sabato 26 marzo 2022

Dalle Coop alle AFT: quale futuro per la medicina generale lombarda?

L'ACN 2016-2018 ha finalmente recepito, pur con dieci anni di ritardo, le forme organizzative previste dalla riforma Balduzzi del 2012, in particolare le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) a cui l'ACN demanda due funzioni: 
  • la condivisione di percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida, audit e strumenti analoghi
  • l’assistenza per l’intero arco della giornata e per sette giorni alla settimana ad una popolazione non superiore a 30.000 abitanti coinvolgendo tutti i medici dell'assistenza primaria, vale a dire MMG e MCA.
Nel testo dell'ACN non vi sono riferimenti espliciti al PNRR ma è chiaro che il suo impianto fa riferimento alla ristrutturazione della medicina territoriale, promossa dalla Missione 6 del recovery found italiano con le Case e gli Ospedali di Comunità. Peraltro la funzione assistenziale H12 per 7 giorni su 7, prevista dall'ACN 2016-2018, non rientra tra i compiti indicati nel testo della Balduzzi ed è in tal senso una forzatura normativa, fors'anche di dubbia legittimità amministrativa ( http://curprim.blogspot.com/2017/05/lequivoco-della-aggregazioni-funzionali.html ).

La situazione sul territorio della AFT è piuttosto disomogenea, come dimostra l'indagine del 2018 sull'applicazione della Balduzzi (si veda il PS e il link: https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=66839 ). Da allora tuttavia la situazione è cambiata in molte zone come la Lombardia, complice la pandemia che ha messo drammaticamente in evidenza le carenze delle politiche regionali: nell’autunno 2020 infatti sono stati attivati i Centri di Riferimento Territoriale o CRT, aggregazioni locali di MMG analoghe alle AFT, con l'obiettivo di coordinare gli interventi per fronteggiare la pandemia, grazie ai quali la gestione extra ospedaliera dei casi è migliorata. 

Ora di fatto l'ACN 2016-2018 in sinergia con il PNRR porterà alla completa attuazione della riforma Balduzzi, in quanto assieme alle Case della Comunità "le aggregazioni della medicina generale e della pediatria di famiglia (AFT e UCCP) di riferimento rappresentano la garanzia dell’accesso e della presa in carico, nel rispetto della capillarità e della prossimità delle cure ai luoghi di vita delle persone" (Monitor, N, 45 pag. 23).

In Lombardia i CRT saranno trasformati a breve in AFT e potranno così costituire lo strumento organizzativo per promuovere quella comunità professionale di formazione sul campo ed intervento incaricata, ad esempio, della Presa in Carico (PiC) della cronicità, in sostituzione dei Gestori ospedalieri dopo il fallimento della riforma del 2017. I CRT hanno già dato prova di mobilitazione della categoria con la lettera aperta alle istituzioni sulla crisi della MG ( http://curprim.blogspot.com/2022/02/lettera-aperta-alle-istituzioni.html ) sfociata nella manifestazione di protesta e proposta delle Coccarde Gialle del 26 marzo a Milano.

Cinque anni fà le Coop della MG furono le protagoniste della PiC compensando l'assenza delle AFT, per il disinteresse e l'inadempienza della regione, naturali candidate alla gestione della cronicità sul territorio. Allora le Coop svolsero un ruolo significativo nel dimostrare che solo la MG poteva farsi carico dei cronici, come attestano i risultati empirici della riforma: il 40% dei MMG in Coop portò a termine il 95% dei 300mila arruolamenti dei pazienti (il 10% della coorte regionale) a fronte del 5% di soggetti che furono seguiti dai Clinical Manager specialistici dei Gestori ospedalieri. 

Nonostante questi positivi riscontri non sono mancati alcuni risvolti negativi: a livello locale le numerose Coop, sorte per iniziativa di sindacati o associazioni professionali, hanno contribuito a frammentare ulteriormente una categoria già abbastanza divisa e isolata, invece di favorirne l'aggregazione dal basso sulle pratiche clinico-assistenziali tra pari nello spirito delle AFT (si veda il PS). Inoltre una gestione verticistica delle Coop ha esitato in accordi con la controparte pubblica all'insegna dello scambio politico e della tutela di interessi particolari, non sempre di esemplare trasparenza. 

Il motivo è intuitivo: per loro natura le Coop sono organizzazioni chiuse ed esclusive, nel senso che perseguono prioritariamente la propria efficienza e i legittimi interessi dei soci, mentre le AFT sono di ispirazione aperta ed inclusiva, rivolgendosi indistintamente a tutti i medici dell'assistenza primaria, a prescindere dalle tessere sindacali o associative, con finalità istituzionali non economiche ma di natura culturale, formativa, autovalutativa e di promozione della comunità professionale. In tal modo le AFT saranno chiamate a migliorare la coesione tra i professionisti del territorio e di collegamento tra questi le Case della Comunità, gli operatori sociali e gli specialisti ambulatoriali.

