Giuseppe BELLERI
GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’
Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria
Prefazione di Silvana Quadrino, psicoterapeuta e docente di Medical Humanities
Una sfida a cui non si può sottrarsi, un libro per affrontarla meglio
Che sia non solo una sfida organizzativa
ma anche una sfida culturale è l’aspetto che questo libro mette in evidenza, a
partire dall’esperienza dell’autore, che il lavoro di medico, e di medico di
medicina generale, lo ha svolto coniugando la competenza clinica e
organizzativa con un profondo interesse per gli aspetti umani della cura.
Quando si parla di aspetti umani non si
parla di medici più “buoni” degli altri; non si parla di spontanea empatia (
dalla quale personalmente diffido) ma di cultura; di impegno formativo e
autoformativo. Di una sensibilità coltivata praticando le medical humanities
e la medicina narrativa in tutto il proprio operare professionale.
In questo nuovo libro di Giuseppe Belleri
convivono la cultura scientifica – clinica, organizzativa, epidemiologica – e
la cultura umanistica, antropologica, psicosociale dell’autore. Arricchite, e
questa è una caratteristica preziosa del testo, da una attenzione profonda ai
significati delle parole e dei concetti che attraversano sia le linee guida, i
piani nazionali e regionali, le riunioni e gli incontri ufficiali, sia le
conversazioni quotidiane fra medici e pazienti, fra medici e famigliari.
Impossibile non riferirsi a questo proposito
alla definizione emersa dalla Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina
Narrativa in ambito clinico assistenziale del 2014*: la narrazione è lo
strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti
di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura.
Il MMG si trova all’incrocio di questi
diversi punti di vista; incontra narrazioni molteplici, in cui si parla in
apparenza di qualcosa di condiviso: cura; assistenza; rischio; continuità;
cronicità. Si potrebbe continuare elencando parole chiave e cercando di
riflettere su tutte le differenze possibili che ciascuna di queste parole, di
questi concetti, assumono per il politico, l’amministratore, l’economista
sanitario, il medico, il paziente, il famigliare. Belleri ne approfondisce i
significati mettendo in evidenza le possibili ambiguità e le conseguenti
incongruenze possibili: cosa significa parlare di rischio, per l’organizzatore,
per il divulgatore, per il MMG, per il medico specialista, per il paziente, per
il famigliare? E parlare di salute, di guarigione, di cura? Parliamo della
stessa cosa? E, soprattutto, esiste un modo per tenere conto di tutti questi
significati e degli obiettivi che ne derivano? Per integrarli, o almeno per
evitare che divergano disastrosamente?
Parliamo di differenze; di molteplicità;
di complessità. La complessità, e la conseguente sfida a cui non è possibile
sottrarsi, è una delle potenti linee su cui si sviluppa tutto questo libro.
Complessità che nasce, per cominciare, dalla dimensione spazio-temporale che
caratterizza la malattia cronica: una condizione che si sviluppa in tempi
lunghi, con decorsi imprevedibili; che attraversa i diversi cicli di vita della
persona e della sua famiglia.
Il MMG è coinvolto nel succedersi di fasi
della vita del suo paziente e della famiglia che comportano modificazioni dei
ruoli, delle relazioni, delle regole, delle aspettative, delle richieste.
Cambiano gli attori e gli scenari, il paziente cresce – pensiamo a malattie
croniche che debuttano in età evolutiva o giovanile - affronta impegni
relazionali e lavorativi nuovi, o deve rinunciare quelli che hanno fatto parte
della sua vita fino a quel momento; invecchia, perde competenze, peggiora.
Oppure attraversa lunghi periodi di stabilizzazione in cui compaiono speranze e
illusioni, e in cui può ridursi l’aderenza alle cure. I caregiver a loro
volta invecchiano, si ammalano; muoiono.
Le strutture famigliari si modificano. E
anche i curanti inevitabilmente si succedono, si perdono punti di riferimento
con centri specialistici, con professionisti di fiducia, con operatori di
assistenza conosciuti e fidati. Connettere i fili della rete dell’assistenza e
della cura, ogni volta che è necessario condividere, o ricondividere, il
progetto assistenziale, è un compito che il MMG avverte come proprio, ma che
non è possibile se non si attua quello che nel Piano Nazionale per la Cronicità
viene indicato come “macro-processo di integrazione nelle sue varie espressioni
organizzative, gestionali, operative, tecnologiche, professionali e
istituzionali”. Macro processo che va però tradotto in azioni concrete, in
interventi che non possono essere solo tecnico/organizzativi, ma anche e
soprattutto formativi e culturali.
