giovedì 2 ottobre 2025

Medicina evoluzionistica e malattie croniche

 Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

Disponibile su Amazon in formato cartaceo ed e-book, pag, 198

Capitolo 6 . Medicina evoluzionistica, mismatch e cronicità

 Secondo l'approccio darwiniano la salute e la patologia assumono significati diversi rispetto al pensiero medico tradizionale quando sono collocati in una prospettiva evoluzionistica. Le condizioni di salute e di malattia non dipendono solo da agenti causali prossimali diretti, che alterano gli equilibri fisiologici, ovvero da fattori immediati come nel modello esplicativo della teoria dei germi. Oltre alle risposte fisiopatologiche prossime, innescate da perturbazioni ambientali, esistono cause remore che si manifestano in modo disadattativo al tempo presente in quanto il frutto di adattamenti remoti.

Ad esempio per la medicina evoluzionistica i sintomi delle patologie acute infettive, tipiche dell’ambiente di vita delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori, hanno una funzione adattativa per rispondere efficacemente all’egente eziologico, in quanto frutto della selezione naturale per migliorare la sopravvivenza della specie.

Principi dell'approccio darwiniano alle malattie[1]

  • Difesa. Ciò che noi riteniamo un sintomo patologico, talora è in realtà un meccanismo di adattamento, come nel caso della tosse, del vomito e della febbre.
  • Conflitto con altri elementi in evoluzione, per esempio i microrganismi patogeni o altri organismi che possono in qualche modo compromettere certe funzioni dell'organismo umano.
  • Il disadattamento del nostro corpo alle veloci modificazioni dell'ambiente e dei modi di vita nell'epoca moderna.
  • Compromessi evolutivi a livello genetico. Un gene può conferire certi vantaggi in specifici contesti ambientali, ma aumentare la suscettibilità a sviluppare alcune patologie.
  • Compromessi evolutivi a livello dei tratti fenotipici complessi. Ogni tratto, somatico o comportamentale, di un individuo è l'espressione di un complesso equilibrio genetico ed epigenetico fra strutture somatiche e funzioni psicologiche
  • Vincoli storici e dipendenza da traiettorie evolutive. L'evoluzione procede usando e coadattando il vecchio materiale biologico e psicologico della specie. II migliore accomodamento fra i materiali e le funzioni biologiche preesistenti difficilmente coincide con la migliore e più efficace soluzione pensabile per una struttura funzionale.
  • Fattori casuali. Occorre infine ricordare, e siamo nella categoria di spiegazione evolutiva dei fattori casuali, che il processo evolutivo non segue un disegno preordinato di schemi di sviluppo tesi alla massima efficienza.

 In questa cornice interpretativa si è sviluppato il concetto di Evolutionary mismatch o dissonanza evoluzionistica, una teoria secondo la quale

 l'ambiente nel quale la nostra specie ha acquisito i suoi tratti adattativi sia drammaticamente cambiato in un tempo troppo breve perché predisposizioni o tratti genetici e fenotipici dell'organismo fossero in grado di adeguarsi, per selezione naturale, alle novità. Le conseguenze di queste dissonanze sono disfunzioni o disturbi o rischi che richiedono un approccio medico.[2]

 La fisiologia dell'organismo può essere adatta (sintonica) o incongrua (distonica) rispetto al contesto ambientale in cui l’organismo vive: se vie è sintonia c'è salute, mentre se c'è distonia c'è malattia. In generale, in ogni fase del ciclo vitale, la consonanza o la dissonanza tra i tratti funzionali e il contesto ambientale e storico sono all'origine della salute e della malattia.

In questa cornice interpretativa il concetto di Evolutionary mismatch o dissonanza evoluzionistica, è una teoria secondo la quale l'ambiente nel quale la nostra specie ha acquisito i suoi tratti adattativi è radicalmente cambiato in un tempo troppo breve perché predisposizioni o tratti genetici e fenotipici dell'organismo potessero adeguarsi, per selezione naturale, al mutato contesto ecologico. Le conseguenze di queste dissonanze sono disfunzioni, disturbi o rischi che richiedono un approccio medico[3].