Insomma con l'attivazione della AFT, naturale evoluzione dei CRT lombardi, si apre una nuova fase all'insegna di un potenziale rafforzamento della medicina territoriale in sintonia con le novità proposte dal PNRR; con l'ACN 2016-2018 vi sono le premesse organizzative e sociali per archiviare un decennio di deleterie policy regionali, volte più alla marginalizzazione che al sostegno del territorio, e per innescare processi di innovazione e recupero di un ruolo mortificato da scelte improvvide ed inefficaci.

P.S. Dall'indagine del 2018 è risultato che le AFT erano operative in 6 regioni mentre nelle altre erano assenti, programmate e/o in via di realizzazione. La Toscana è la regione che ha più investito nella rete delle AFT, con oltre 100 aggregazioni attive seguita dal Friuli con 48 e dall’Umbria con 38, mentre al polo opposto spiccano la Lombardia e le regioni meridionali, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia, che non avevano ancora attivato AFT.

venerdì 18 marzo 2022

COVID-19: netta ripresa dei casi di varianti omicron al 18 marzo

Evoluzione settimanale dell'ondata omicron al 18 marzo

Nell'ultima settimana si è consolidata l'inversione di tendenza registrata a partire dall'inizio del mese con un netto aumento dei principali parametri dell'ondata omicron:

  • i nuovi casi sono stati oltre 455mila rispetto ai 320mila della scorsa settimana, per un incremento del 42% rispetto al +25% della settimana precedente, con una media di 65mila casi al giorno rispetto ai 45mila del 11 marzo
  • i ricoveri complessivi sono tornati a risalire anche se di poco, passando a 8801 a 8877, ma solo nei reparti ordinari dove sono aumentati del 15% a fronte di una riduzione e del 10% in terapia intensiva; i decessi sono diminuiti dell'8% rispetto al 26% della scorsa settimana, scendendo sotto i 1000 per una letalità dello 0,21%
  • gli attualmente positivi e i soggetti in isolamento domiciliare sono risaliti di 143mila  rispetto ad un calo di 47 e 46mila.
I dati segnano continuo incremento di casi rispetto al calo registrato a febbraio; la minor gravità della variante Omicron per ora non si è riverberata in modo negativo su terapie intensive e decessi, anche se i ricoveri nei reparti ordinari hanno riperso a crescere, anche perchè l'impatto su complicanze e decessi è ritardato di alcune settimane rispetto all'inizio dell'ondata. 

Con il mese di aprile coloro che hanno ricevuto il richiamo tra ottobre e novembre saranno meno protetti dal vaccino, con prevedibile maggiore circolazione di SARS-COV2, ed inoltre i casi degli ultimi giorni si sono verificati anche tra vaccinati nel 2022. Infine milioni di ultra 50enni non sono vaccinati, non hanno fatto il richiamo, non va sottovalutato il potenziale effetto dell'ondata di profughi dall'Ucraina in maggioranza non vaccinati e il rischio che la nuova impennata di contagi selezioni altre variati non necessariamente meno "aggressive".







martedì 15 marzo 2022

Si fa presto a dire dipendenza.....

Mmg: il tramonto (senza troppo clamore) dell’ipotesi della dipendenza

Nell’ultimo anno si è sviluppato un acceso dibattito sull’opportunità o meno del passaggio al rapporto di dipendenza dei medici convenzionati dell’assistenza primaria, che ha diviso addetti ai lavori e decision maker. Il DM71 nelle attese doveva superare le diversità di vedute emerse tra regioni e ministero prendendo una decisione definitiva ma così non è stato e la questione è stata 

Come ha osservato Antonio Panti sul Quotidiano Sanità “da eroi a capri espiatori il passo è più breve di quanto sembri e gli amministratori del servizio sanitario, dopo aver lasciato i medici di famiglia senza protezioni e supporti, scoprono ora le gravi carenze del territorio”.
 
Lo scivolamento dall’ammirazione al biasimo, dagli allori al banco degli imputati si è focalizzato su un capo d’accusa: il fronte pro dipendenza ha identificato nel rapporto di lavoro convenzionale l’origine delle criticità emerse nella prima ondata di Covid-19 e, con il supporto di questa teoria causale, ha imposto all’attenzione della pubblica opinione il problema.

 
Così il superamento della natura “libero professionale” del MMG – più presunta che reale - è entrato di slancio nell’agenda pubblica sulla riforma della medicina territoriale, seppur a prezzo di una campagna di delegittimazione mediatica di stampo populista, a base di denunce dei “medici fannulloni” basate su bias cognitivi e generalizzazioni indebite.
 
