venerdì 4 marzo 2022

La ristrutturazione dell'assistenza primaria farà la fine della Balduzzi?

Sul QS Proia e Polillo paventano il rischio che il riordino delle cure primarie nella cornice del PNRR faccia la fine della riforma Balduzzi, che doveva introdurre su tutto il territorio nazionale le aggregazioni dei medici di MG, vale a dire quelle funzionali monoprofessionali e le unità complesse multiprofessionali. In realtà solo una minoranza delle regioni ha attivato le AFT mentre la situazione delle UCCP è ancor più carente (https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=66839). 

Prima di affrontare il tema è necessaria una premessa concettuale circa l’applicazione delle politiche pubbliche. Due sono i modelli “standard” di implementazione delle decisioni di policy: quello di una riforma “calata dall’alto” con una norme applicata in modo “istruttivo” (top down) e la soluzione del cambiamento promosso dal basso per iniziativa degli attori interessati (bottom-up).

Abitualmente i due modelli vengono ritenuti alternativi. In realtà una riforma per avere successo deve innescare un’interazione virtuosa tra il dispositivo normativo e il sistema sociale di implementazione, composto dagli esecutori e dai beneficiari della riforma. La metafora botanica della semina, forse un po’ scontata, può rendere l’idea: anche la migliore semenza non può attecchire su un terreno arido e se le radici non ricavino dal suolo le risorse necessarie alla crescita della pianta.

La vicenda della Balduzzi è un esempio dei limiti del modello top down, che fa riferimento ad una concezione giuridico-formale ancora prevalente, basata sull'idea che per indurre il cambiamento basta produrre un dispositivo legislativo, applicato in modo puntuale dagli “esecutori”, a mo’ di uno spartito musicale. In realtà senza la promozione delle risorse cognitive ed organizzative della base, senza la condivisione del percorso con attuatori e portatori di interessi e senza adeguati finanziamenti la riforma rischia di produrre esiti insoddisfacenti, per quello che viene definito implementation gap tra obiettivi e risultati empirici.

É il caso della Balduzzi, che pretendeva a costo zero di cambiare l'organizzazione territoriale senza un articolato programma di implementazione e di incentivi ad hoc. Ad onor del vero le AFT sono aggregazioni a costo praticamente zero ma con rendimenti potenzialmente elevati in quanto strumento di promozione della comunità professionale per un cambiamento dal basso. Ciononostante le risorse del AFT, nella “filosofia” programmatica della Balduzzi, sono state sotto utilizzate in molte regioni. Analogo è il caso delle UCCP, strutture che necessitano di una governance pubblica di coordinamento della rete interprofessionale che difficilmente possono sorgere in modo spontaneo.

Ora il Pnrr garantisce le infrastrutture in cui le forme organizzative della Balduzzi potranno esprimere le loro potenzialità rimaste tarpate per il disinteresse di molte amministrazioni. Tuttavia i muri non bastano, come dimostra il naufragio di altri investimenti pubblici, ma possono essere l'occasione per attivare processi di cambiamento che coinvolgano i medici del territorio, specie i giovani, motivati e disponibili al cambiamento, alla sperimentazione di nuove pratiche e collaborazioni professionali. Le AFT avranno un ruolo chiave nel coordinare i diversi attori dell'assistenza primaria e la loro partecipazione al funzionamento delle CdC, per quanto riguarda la componete oraria dell'ACN da svolgere nelle strutture.

Il dispositivo tecnico normativo a prescindere dal sistema sociale di implementazione è condannato all’inefficacia, come dimostra il decennale impasse delle AFT e l’esperienza della PiC in Lombardia. L’altra leva del cambiamento può venire dall’ACN 2016-2018 che finalmente ha recepito le aggregazioni della Balduzzi in un’ottica di professionalismo organizzativo. In sostanza in una implementazione sistemica la piena attuazione della Balduzzi nella cornice dell'ACN è la conditio sine qua non per il buon esito della Missione6 e viceversa, ovvero le strutture del PNRR saranno la collocazione naturale e più appropriata delle AFT e delle UCCP finalmente realizzate.

Insomma il Pnrr pone le basi infrastrutturali per attuare la “rifondazione” della MG promessa a suo tempo, anche se lo standard demografico delle CdC sembra scoraggiare l’effettiva partecipazione indispensabile per il successo dell’iniziativa. E’ questo il nodo problematico e la principale criticità del Pnrr che potrebbe inficiare il successo del Missione6. Tuttavia proprio le UCCP potranno colmare lo jato tra le case della comunità hub e gli studi isolati dei MMG nei piccoli comuni, sopperendo alle case spoke di cui non si intravvede a breve la realizzazione, se non nelle regioni già dotate di una solida rete territoriale. Infatti il PNRR prevede il finanziamento di 1350 CdC Hub ma non fa alcun cenno agli standard, al numero e alle risorse da destinare alla costruzione delle CdC spoke che restano indefinite e solo sulla carta. 

Sta al sindacato cogliere l'occasione e non rimanere ancorato a logiche difensive e alla controparte di impostare programmi condivisi e non imposti in modo burocratico o gerarchico, che badano più al controllo del cartellino che ad obiettivi di qualità assistenziale e risultati di salute.

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