Leggendo il testo di Belleri ho pensato
che lo sviluppo del libro rappresenta una bella prova di fronteggiamento
efficace della complessità: la complessità, scriveva e diceva spesso Giorgio
Bert, il cui lavoro e pensiero ha incrociato spesso quello di Giuseppe Belleri,
non può (non deve) essere semplificata: va vista ad occhi bene aperti,
conosciuta e attraversata. Ciascuno dei capitoli del libro “attraversa” aspetti
della complessità dell’intervento nella cronicità, esplodendone per così dire
tutti i punti senza pretendere di semplificarli:
La prevenzione, con i conseguenti
molteplici significati del concetto stesso di prevenzione, e di rischio, la cui
condivisione fra professionisti e pazienti, e spesso fra gli stessi
professionisti, è bene non dare mai per scontata.
- La “presa in carico”, con la necessità
di dare senso e concretezza al termine “integrazione” che, come sottolinea
Belleri, compare nel testo del Piano con scarsi riferimenti al concetto di
“sistema”, che è il solo a poter rendere visibile e “attraversabile” la
complessità della presa in carico da parte di professionisti e organizzazioni
diverse.
- La cultura, intesa sia come conoscenza e
condivisione di conoscenze fra il mondo sanitario e i cittadini, sia come
formazione umana dei professionisti sanitari, indispensabile per saper
affiancare i pazienti e i caregiver nei momenti decisionali, negli
interventi di motivazione e di educazione terapeutica, nel fronteggiamento dei
momenti critici.
- L’educazione sanitaria, ben distinta
dall’informazione su cui tante energie e risorse vengono impiegate, con
risultati scarsi poiché “fornire maggiori informazioni su argomenti sanitari è
condizione necessaria ma non sufficiente per impegnarsi e promuovere
cambiamenti comportamenti “
Considero particolarmente utili,
nell’armonizzare la profondità delle riflessioni e dei riferimenti alla
letteratura scientifica, sociologica, antropologica, filosofica, psicologica a
cui Belleri attinge con competenza, i casi e le storie disseminati nel libro,
che permettono al lettore di evocare il ricordo di situazioni ed esperienze
simili e di cogliere il senso che acquistano attraverso la lettura che ne
propone l’autore. Così la signora Franca, sessantenne convinta di poter
sostituire la terapia farmacologica con l’esercizio in palestra; o la giovane
donna sana e priva di sintomi che, utilizzando in modo disinvolto e creativo le
teorie della probabilità e l’associazione mentale prevenzione/esami clinici
approfonditi perché “non si sa mai cosa
si può trovare” , chiede la prescrizione di una immotivata “TAC a tutto il corpo”, non sono più macchiette su cui ridere con i
colleghi nelle cene congressuali, ma
occasioni di riflessione, alla luce della domanda che sempre, nei corsi di
comunicazione e di medicina narrativa, proponiamo ai medici: che cosa “rende
possibile”, e in qualche modo sensate, convinzioni e richieste di questo
genere?
E’ questo l’approccio narrativo alla
complessità della relazione di cura: non una raccolta di aneddoti e di storie,
ma la ricerca di senso in tutto ciò che percorre la relazione di cura fra i
diversi attori coinvolti in quella relazione. Quel senso che è necessario
“acquisire, comprendere e integrare”, come recita la definizione proposta
dall’ISS.
Nella parte conclusiva del libro emerge
l’aspetto politico a cui la riflessione di Belleri inevitabilmente conduce: la
complessità di cui tutto il libro parla, e il diritto dei cittadini di poter
contare in interventi adeguati se dovranno affrontare situazioni di cronicità
(eventualità che tutti dobbiamo mettere in conto, legata anche all’aumento
della durata della vita) richiede una “integrazione e continuità organizzativa
tra settore sanitario e servizi socioassistenziali”. Integrazione che non
sembra far parte dei progetti della attuale politica sanitaria.
Il progressivo smarcarsi delle politiche
economiche sanitarie dai costi degli aspetti assistenziali di risposta alla
cronicità e alla non autosufficienza, spostandone il peso su altri attori
sociali come caregiver familiari, badanti, assistenti ad personam ed in
generale servizi sociali comunali, fa emergere nuove esigenze a cui il
Servizio Sanitario dovrà sapere
rispondere e per le quali dovrà (dovrebbe) destinare risorse e progettualità:
in particolare, interventi formativi e organizzazione adeguata, che preveda
tempi e modi per la promozione e
l’attuazione di buone pratiche di integrazione e conciliazione fra tutti gli
attori coinvolti.
Cito dalle ultime pagine del libro: “la
rete territoriale, orizzontale, informale e non gerarchica, è composta da
attori con difformi status giuridici e professionali, ognuno con il proprio
bagaglio di conoscenze, esperienze formative, schemi di valutazione, criteri e
parametri decisionali nell’ambito delle regole deontologiche e della cultura
professionale di riferimento”
Fare di queste differenze una ricchezza e
non un ostacolo per la qualità della cura, per la qualità della vita dei
pazienti e dei caregiver e, non
dimentichiamolo, per la qualità della vita e la dignità professionale dei
medici e degli operatori sanitari e sociali è, in estrema sintesi, la grande
“sfida culturale, educativa e organizzativa per le cure primarie” che il libro
di Giuseppe Belleri propone. Una sfida urgente, per la quale questo libro
rappresenta un contributo prezioso.