La tappa successiva era il passaggio della questione dalla cosiddetta agenda pubblica a quella istituzionale per una deliberazione formale e risolutiva del problema, ritenuto di urgente rilevanza collettiva. Tuttavia la “promozione” non è ancora avvenuta per diversi motivi. Secondo le decisioni di policy per accedere all’ordine del giorno dell’agenda istituzionale occorre far leva su alcune risorse: di consenso presso l’opinione pubblica, i decision maker e i vari portatori di interessi, risorse economico-finanziarie per la sostenibilità del cambiamento, conoscitive e di competenza per formulare la soluzione e definire le tecniche dell’intervento ed infine risorse normative o legali per produrre le regole della legittimazione formale e dell’implementazione.
 
Sono numerosi i nodi problematici da sciogliere per attuare un progetto come il passaggio alla dipendenza di 70mila professionisti sanitari, tanto ambizioso quanto irto di insidie. Non è sufficiente un’ondata di riprovazione o la percezione della gravità di un problema per guadagnare la priorità dell’agenda istituzionale, vincendo l’agguerrita concorrenza di altri problemi di policy specie sul versante delle risorse.

Già nel documento di settembre sulla riforma delle cure primarie le regioni avevano sollecitato una "valutazione relativa al costo del lavoro e alla necessità di aumentare significativamente gli organici se si applicassero le regole della dipendenza rispetto ad orari di lavoro, tutela di malattia e infortunio, ferie". Ma questa richiesta a distanza di 6 mesi non ha avuto seguito, almeno con atti o documenti pubblici.

In pratica fin’ora il composito fronte favorevole della dipendenza non è riuscito a sospingere la questione in cima alle priorità dell’agenda istituzionale per la deliberazione finale. Sono probabilmente mancate all’appello alcune delle risorse necessarie per completare l’iter della sponsorizzazione a favore del cambiamento radicale auspicato dato che la dipendenza "richiederebbe un iniziale importante investimento in quelle regioni che non hanno già investito nella rete delle strutture territoriali, prevedendo di fornire ambienti, strumentazioni e personale di supporto alla Medicina Generale".
 
Il progetto si è arenato prima di tutto sullo scoglio delle compatibilità finanziarie, correlate al probabile incremento della spesa corrente per le assunzioni, non coperte dai fondi comunitari ma necessarie alla transizione da uno status giuridico all’altro: in un anno non è stato reso pubblico un documentato studio di sostenibilità economico-finanziaria e fattibilità organizzativa del progetto o forse, più probabilmente, è stato elaborato dai tecnici del MEF ma non divulgato. Inoltre le regioni sono alle prese con il non indifferente problema di reperire sul mercato del lavoro medici di comunità e personale amministrativo dipendente per la gestione ordinaria delle strutture, che come è noto non può attingere ai fondi del recovery plan comunitario. 

Non a caso tra i rilievi delle regioni al DM71 figura anche la pressante richiesta di "consentire l'assunzione di medici di comunità e delle cure primarie e di medici dei servizi territoriali da impiegare nelle case della comunità, a seguito di appositi corsi abilitanti organizzati a cura delle regioni" oltre a "garantire l'impiego di tutto il personale sanitario e amministrativo necessario a far funzionare le strutture territoriali previste dal PNRR. Per tale personale occorre che sia assicurata l'integrale copertura finanziaria". Non meno problematici sono i risvolti tecnico-normativi di un’operazione di ampia portata legale, ad esempio sul fronte previdenziale, che evoca rischi di effetti imprevisti tipo esodati. Sempre il documento di settembre delle regioni prospettava l'esigenza di un "atto normativo nazionale che renda compatibile l’incremento della dotazione organica con i tetti di spesa del personale e permetta l’inquadramento dei MMG nella dipendenza anche se non possiedono un titolo di specializzazione".

Per quanto riguarda il consenso se quello dell’opinione pubblica è stato acquisito è mancato quello di altri due attori: i sindacati maggioritari della categoria, a fronte dell’appoggio di organizzazioni minoritarie, e dei decisori pubblici. I promotori della riforma radicale hanno dovuto fare i conti con il disallineamento tra le istituzioni, divise tra regioni favorevoli e contrarie, peraltro in sintonia con la posizione sfavorevole del Ministero. Le divergenze tra i decisori pubblici spiegano lo stallo e la decisione di non decidere, che il DM71 ha certificato.
 
Anche il venire meno della pressione della pandemia sull’opinione pubblica, per i positivi effetti della vaccinazione di massa nel contenimento dell’ondata Omicron, assieme all’urgenza di definire un quadro normativo coerente in vista dell’avvio del PNRR hanno contribuito a far tramontare per ora l’ipotesi della subordinazione, in attesa di tempi meno pressanti. Infine si può anche ipotizzare che le conseguenze economiche della guerra possano determinare un impatto negativo sull’adeguatezza dei fondi strutturali del PNRR, mettendo in dubbio il finanziamento di programmi elaborati nel 2021 in una fase di ripresa economica e calma inflattiva. In merito si sono già levate le voci degli imprenditori che reclamano una revisione delle stime per l’adeguamento dei costi delle infrastrutture all’inflazione e al rincaro delle materie prime.
 