Vi è un continuum di scale temporali e di meccanismi che producono, o non riescono a produrre, una corrispondenza adattiva tra fenotipo e ambiente: ad un estremo troviamo i meccanismi omeostatici e all'opposto quelli della selezione naturale genotipica mentre nella scala temporale intermedia si collocano i processi allostatici. L'evoluzione adattiva per selezione naturale è il più lento e l'adattamento omeostatico è il più veloce, per cui un organismo non sempre riesce ad aggiornare il suo fenotipo per adattarsi a un ambiente in evoluzione.

Gli organismi possono adattarsi a una sfida ambientale sia tramite evoluzione che tramite adattamento fisiologico o epigenetico e queste modalità di adattamento possono interagire: il fallimento di uno di questi meccanismi può produrre una discrepanza tra l'organismo e il suo ambiente.

La differenza tra la scala del cambiamento ambientale e la velocità con cui l'organismo può adattarvisi, con mezzi fisiologici o evolutivi: l'organismo è disadattato perché l'ambiente che occupa non è quello a cui era adattato in quanto ha subito radicali modificazioni sociali, ecologiche e tecnologiche. La ricerca sulla nutrizione afferma che

 la discrepanza si verifica quando la scala temporale e/o l'entità del cambiamento ambientale supera la capacità combinata di adattamento dovuta a meccanismi omeostatici, plasticità fenotipica e adattamento transgenerazionale[4].

 La differenza tra la scala del cambiamento ambientale e la velocità con cui l'organismo può adattarsi è il nucleo teorico dell'idea di disallineamento nella medicina evoluzionistica. E questa caratteristica che consente al disallineamento di spiegare i fenotipi disadattati osservati. Il mismatch genetico e l'ecologia nutrizionale sono strettamente connessi in quanto entrambi si occupano del disallineamento tra l’evoluzione biologica e i cambiamenti ambientali.

L'ecologia nutrizionale studia l'interazione tra alimentazione, ambiente e salute ed è correlata al mismatch genetico in quanto gli adattamenti genetici sviluppati in epoche passate non sono più compatibili con le condizioni ambientali e di vita moderne. I cambiamenti nell'ecologia nutrizionale giocano un ruolo significativo nella diffusione delle MCNT, influenzandone sia l'insorgenza che la progressione. I sistemi metabolici funzionali all’adattamento dei cacciatori raccoglitori in presenza di un'abbondanza di sostanze nutritive ipercaloriche, come grassi e glucidi raffinati, sono oggi responsabili dell’aumento delle malattie metaboliche.

Mismatch evoluzionistico ed ecologia nutrizionale

  • Cibi ultraprocessati: l'industrializzazione alimentare ha alterato il microbioma intestinale, alterandone l’equilibrio “ecologico” e le relazioni con il metabolismo e il sistema immunitario.
  • Dieta squilibrata: L'eccesso di zuccheri, grassi saturi e sale, combinato con una carenza di fibre e nutrienti essenziali, è un fattore dello sviluppo di malattie croniche come diabete, obesità e malattie cardiovascolari.
  • Alimentazione moderna: i nostri antenati erano geneticamente adattati a una dieta povera di calorie e ricca di fibre. L'attuale abbondanza di cibi ultraprocessati, ricchi di zuccheri e grassi, ha portato a un aumento di obesità, diabete e malattie cardiovascolari⁽¹⁾,
  • Vita sedentaria: l'evoluzione ci ha preparati a uno stile di vita attivo, ma la sedentarietà moderna amplifica il rischio di sovrappeso e malattie croniche metaboliche.
  • Infiammazione cronica: la dieta moderna può attivare geni che promuovono l'infiammazione, aumentando il rischio di malattie croniche.
  • Microbioma intestinale: l'ecologia nutrizionale influenza il microbioma, che a sua volta interagisce con il nostro patrimonio genetico, modulando il rischio di malattie.
  • L'ecologia nutrizionale considera anche l'interazione tra stress psicologico e nutrizione. In passato, l'essere umano era soggetto a stress acuti e intermittenti (ad esempio, la fuga da un predatore), mentre oggi lo stress è spesso cronico (stress da lavoro, stress psicologico) con effetti negativi sul metabolismo e sulle risposte ormonali, portando a un mismatch tra la risposta evolutiva allo stress e l'ambiente di vita moderno.

