venerdì 17 giugno 2022

Il disagio dei medici di MG: basi socioculturali

Tratto da: IL MALESSERE DELLA MEDICINA GENERALE
La riforma dell’assistenza primaria dopo la pandemia: ultima spiaggia o inevitabile declino?
Edizione KDP, aprile 2022, pag. 199

Il medico di medicina generale (MMG) vive dall’inizio del secolo un periodo di disagio che cova sotto la cenere e di rado viene a galla sui media tradizionali; il malessere si manifesta perlopiù con “sfoghi” sui social media che tradiscono un misto di risentimento, demotivazione e rassegnazione. Per descrivere questo clima emotivo e cognitivo collettivo può essere utile la nozione powerlesness, che connota il vissuto di quanti si trovano in un contesto lavorativo giudicato svantaggioso, demotivante, frustrante, limitante l’autostima e il contributo creativo all’organizzazione (Piccardo,1994). 

Emblematica a questo proposito è l'esternazione del ministro Giorgetti che a fine estate 2019 osservava: “Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti? Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito”. Questa sorta di sindrome collettiva da perdita di ruolo, ha radici socioculturali e basi epistemologiche riconducibili all’interazione tra alcune tendenze. Vediamole schematicamente.

1-   Lo sviluppo tecnologico e scientifico comporta l’obiettiva difficoltà per i professionisti di mantenersi al passo del rinnovamento delle acquisizioni teorico-pratiche. I progressi della tecnologia biomedica spingono lo specialista verso una ulteriore settorializzazione professionale che si focalizza attorno a specifiche tecniche diagnostiche e/o terapeutiche (Ardigo, Mazzoli,1994) ed emargina il generalista per sua natura non-specialista con una vocazione all’approccio olistico, biopsicosociale e culturale. A questa tendenza si somma la proliferazione di nuove professioni sanitarie, formalmente riconosciute e istituzionalizzate, che aumenta l’offerta sul mercato delle prestazioni ed erode ulteriormente la spazio di intervento e l’autonomia decisionale del generalista. Infine sul piano sociale prevale un’induzione della domanda da parte dell’offerta, che il sistema pubblico non riesce a soddisfare pienamente, in un contesto di patologizzazione e medicalizzazione mediato (Domenighetti 2007, p. 114-117)

  • dalla sistematica revisione al ribasso delle soglie dei parametri biologici che definiscono “il patologico” per una serie di fattori di rischio, assimilati a condizioni di malattia ;
  • dalla generalizzazione delle diagnosi precoci percepite dalla popolazione come sinonimo di guarigione-,
  • dall’attribuzione dello statuto di “malattia” a condizioni che fanno parte del normale processo biologico della vita, ad esempio con campagne di disease mongering;
  • dalla promozione di aspettative di efficacia verso l’impresa medica che vanno al di là di ogni ragionevole evidenza scientifica e che alimentano una privatizzazione di fatto, dovuta al deficit di offerta pubblica, proporzionale all’allungamento delle liste e dei tempi di attesa per le prestazioni di diagnostica ambulatoriale. 

2-    Con la diffusione del Web si è ridotta l’asimmetria informativa tra medico e paziente in proporzione diretta all’affermazione della disintermediazione offerta dalla rete e del tramonto della tradizionale dipendenza paternalistica. Ciò si traduce, da un lato. in maggiore autonomia del paziente divenuto “esigente” e in certi casi rivendicativo fino all’uso strumentale della revoca, dall’altro, in aspettative di efficacia “tecnica” che favoriscono il by-pass delle cure primarie a favore di risposte specialistiche, come nella situazione tratteggiata dall’on Giorgetti. In modo complementare l’autonomia decisionale del medico è stata progressivamente condizionata dalla cosiddetta “medicina amministrata”, che si concretizza in vincoli normativi e prescrittivi via via stratificati nel tempo, per il controllo della spesa sanitaria a causa della perdurante crisi della finanza pubblica. 