In buona sostanza sono venute meno alcune delle risorse indispensabili per supportare il complesso iter deliberativo ed attuativo di una riforma tanto radicale quanto a rischio di ostacoli pratici e scarsamente sostenibile in questa difficile fase di transizione.

https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=103206

sabato 12 marzo 2022

COVID-19: netto aumento di casi nell'ultima settimana

 Evoluzione settimanale dell'ondata omicron al 11 marzo

Nell'ultima settimana si è verificata una inversione di tendenza dell'ondata omicron, che ha ripreso vigore con un incremento di 64mila nuovi casi rispetto a venerdì 4 marzo:

  • i nuovi casi sono quasi 320mila rispetto ai 255mila della scorsa settimana, per un incremento del 26% rispetto ad una riduzione del 19% della settimana precedente
  • i ricoveri complessivi sono scesi a 8800 rispetto ai quasi 10mila: nei reparti ordinari sono diminuiti del 11% e del 15% in terapia intensiva; i decessi sono diminuiti del 26%, superando di poco i 1000, con una letalità dello 0,33%
  • gli attualmente positivi e i soggetti in isolamento domiciliare sono diminuiti di 47 e 46mila, rispetto ai 150mila circa della scorsa settimana, e i dimessi guariti aumentano di oltre 365mila
I dati segnano un'evidente inversione di tendenza nell'incidenza anche se per minore gravità clinica della variante Omicron non si sono ancora avuti effetti negativi sulle ospedalizzazioni, che continuano a scendere seppur più lentamente, e sui decessi: i contagiati vengono diagnosticati e seguiti al 98% sul territorio, non vengono ricoverati e si negativizzano in breve tempo. 





giovedì 10 marzo 2022

Case della Comunità in montagna, un difficile adattamento

E' passata una settimana dalla divulgazione del DM 71 che prevede 1 Casa della Comunità (CdC) ogni 45-50 mila abitanti e un Ospedale di Comunità (OdC) ogni 100mila; quasi contemporaneamente il governo ha varato un provvedimento per favorire lo sviluppo economico e la ripresa delle aree montane, con l’obiettivo di contrastarne lo spopolamento, attraverso norme ed incentivi per compensare le aree svantaggiate, anche a favore di medici e figure socio sanitarie che vi prestano la propria opera professionale (si veda il QS del 10 marzo).

Gli standard demografici delle strutture del PNRR sono più adatti alla zone urbane ad alta densità demografica che non a quelle extraurbane scarsamente popolate della pianura, della collina e soprattutto della montagna. Tenuto conto che il 90% degli 8mila comuni italiani ha meno di 15mila abitanti e che il 30% della popolazione abita in località con meno di 10mila residenti sarà impossibile garantire l’attuale capillarità assicurata dagli studi dei MMG. I residenti in zone disagiate con difficoltà di collegamenti stradali, già ora penalizzati per la distanza dagli ospedali, difficilmente potranno gravitare e fruire delle CdC e degli OdC. Inoltre in queste aree i MMG saranno restii a lasciare i propri studi, diffusi sul territorio, per confluire in poliambulatori lontani dalle residenze dei propri assistiti. Medicina di prossimità significa rapporto stretto con il proprio territorio mentre 1.350 CdC a livello nazionale non garantiscono un solido legame con le aree extra-urbane di riferimento. 

Nei comuni dove CdC ed OdC non saranno attuabili per questioni logistiche l’attuale rete di studi di medicina generale, in particolare le medicine di gruppo, le AFT e le Unità Complesse continueranno ad essere il punto di riferimento per i cittadini già svantaggiati per lo spopolamento delle zone alpine ed appenniniche. Con il concreto rischio di costruire strutture inadatte alle caratteristiche geodemografiche ed orografiche della montagna, quindi non di prossimità ma di distanza specie per l'assistenza domiciliare, e con difficoltà a reperire le figure professionali per il loro regolare funzionamento, già oggi carenti in molte zone. Strutture territoriali diversificate e con standard demografici adeguati alle caratteristiche del territorio sarebbero l'incentivo più efficace per attirare o trattenere i professionisti sanitari, contrastare lo spopolamento e venire incontro alle esigenze della popolazione stanziale.

Distribuzione delle CdC e degli OdC nell'ATS della Montagna

Per questi motivi gli standard introdotti dal DM71 appaiono inappropriati per i bisogni delle popolazioni delle aree in via di spopolamento; tant'è che in Lombardia con la DGR 6080 del 7/3/2022, sull'esempio della diversificazione della Case della Salute emiliane, è stato dimezzata lo standard delle CdC degli OdC nell'ATS della montagna, raddoppiandone il numero affinché nei “territori montani siano individuati strumenti adeguati a garantire la presenza capillare dei servizi, l’attrazione dei professionisti e in generale la capacità di assicurare le cure necessarie su un territorio molto vasto e non densamente popolato”, prevedendo “una serie di strumenti e modalità che consentano di rendere fattive le previsioni di una sanità di montagna realmente capace di rispondere ai bisogni dei cittadini”. A questi stessi obiettivi mirano i finanziamenti inseriti nelle recente riforma lombarda per l'attivazione degli ambulatori sociosanitari territoriale nei piccoli comuni la cui attività erogativa "deve essere coordinata con l’attività e i servizi delle case di comunità" (LR 22 del 30/11/2021).