 Il mismatch evolutivo si applica specificatamente alle patologie croniche degenerative in quanto i nostri sistemi funzionali sono sostanzialmente quelli selezionati circa duecentomila anni fa per favorite l’adattamento a un ambiente caratterizzato da una penuria di cibo e di calorie, ben diverso dalla sovrabbondanza alimentare delle società industriali avanzale. Gli stessi sistemi metabolici in presenza di un’ampia disponibilità di cibi ipercalorici sono oggi responsabili della prevalenza di diabete mellito dell’adulto, sindrome metabolica ed obesità, anche nella giovanile, complice la vita sedentaria e la scarsa attività fisica quotidiana, sconosciuta tra le popolazioni di cacciatori e raccoglitori, costretti a spostarsi in continuazione per andare alla ricerca di cibo e a fare i conti con periodi stagionali di penuria.

L'effetto "leva proteica" è un’altra ipotesi di mismatch evolutivo proposta per spiegare l'aumento dell'obesità negli umani e nei loro animali da compagnia negli ultimi decenni. Nell'ambiente originario erano rari gli alimenti ricchi di grassi e carboidrati ma poveri di proteine[5]. La priorità proteica è adattiva nelle occasioni in cui le proteine sono rare. Ma gli alimenti ricchi di grassi e carboidrati e poveri di proteine sono ormai onnipresenti. Di conseguenza, la regola evoluta del compromesso fa sì che gli umani consumino costantemente più calorie di quelle che possono usare o immagazzinare senza diventare obesi. Questo modello di comportamento disadattivo spiega l'incapacità della selezione naturale di cambiare il fenotipo nutrizionale abbastanza rapidamente da tenere il passo con l'ambiente.

Un’altra spiegazione evoluzionistica che fa riferimento alla discrepanza genetica dell’ecologia nutrizionale è quella del cosiddetto gene risparmioso, ovvero la selezione di varianti genetiche che favoriscono l’adattamento, grazie all’accumulo di risorse energetiche in situazioni di abbondanza alimentare per poi far fronte con le riserve alle periodiche carenze che caratterizzavano la vita dei cacciatori raccoglitori nella savana africana.[6] Alcune popolazioni per ovviare a fasi di carestia o in regioni con risorse alimentari limitate potrebbero essere state favorite dalla selezione genetica di alcuni meccanismi fisiologici “risparmiosi”, tendenti all’accumulo di lipidi come riserva calorica in vista di periodi di vacche magre.

I tratti metabolici del fenotipo risparmioso - ovvero tendenza all’accumulo di grasso corporeo, resistenza all'insulina, metabolismo lento e comportamenti alimentari orientati al risparmio energetico – sarebbero responsabili dell’epidemia di obesità, diabete tipo II, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari che imperversa nelle società industriali, caratterizzate da ampia disponibilità di cibo “spezzatura” altamente processato in abbinamento con una vita sedentaria e stili di vita patogeni. Oggi nei contesti con abbondanza alimentare, i tratti genetici del fenotipo risparmioso possono risultare svantaggiosi, in quanto contribuiscono a patologie legate all'alimentazione e al metabolismo. L’adattamento evolutivo che ha favorito a suo tempo la sopravvivenza oggi si rivela patogeno i per via del mismatch genetico e della nuova ecologia alimentare caratterizzata da un eccesso di cibo e scarsa attività fisica.

Il mismatch evoluzionistico spiega in modo indiretto e, per così dire, passivo lo scarto temporale e funzionale tra genoma e ambiente, non ridicibile al paradigma deterministico, in base al quale i geni avrebbero un ruolo istruttivo unidirezionale e top down sui processi biologici, concezione che induce a sopravvalutare il ruolo del DNA nella formazione dell’organismo e nella sua evoluzione fisiologica e patologica fino all’identità individuale.


