martedì 23 febbraio 2016

Appropriatezza, nulla a che fare con il controllo di gestione!

ll concetto di appropriatezza si rivela il cavallo di Troia utilizzato a 360 gradi per condizionare e censurare le prescrizioni mediche in base a logiche finanziarie. Mentre la ministra della Salute si affanna a dimostrare che il decreto Appropriatezza prescrittiva non mira ad un risparmio economico le cronache sanitarie locali informano di interventi contro MMG accusati di presunta iperprescrizione inappropriata di farmaci, per via dello scostamento individuale rispetto alle medie di spesa dell'ASL o regionali. L'argomento è tornato prepotentemente d'attualità a seguito della recente pubblicazione dell'elenco delle prestazioni diagnostiche previste dal cosiddetto Decreto Lorenzin, oggetto di contestazione da parte di tutto lo schieramento sindacale medico. La valutazione dell'appropriatezza di un intervento sanitario scaturisce dalla combinazione di tre considerazioni
  1. la prescrizione dell'accertamento diagnostico o del farmaco al paziente giusto, nel momento giusto secondo le indicazioni accreditate della letteratura
  2. tenendo conto del rapporto tra benefici attesi e rischi potenziali
  3. evitando sia il sovrautilizzo che il sottoutilizzo di indagini diagnostiche o di farmaci.
Le iniziative delle ASL invece introducono in modo surrettizio una sorta di budget individuale - con le relative accuse di “sforamento” rispetto alle medie – peraltro privo di valore scientifico, statistico-epidemiologico ed economico-sanitario. Le medie di spesa irrelate rispetto alle scelte e agli esiti clinici (indicatori di processo ed esito dei PDTA) e all'epidemiologia del singolo medico (composizione anagrafica e prevalenza delle patologie croniche) non hanno significato. Si tenta cioè di inserire l'appropriatezza nella cornice concettuale del Controllo di Gestione manageriale, fatta di indicatori statistici e di scostamenti quantitativi rispetto alle medie finanziarie, mentre il concetto di appropriatezza ha una valenza prettamente qualitativa e individuale. Inoltre esiste anche il problema speculare alla presunta inappropriatezza per eccesso, non meno rilevante ma trascurato o addirittura misconosciuto, ovvero quello degli ipo-prescrittori; a differenza di quanto si potrebbe immaginare non si tratta affatto di medici “virtuosi” a priori, ma di professionisti che all’opposto potrebbero essere accusati di scadente qualità assistenziale, potenzialmente più rischiosa per gli assistiti della speculare inappropriatezza per eccesso.

Per definizione la valutazione corretta dell'appropriatezza prescrittiva deve essere condotta nei singoli casi e, in quanto orientata alla dimensione individuale, nulla ha a che fare con il rispetto ragionieristico di parametri statistici medi nella popolazione. Questo concetto risulta più chiaro se si considera l'appropriatezza prescrittiva delle prescrizioni diagnostiche: l'eventuale accusa di inappropriatezza, con le relative sanzioni previste dal Decreto Lorenzin, potrebbe scattare solo nel caso in cui l'esame prescritto non rientrasse tra i criteri previsti dalla Nota per il singolo paziente e non tra tutti gli assistiti in carico al singolo medico. L'appropriatezza ha una connotazione qualitativa individuale (il farmaco o l'accertamento giusto nel paziente giusto al momento giusto) e non quantitativa sulla popolazione (le medie finanziarie). Se un esame è stato prescritto in modo appropriato o meno, nel sospetto di una patologia specifica, lo si può stabilire solo in relazione al singolo caso clinico e non certo in riferimento ad una coorte.