Quindi da un lato con le strutture della Missione6 del PNRR si rischia di penalizzare proprio le zone di montagna mentre dall'altro si introducono incentivi rivolti al personale sanitario e ai cittadini per contrastare l'abbandono delle stesse aree. Non sarebbe stato più opportuno che i ministeri si coordinassero o si consultassero sulla ratio di queste misure, che hanno tutta l'aria di decisioni di policy "a silos"? I paladini del centralismo sanitario forse dovrebbero riflettere sulle virtù di modelli organizzativi definiti centralmente, a tavolino, in modo rigido e calati sul territorio a prescindere dalle caratteristiche delle zone a cui invece dovrebbero adattarsi, per poter "garantire la presenza capillare dei servizi e l’attrazione dei professionisti".

sabato 5 marzo 2022

ACN 2016-208 (3): Anticipo della Prestazione Previdenziale per il il ricambio generazionale

Ecco una nuova "misteriosa" sigla che diventerà familiare ai pensionandi e ai colleghi "diplomati" al CFSMG: APP, ovvero anticipo della prestazione previdenziale. In soldoni si tratta di anticipare una parte della pensione Enpam riducendo in proporzione il numero di assistiti per favorire il "passaggio" di consegne con il neo-diplomato che accede alla convenzione. 

Questa soluzione era stata prospettata dall'ENPAM a suo tempo ed ora è arrivato anche l'aggiornamento dell'Acn, che recepisce questa novità e detta le regole applicative. Da qui alla sua attuazione pratica però c'è ne corre, vista la non indifferente complessità dell'apparato normativo integrato nell'Acn, che rischia di indurre il cosiddetto implementation gap tra obiettivi del programma e concreta applicazione delle norme.

In attesa della ratifica della convenzione converrà familiarizzare con questa nuova opportunità per pensionandi e colleghi diplomati al CFSMG.

ALLEGATO 5 – DISPOSIZIONI PER FAVORIRE IL RICAMBIO GENERAZIONALE DEI MEDICI DI CURE PRIMARIE A CICLO DI SCELTA. ART. 1 PRINCIPI GENERALI

1. Al fine di favorire il ricambio generazionale, il medico di cure primarie a ciclo di scelta, in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi per percepire la pensione ordinaria, anche anticipata, presso la Fondazione ENPAM e con un minimo di 1.300 assistiti, può richiedere all’ENPAM l’Anticipo della Prestazione Previdenziale (modulo A)*, di seguito denominata APP, alle condizioni e con le modalità previste del presente Allegato.

2. L’attivazione del predetto istituto è subordinata alla riduzione dell’attività convenzionale da parte del medico di cui al comma 1, da un minimo del 30% fino ad un massimo del 70%, a fronte della contestuale attribuzione, con rapporto convenzionale a tempo indeterminato, della corrispondente quota di attività ad un medico da incaricare (di seguito “medico incaricato APP”) inserito nella graduatoria di cui all’articolo 19, comma 1 del presente ACN.

3. Prima dell’avvio della APP e del conferimento dell’incarico a tempo indeterminato, è previsto un periodo di affiancamento obbligatorio, disciplinato dal successivo art. 6. 4. L’incarico a tempo indeterminato ha la medesima decorrenza della APP.

ART. 2 PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA DI APP

1. Il medico che vuole accedere alla APP deve presentare alla Azienda di appartenenza, entro il 31 dicembre, idonea domanda di adesione (modulo B)*. La domanda deve essere corredata dalla certificazione del raggiungimento del requisito per accedere alla pensione di cui all’art. 1, comma 1, rilasciata dalla Fondazione ENPAM.

2. La domanda deve riportare i seguenti dati: a) età del richiedente; b) percentuale di riduzione dell’attività convenzionale: da un minimo del 30% fino ad un massimo del 70%. La scelta ha carattere vincolante per un anno; c) numero di assistiti.

3. Il medico di cui al comma 1 viene inserito nell’“Elenco APP dei medici titolari”, di cui al successivo art. 3, che sarà reso pubblico entro il 31 gennaio.

ART. 3 ELENCO APP DEI MEDICI TITOLARI

Il medico inserito nell’Elenco APP (di seguito “medico titolare”) deve confermare alla Azienda, mediante lettera raccomandata A/R o PEC, entro il 31 dicembre di ogni anno, la volontà di adesione alla procedura di ricambio generazionale e comunicare l’eventuale modifica della percentuale di riduzione dell’attività di cui all’art. 2, comma 2, lettera b). La modifica ha validità annuale. 2. La revoca in corso d’anno della disponibilità a rimanere nell’Elenco APP deve essere comunicata alla Azienda mediante lettera raccomandata A/R o PEC.