[1] Nesse R.M., Williams G.C. (1999) Perché ci ammaliamo, Einaudi, Torino

[2] Pani L, Corbellini G (2025) Imperfezioni umane, Rubbettino, Soverato Mannelli, p. 11

[3] Bourrat P, Griffiths P. (2024) The idea of mismatch in evolutionary medicine. British Journal for the Philosophy of Science, 75 (4):921-946. Consultabile al sito: https://philsci-archive.pitt.edu

[4]Raubenheimer, D., Simpson, S. J, Tait, A. H. (2012) ‘Match and Mismatch: Conservation Physiology, Nutritional Ecology and the Timescales of Biological Adaptation’, Phil. Trans. R. Soc. B, 367, pp. 1628–46.

[5] Raubenheimer, D., Machovsky-Capuska, G. E., Gosby, A. K. and Simpson, S. [2015]: ‘Nutritional Ecology of Obesity: From Humans to Companion Animals’, The British Journal of Nutrition, 113 Suppl, pp. 26-39.

[6] Heritier E. (2021 ) Diabete e obesità in ottica evolutiva, Conslutabile al sito: https://www.missionescienza.it/epidemia-diabete-evoluzione/

Cronicità e valutazione del rischio

 Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

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Capitolo 6 . Cronicità e valutazione del rischio

 La cronicità ha rotto schemi interpretativi consolidati, ha rimescolato le carte rispetto a schemi consolidati, inducendo dissonanze cognitive, culturali e socio-relazionali a cui il sistema non ha ancora dato una risposta organizzativa e gestionale ben definita. Queste differenze hanno importanti conseguenze sull’identità professionale dei medici, sui bisogni e sulle aspettative dei pazienti, sulle concezioni e sulle valutazioni di entrambi circa la natura della malattia, la qualità dell’assistenza e gli obiettivi delle cure.

Bisogna infatti tener conto che le patologie a bassa prevalenza considerate dal PNC, a differenza di quelle “silenti”, si caratterizzano per la presenza di sintomi o disturbi più o meno specifici che sono il target della terapia: dal dolore osteotendineo e muscolare nelle forme ortopediche e reumatiche ai disturbi gastroenterici nelle forme infiammatorie croniche intestinali, dai deficit neurologi nelle malattie neurodegenerative ai disturbi idro-elettrolitici nelle nefropatie ed epatopatie terminali, dal prurito nelle dermatiti croniche all’astenia nelle neoplasie in fase avanzata. Questa sintomatologia porta in primo piano la dimensione soggettiva e rende agevole il confronto tra modelli esplicativi del medico e del paziente.

Come già osservato nell’elenco delle schede inserite nel PNC, sono assenti i fattori di rischio e le patologie ad elevata prevalenza nell’area clinica metabolica e cardio-cerebro-vascolare, che rappresentano l’impegno professionale più rilevante per il MMG, a cui si aggiunge la cronicità ortopedica (artrosi) e quella psichiatrica (ansia e/o depressione).

A differenza delle patologie prese in considerazione dal PNC la galassia cardio-cerebro-metabolica si presenta con una duplice fisionomia: in una prima fase sono assenti sintomi o disturbi soggettivi correlabili alle anomalie fisiopatologiche (ipertensione arteriosa, iperglicemia, ipercolesterolemia, ecc.) e solo in tempi successivi si manifestano sintomi e segni clinici obiettivi dovuti alle complicanze e ai danni d’organo insorti per effetto della sinergia tra i diversi fattori di rischio, specie se non ben controllati dalle terapie o per effetto di abitudini e stili di vita scorretti. Vi è peraltro un’ulteriore differenziazione nella fenomenologia delle patologie croniche, anche rispetto alla descrizione proposta da Assal.

Vale la pena di accennare ad un nodo concettuale che ostacola l’incontro clinico in caso di semplice rischio, senza evidenza di malattia conclamata: il portatore asintomatico di un fattore di rischio isolato, al quale è stata riscontrato casualmente un aumento della Pressione Arteriosa, tende ad interpretare la sua condizione come una vera patologia e a sentirsi “malato”, soprattutto se posto in terapia farmacologica, per cui

 d'ora innanzi l'uomo è considerato per il resto della sua vita come un <paziente» accolto nel quadro, familiare a tutti, dell' assistenza medica. In verità egli non è affatto un paziente, perché il suo trattamento per l'ipertensione è un atto di prevenzione e non di terapia, ma per il medico è facile perdere di vista la distinzione fra «pazienti» e «quasi pazienti». [..] Quell' uomo che si era recato dal medico perché aveva un dolore al collo se ne era andato via dallo studio con l'etichetta «paziente ipertensivo» che. Ora gli resterà attaccata per tutta la Vita. Essendosi egli fino ad allora considerato sano, si vede in seguito come qualcuno che deve prendere delle pillole e andare dal medico regolarmente. Pensava di essere normale; ora è un malato. Questo può essere inevitabile e giustificato dai benefici, ma è un grosso Costo[1].