3-      L’evoluzione della società è guidata dalla suddivisione in sottosistemi; la logica che spinge verso una crescente differenziazione funzionale del sistema sociale e di divisione del lavoro è il tentativo di affrontare e ridurre la complessità ambientale con una speculare segmentazione del sapere e delle pratiche. Ogni sottosistema funzionalmente differenziato della società è orientato ad un proprio codice, a criteri valutativi, a schemi cognitivi e routine operative che garantiscono l’autonomia rispetto agli altri sotto sistemi (Baraldi, 1994). La risultante della differenziazione è la proliferazione delle subprofessioni all’interno di ogni branca medica e la focalizzazione su settori patologici sempre più ristretti; di conseguenza, come afferma Ardigò, in un sistema complesso "la risposta specialistica tende sempre a prevalere su quella a minore differenziazione" (Ardigò, 1990) con intuibili risvolti sul triangolo relazionale paziente-MMG-specialista (ad esempio con l’introduzione di Piani Terapeutici per farmaci di esclusiva prescrizione specialistica e preclusi al MMG). La differenziazione funzionale comporta il rischio di effetti indesiderati, come la divaricazione tra pratiche tecno-specialistiche ospedaliere in acuto e gestione olistica della cronicità sul territorio (Asioli, 2019). Con questa chiave interpretativa si può leggere il profilo “residuale” del MMG, non specialista per eccellenza, proposto alla stregua di un impiegato esecutivo e potenziale terreno di “bracconaggio” e sconfinamento professionale sul territorio, per quella che è stata definita la “generalizzazione” delle medicina di II livello. 

4-     Il paradigma di semplificazione costituisce lo sfondo culturale e cognitivo delle tendenze sopradescritte (Morin, 1993). Due sono i suoi pilastri che orientano l’azione e la conoscenza: il principio di disgiunzione e quello di riduzione. Per conoscere un oggetto occorre innanzi tutto disgiungerlo, separarlo rispetto all’ambiente: la conoscenza è tanto più solida quanto più è decontestualizzata e standardizzata mentre la varietà, unicità, complessità del contesto sono considerati irrilevanti o fattori di disturbo per il dispiegarsi della razionalità tecnica (Schoen, 1994). Secondo il principio di riduzione per conoscere un aggregato di parti è sufficiente la conoscenza approfondita dei suoi costituenti elementari dai quali si può dedurre il comportamento del tutto. Nella storia della medicina questi principi hanno ispirato, per esempio, lo sviluppo dell’assistenza ospedaliera; qui avviene quella disgiunzione tra malato e ambiente di vita che è finalizzata ad approfondire la conoscenza della malattia tramite la riduzione dei sintomi al livello dell’organo malato, delle cellule o delle strutture molecolari. La rigida applicazione del paradigma di disgiunzione\riduzione è storicamente esemplificata dall’istituzione manicomiale e dall’assistenza pediatrica. Nel caso del bambino malato la consapevolezza degli effetti deleteri (psicologici, cognitivo, affettivi e somatici) della separazione dalla madre e dalla famiglia (la decontestualizzazione della malattia) è stata “scientificamente” riconosciuta solo negli anni cinquanta, cioè dopo che per decenni i bambini ospedalizzati avevano subito i danni della deprivazione affettiva  e relazionale (Ardigò, 1990).

5-      Infine sul versante macro-sistemico si sono intensificate le ingerenze e il controllo esterno sulla professione medica da parte dei due contropoteri che hanno controbilanciato l’autonomia/dominanza della medicina: da un lato le logiche dell’economia di mercato, rappresentate dalle assicurazioni private e della grandi organizzazioni sanitarie for profit specie nel contesto nord americano, e dall’altro la deriva burocratica e manageriale imboccata dai sistemi di welfare pubblico, specie nel vecchio continente, per contenere una spesa sanitaria incontrollabile. Nel contempo la definizione positiva di salute dell’OMS del 1948, in sostituzione di quella negativa come assenza di malattia, accentuava il dislivello tra i bisogni e le attese alimentate dalla promessa di un benessere globale, e l’offerta di un servizio sanitario alla prese con la crisi endemica della finanza pubblica. L’inflazione della domanda di prestazioni mediche, prodotto di una accentuata soggettivazione del bisogno sanitario, sfociava in razionamento implicito dell’offerta diagnostica e terapeutica, a base di ticket moderatori, di allungamento delle liste d’attesa e del conseguente ricorso al mercato privato della diagnostica o con forme di pagamento out of pocket per i farmaci. Come ha osservato il sociologo della complessità Edgar Morin gli operatori sanitari sono “vittime sia di una politica neoliberista che viene applicata dappertutto per privatizzare ed atrofizzare i servizi pubblici sia di una gestione statale iperburocratizzata sottoposta sempre più alle pressioni di potenti lobby” (Morin 2020, p.45)

La risultante di queste concause è il declino dell’autorità professionale del medico, correlato al venir meno del paternalismo e dell’asimmetria della relazione tradizionale, connotata da deferenza e rispetto. Questo contesto mina alle basi il rapporto fiduciario e “la legittimazione stessa della biomedicina quale modalità esclusiva di erogazione delle cure sanitarie”, che si esprime nella difficoltà a garantire l’aderenza alle terapie (Giarelli 2013, p. 403) e nell’instabilità della relazione di cura sottoposta a crescenti tensioni o aperti conflitti. 

Bibliografia a richiesta: bllgpp@gmail.com

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