ART. 4  PRESENTAZIONE DOMANDA DEL MEDICO DA INCARICARE CON PROCEDURA APP

1. Il medico da incaricare di cui all’art. 1, comma 2, del presente Allegato, che vuole accedere alla procedura di ricambio generazionale della APP, presenta all’Assessorato alla Sanità della Regione idonea richiesta (modulo C)* da inviare con lettera raccomandata A/R o PEC, entro il termine del 30 aprile. 2. Il medico di cui al comma 1 viene inserito nell’“Elenco APP dei medici da incaricare”, di ui al successivo art. 5, che sarà reso pubblico entro il 31 maggio  ART. 5

ELENCO APP DEI MEDICI DA INCARICARE

1. Ai fini della formazione dell’“Elenco APP dei medici da incaricare” si utilizza il punteggio della graduatoria regionale di cui all’articolo 19, comma 1 del presente Accordo. 2. Il medico da incaricare già inserito nell’Elenco APP deve confermare all’Assessorato alla Sanità della Regione, mediante lettera raccomandata A/R o PEC, entro il 30 aprile di ogni anno, la volontà di adesione alla procedura di ricambio generazionale. La revoca in corso d’anno della disponibilità a rimanere nell’Elenco APP deve essere comunicata mediante lettera raccomandata A/R o PEC.

ART. 6 DISCIPLINA DEL PERIODO DI AFFIANCAMENTO

1. L’Azienda di competenza del medico titolare individua il medico da incaricare tra quelli inseriti nell’Elenco APP di cui all’art. 5, secondo l’ordine dello stesso, interpellando prioritariamente imedici residenti nell’ambito di iscrizione del medico titolare. Nel caso in cui il medico da incaricare non sia disponibile, l’Azienda individua un nuovo medico secondo lo stesso criterio.

2. Il periodo di affiancamento ha una durata di 60 giorni di servizio effettivo. Durante questo periodo entrambi i medici svolgono congiuntamente l’attività convenzionale nei confronti degli assistiti.

3. Durante il periodo di affiancamento entrambi i medici sono sospesi dagli Elenchi APP di appartenenza. Il medico da incaricare resta inserito nella graduatoria regionale di cu  all’articolo 19, comma 1 del presente Accordo.

4. Al termine del periodo di affiancamento, le parti manifestano congiuntamente la volontà all’avvio della APP (modulo D)*, nel quale: – il medico titolare si impegna irrevocabilmente a ridurre la propria attività convenzionale nella misura di cui all’art. 2, comma 2, lettera b) al fine di beneficiare dell’APP. Dichiara inoltre di aver presentato domanda di APP alla Fondazione ENPAM – il medico da incaricare si impegna irrevocabilmente a svolgere la quota dell’attività convenzionale resasi disponibile a seguito della riduzione operata dal medico titolare; – entrambi i medici dichiarano che regolamenteranno fra loro la ripartizione degli oneri e/o spese inerenti l’attività convenzionale, sollevando la Azienda da qualsivoglia responsabilità al riguardo.

5. La manifestazione di volontà deve essere inviata, a pena di decadenza, entro 15 giorni dalla ine del periodo di affiancamento, con lettera raccomandata A/R o PEC, all’Assessorato alla Sanità della Regione, alla Azienda di competenza e alla Fondazione ENPAM.

6. In mancanza di tale manifestazione di volontà, entrambi i medici restano sospesi dagli Elenchi APP e non possono accedere ad un nuovo periodo di affiancamento per 120 giorni dallo scadere del termine di cui al precedente comma 5.

7. Il medico titolare può effettuare al massimo tre periodi di affiancamento. Nel caso in cui anche al termine del terzo periodo di affiancamento non sia stata manifestata la volontà di avviare l’APP, di cui al precedente comma 4, il medico titolare decade dall’Elenco APP e può accedere nuovamente alla procedura di ricambio generazionale trascorsi due anni dal termine del terzo periodo di affiancamento.

8. Durante il periodo di affiancamento: • in caso di malattia il medico titolare può nominare come sostituto il medico da incaricare; • in caso di decesso del medico titolare, il medico da incaricare può proseguire l’attività nei confronti degli assistiti del medico deceduto fino a un massimo di 60 giorni; • in caso di cessazione/rinuncia per qualsiasi motivo da parte del medico l’Azienda individua un nuovo medico da incaricare avviando la procedura di cui al comma 1 del presente articolo, con nuova decorrenza del periodo di affiancamento.

9. Durante il periodo di affiancamento il trattamento economico spettante al medico da incaricare è a carico del medico titolare ed è calcolato nella misura del 30% del compenso della quota capitaria del presente ACN. Ai medici da incaricare spettano i compensi per le prestazioni eseguite nel periodo di affiancamento relativi alle quote variabili per compensi/servizi calcolati in base al tipo ed ai volumi di prestazioni concordate a livello regionale ed aziendale.