 Inoltre potrebbe indotto ad interpretare il fattore di rischio in chiave deterministica, nel senso di un nesso causale necessario tra l’ipertensione arteriosa e l’insorgenza della malattia mentre per il sapere medico la relazione è probabilistica, ovvero di carattere frequentistico dedotto dall’osservazione di una popolazione esposta al medesimo fattore. Un’altra discrasia concettuale tra determinismo e probabilismo resta spesso implicita: mi riferisco all’incommensurabilità tra i benefici della normalizzazione di alcuni parametri clinici, dimostrati a livello di popolazione dai trial randomizzati ed espressi con il parametro NNT, e il vantaggio individuale in senso preventivo che resta aleatorio ed incerto. Come ha osservato G. Rose la strategia preventiva finalizzata all’individuazione e alla correzione dell’alto rischio individuale

 E’ limitata dalla scarsa capacità di prevedere il futuro degli individui. [..] una persona con un punteggio alto per il rischio coronarico può avere venti o anche trenta volte in più la probabilità di avere un attacco cardiaco di un' altra con un punteggio molto basso [..] Sfortunatamente, alla capacità di stimare il rischio medio in un gruppo, che può essere buona, non corrisponde la capacità di predire quali siano gli individui che presto si ammaleranno. [..] ..non ci si deve sorprendere dell'inesattezza delle previsioni sul futuro di un singolo: le persone a <basso rischio» possono ammalarsi e molti individui ad «alto rischio» staranno bene[2].

 Nella valutazione del rischio il paziente e il malato possono incorrere nel cosiddetto paradosso dell’evento singolare, ovvero nell’attribuire ad un soggetto una probabilità (ed un beneficio terapeutico) che riguarda regolarità statistiche meta-individuali, cioè ricavate dall’osservazione della frequenza di eventi (o della riduzione) in popolazioni più o meno numerose. Se ad esempio un soggetto dislipidemico senza altri fattori presenta un rischio del 5% di incorrere in un evento acuto non si può predire se l’individuo apparterrà al 5% di coloro che nei successivi 5 anni avranno un infarto o a coloro che invece resteranno sani: in altri termini non è detto che il singolo soggetto beneficerà della riduzione del rischio – ad esempio una statina – che in prevenzione primaria si è dimostrata efficace in una coorte dalle caratteristiche simili a quelle dell’individuo posto in terapia.

Come ammonisce Rose la lezione che si può trarre dagli studi di popolazione sul controllo dei fattori di rischio isolati è che “l'uso, a lungo termine, di farmaci nella prevenzione è giustificato solo all'interno di un gruppo ad alto rischio”. Probabilmente i pazienti, una volta mesi al corrente di questa sorta di incommensurabilità tra dimensione individuale e di popolazione, potrebbero

 sentirsi un po’ meno a proprio agio, perché realizzerebbero che stanno partecipando a una specie di lotteria perché quello che si sta trattando non è in realtà la loro malattia, ma il rischio di una popolazione di cui fanno parte[3].

 La probabilità di fraintendimenti nella comunicazione circa efficacia, priorità e accettabilità di una terapia è minore se si utilizzano i valori assoluti e soprattutto il parametro del numero di soggetti da trattare per evitare un evento o NNT, che può superare le centinaia di pazienti posti in terapia per evitare un solo evento, specie in prevenzione primaria cardiovascolare. Come sottolinea Giani

 l’approccio epidemiologico è insensibile per definizione alle vicissitudini dei casi individuali che invece sono la principale preoccupazione pratica dei medici che adottano il paradigma ippocratico[4]

 La conclusione di Coen è netta: “la prevenzione farmacologica offre la certezza di un beneficio di popolazione al costo dell’incertezza per quanto riguarda vantaggi e rischi per il singolo individuo”[5].