.blogspot.it/2017/10/quale-spinta-gentile-per-la-presa-in.html)

Considerazioni finali. Fin dalla primavera del 2017, dopo la pubblicazione delle due Delibere, si erano levate le voci critiche verso la riforma che paventavano una strisciante privatizzazione del SSR lombardo proprio, per la massiccia entrata in campo delle strutture private ipotizzata nelle Delibere. Per alcuni la PiC si sarebbe rivelata una sorta di cavallo di Troia per favorire la colonizzazione del territorio da parte delle grandi organizzazioni for profit, con la conseguente emarginazione della MG.

In precedenti interventi avevo osservato che le tariffe previste dalle Delibere per la PiC (35, 40 e 45 Euro/assistito in funzione della complessità mono o polipatologica) non garantivano sicuri margini di convenienza economica per le strutture for profit, a causa della mole di incombenze previste sia sul versante organizzativo/strutturale (call center) che gestionale (clinical e case manager, procedure informatiche e amministrative etc…). Le prime defezioni dalla PiC nell’area milanese, dove peraltro si registra il minor percentuale di generalisti in Cooperativa e quindi in teoria un’ampio bacino di potenziali cronici da prendere in carico senza la concorrenza dei MMG-Gestori, sembrano confermare questa ipotesi.