ART. 7 ANTICIPO DELLA PRESTAZIONE PREVIDENZIALE (APP) 1. A seguito della manifestazione di volontà, di cui all’art. 6, comma 4, la Fondazione ENPAM, previa presentazione della domanda di APP, provvede ad erogare la prestazione al medico titolare.

ART. 8 TRATTAMENTO ECONOMICO DEL MEDICO TITOLARE 1. I compensi a qualunque titolo dovuti per l’attività convenzionale al medico titolare che accede
alla APP sono diminuiti in misura pari alla percentuale di riduzione dell’attività di cui all’art. 2, comma 2, lett. b).

ART. 9 INSTAURAZIONE DEL RAPPORTO CONVENZIONALE DEL MEDICO INCARICATO APP

1. A seguito della manifestazione di volontà di cui all’art. 6, comma 4, viene instaurato il rapporto convenzionale con il medico da incaricare mediante conferimento di incarico a tempo indeterminato. 2. L’incarico di cui al comma 1 comporta l’obbligo di svolgere la quota percentuale di attività resasidisponibile a seguito della riduzione operata dal medico titolare.
3. All’atto del pensionamento definitivo del medico titolare ovvero della cessazione del rapporto per qualsiasi causa di entrambi i medici, cessano gli obblighi di cui al precedente comma 2. 4. Il medico incaricato APP di cui al presente articolo non può concorrere per trasferimento all’assegnazione di incarichi per la copertura di ambiti territoriali carenti. In caso di rinuncia o cessazione per qualsiasi ragione dall’incarico APP, il medico può accedere nuovamente alla procedura trascorsi due anni dalla cessazione dell’incarico APP.

ART. 10 TRATTAMENTO ECONOMICO DEL MEDICO INCARICATO APP
1. Al medico incaricato APP spetta la quota dei compensi a qualunque titolo dovuti per l’attività convenzionale al medico titolare, pari alla percentuale di riduzione dell’attività di cui all’art  2, comma 2, lett. b.

ART. 11 SOSPENSIONE E CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ CONVENZIONALE – SOSTITUZIONI

Nei casi di sospensione dall’attività convenzionale di cui all’articolo 19 del presente ACN, fermo restando l’obbligo di sostituzione previsto dal presente Accordo, è data facoltà al medico titolare e al medico incaricato APP di nominarsi reciprocamente quale medico sostituto. I rapporti economici fra medico sostituto e medico sostituito sono regolati ai sensi dell’articolo 36 del presente Accordo. 2. In caso di cessazione dal rapporto convenzionale del medico incaricato APP, nelle more dell’attivazione di una nuova procedura APP, l’Azienda provvede a designare il sostituto avvalendosi delle graduatorie aziendali di disponibilità di cui all’articolo 19, comma 6 del presente Accordo, interpellando prioritariamente i medici residenti nell’ambito di iscrizione del  medico titolare. Il compenso spettante al sostituto del medico incaricato APP è quello previsto dall’art. 10 del presente Allegato.

venerdì 4 marzo 2022

DOVID-19: dati mensili e della settimana

 Evoluzione mensile al 28 febbraio

  • Nell'ultimo mese la variante omicron ha contagiato 1,7 milioni di persone rispetto ai quasi 5 milioni di gennaio; nel bimestre è stata superata la metà di tutti i casi registrati dall'inizio della pandemia, con una positività dei tamponi passata dal 15 al 10%.
  • I ricoveri complessivi a fine mese sono poco più di 11mila rispetto ai 21mila di gennaio, con 8mila decessi mensili per una letalità dello 0,5%
  • Anche il numero di dimessi guariti è elevato, segno di un decorso clinico meno impegnativo, confermato dalla continua discesa dei soggetti in isolamento domiciliare.





Evoluzione settimanale dell'ondata omicron al 4 marzo

Prosegue il calo dell'ondata omicron anche se con minore intensità rispetto alla scorsa settimana

  • i nuovi casi sono 255mila rispetto ai 316mila della scorsa settimana, per una riduzione del 19% rispetto al 18% della settimana precedente
  • i ricoveri complessivi sono scesi poco meno di 10mila rispetto 12505: nei reparti ordinari sono diminuiti del 20% e del 22% in terapia intensiva; i decessi sono diminuiti del 13%, scendendo a 1403, con una letalità dello 0,54%
  • gli attualmente positivi e i soggetti in isolamento domiciliare sono diminuiti di 150mila circa rispetto alla scorsa settimana e i dimessi guariti aumentano di oltre 400mila
Nel complesso i dati confermano il lento rallentamento dell'incidenza e la minore gravità clinica della variante Omicron: i contagiati vengono diagnosticati e seguiti al 98% sul territorio per sintomi lievi, non vengono ricoverati e si negativizzano in breve tempo. 





La ristrutturazione dell'assistenza primaria farà la fine della Balduzzi?

Sul QS Proia e Polillo paventano il rischio che il riordino delle cure primarie nella cornice del PNRR faccia la fine della riforma Balduzzi, che doveva introdurre su tutto il territorio nazionale le aggregazioni dei medici di MG, vale a dire quelle funzionali monoprofessionali e le unità complesse multiprofessionali. In realtà solo una minoranza delle regioni ha attivato le AFT mentre la situazione delle UCCP è ancor più carente (https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=66839). 

Prima di affrontare il tema è necessaria una premessa concettuale circa l’applicazione delle politiche pubbliche. Due sono i modelli “standard” di implementazione delle decisioni di policy: quello di una riforma “calata dall’alto” con una norme applicata in modo “istruttivo” (top down) e la soluzione del cambiamento promosso dal basso per iniziativa degli attori interessati (bottom-up).

Abitualmente i due modelli vengono ritenuti alternativi. In realtà una riforma per avere successo deve innescare un’interazione virtuosa tra il dispositivo normativo e il sistema sociale di implementazione, composto dagli esecutori e dai beneficiari della riforma. La metafora botanica della semina, forse un po’ scontata, può rendere l’idea: anche la migliore semenza non può attecchire su un terreno arido e se le radici non ricavino dal suolo le risorse necessarie alla crescita della pianta.

La vicenda della Balduzzi è un esempio dei limiti del modello top down, che fa riferimento ad una concezione giuridico-formale ancora prevalente, basata sull'idea che per indurre il cambiamento basta produrre un dispositivo legislativo, applicato in modo puntuale dagli “esecutori”, a mo’ di uno spartito musicale. In realtà senza la promozione delle risorse cognitive ed organizzative della base, senza la condivisione del percorso con attuatori e portatori di interessi e senza adeguati finanziamenti la riforma rischia di produrre esiti insoddisfacenti, per quello che viene definito implementation gap tra obiettivi e risultati empirici.

É il caso della Balduzzi, che pretendeva a costo zero di cambiare l'organizzazione territoriale senza un articolato programma di implementazione e di incentivi ad hoc. Ad onor del vero le AFT sono aggregazioni a costo praticamente zero ma con rendimenti potenzialmente elevati in quanto strumento di promozione della comunità professionale per un cambiamento dal basso. Ciononostante le risorse del AFT, nella “filosofia” programmatica della Balduzzi, sono state sotto utilizzate in molte regioni. Analogo è il caso delle UCCP, strutture che necessitano di una governance pubblica di coordinamento della rete interprofessionale che difficilmente possono sorgere in modo spontaneo.

Ora il Pnrr garantisce le infrastrutture in cui le forme organizzative della Balduzzi potranno esprimere le loro potenzialità rimaste tarpate per il disinteresse di molte amministrazioni. Tuttavia i muri non bastano, come dimostra il naufragio di altri investimenti pubblici, ma possono essere l'occasione per attivare processi di cambiamento che coinvolgano i medici del territorio, specie i giovani, motivati e disponibili al cambiamento, alla sperimentazione di nuove pratiche e collaborazioni professionali. Le AFT avranno un ruolo chiave nel coordinare i diversi attori dell'assistenza primaria e la loro partecipazione al funzionamento delle CdC, per quanto riguarda la componete oraria dell'ACN da svolgere nelle strutture.

Il dispositivo tecnico normativo a prescindere dal sistema sociale di implementazione è condannato all’inefficacia, come dimostra il decennale impasse delle AFT e l’esperienza della PiC in Lombardia. L’altra leva del cambiamento può venire dall’ACN 2016-2018 che finalmente ha recepito le aggregazioni della Balduzzi in un’ottica di professionalismo organizzativo. In sostanza in una implementazione sistemica la piena attuazione della Balduzzi nella cornice dell'ACN è la conditio sine qua non per il buon esito della Missione6 e viceversa, ovvero le strutture del PNRR saranno la collocazione naturale e più appropriata delle AFT e delle UCCP finalmente realizzate.

Insomma il Pnrr pone le basi infrastrutturali per attuare la “rifondazione” della MG promessa a suo tempo, anche se lo standard demografico delle CdC sembra scoraggiare l’effettiva partecipazione indispensabile per il successo dell’iniziativa. E’ questo il nodo problematico e la principale criticità del Pnrr che potrebbe inficiare il successo del Missione6. Tuttavia proprio le UCCP potranno colmare lo jato tra le case della comunità hub e gli studi isolati dei MMG nei piccoli comuni, sopperendo alle case spoke di cui non si intravvede a breve la realizzazione, se non nelle regioni già dotate di una solida rete territoriale. Infatti il PNRR prevede il finanziamento di 1350 CdC Hub ma non fa alcun cenno agli standard, al numero e alle risorse da destinare alla costruzione delle CdC spoke che restano indefinite e solo sulla carta. 

Sta al sindacato cogliere l'occasione e non rimanere ancorato a logiche difensive e alla controparte di impostare programmi condivisi e non imposti in modo burocratico o gerarchico, che badano più al controllo del cartellino che ad obiettivi di qualità assistenziale e risultati di salute.