Ad esempio ad un medico potrebbe essere contestata l'inappropriata prescrizione dell'elettroforesi proteica e della calcemia, per il monitoraggio di una gammopatia monoclonale, in quanto tale condizione clinica non è contemplata tra quelle elencate nelle relative Note. Tale contestazione potrebbe essere formulata solo ad personam e non in base alle medie prescrittive della calcemia e dell'elettroforesi proteica nelll'intera popolazione assistita. Anche l'ipotesi di ipo-prescrizione risulta più evidente se rapportata al settore degli accertamenti clinici: ad esempio un deficit nel monitoraggio dei parametri metabolici nel singolo diabetico, rispetto alle indicazioni di buona pratica clinica dei percorsi diagnostico-terapeutici, potrebbe dare adito all'”accusa” di inappropriatezza per difetto che, abbinata ad una ipoprescrizione di farmaci antidiabetici, potrebbe anche portare ad un ricovero per diabete scompensato.

Il problema in questo delicato settore sta negli accordi aziendali su cui si basano le contestazioni delle commissioni ASL per l'appropriatezza: se i sindacalisti accettano la logica della cornice finanziaria centrata sulle medie di spesa, come parametro di riferimento per la valutazione dell'appropriatezza, allora si aprono ampi spazi per le iniziative inquisitorie dei funzionari ASL. Bisogna invece spostare il baricentro della valutazione dal versante finanziario a quello scientifico e culturale, ovvero sulle scelte prescrittive e sugli esiti di salute a fronte della tipologia dei pazienti in carico, in relazione alle buone pratiche cliniche suggerite dalle linee guida e dai PDTA, comprovate dai dati estratti dai data-base professionali. Se mancano queste condizioni si finisce per subire passivamente i diktat finanziari di funzionari, che non hanno un'adeguata preparazione e non dispongono degli indicatori clinici per poter valutare l'operato del MMG sotto il profilo degli esiti di salute. In queste circostanze la linea difensiva per rispondere alle accuse si articola in 3 tipologie di dati estratti in modo analitico dal SW professionale, in una sequenza gerarchica che va dal generale al particolare:

1-La composizione anagrafica degli assistiti: se un MMG dimostra di avere in carico un numero di over65, grandi anziani, invalidi civili e con accompagnamento superiori alla media dell'ASL è già sulla buona strada, poichè i consumi sono correlati con queste variabili di per sè, cioè indipendentemente da altri parametri per via della progressione delle malattie croniche correlata all'aumento dell'età media della popolazione assistita.

2-La prevalenza delle patologie croniche: se un MMG ha ad esempio una prevalenza del 10% di diabetici - vale a dire un 30% circa in più rispetto alla prevalenza media dell'ASL - già questo semplice dato, peraltro correlato al precedente, giustifica uno sfondamento proporzionale delle prescrizioni di farmaci rispetto alla media ASL. Idem per quanto riguarda le più frequenti complicanze CV come by-pass, PTCA, insufficienza renale ed alcune patologie a bassa prevalenza (dializzati, emofilici, assistiti con malattie rare, immunodeficit, disabili, trapiantati, malati terminati, polipatologie invalidanti, epatiti croniche etc..). Va da sè che le medie individuali di spesa si distribuiscono statisticamente in modo gaussiano in relazione al case mix epidemiologico individuale e ai comportamenti prescrittivi.

3-La prescrizione di farmaci suggeriti, con nota AIFA o piano terepautico. Questo è il terzo fronte difensivo, quello più specifico: se un MMG utilizza in modo puntuale la funzione origine spesa (mi riferisco ad esempio al programma Millewin) può dimostrare che la prescrizione di alcuni farmaci costosi è stata indotta dallo specialista, in particolare per quelli soggetti a Piano terapeutico specialistico. Un esempio paradigmatico è quello dei colliri anti-glaucoma: è evidente che non si può imputare un eccesso di spesa al MMG dal momento che non ha alcun ruolo nella diagnosi e nel monitoraggio terapeutico dell'ipertensione oculare, fattore di rischio gestito in toto e in completa autonomia dall'oculista. La spesa indotta o gestita dalle strutture specialistiche andrebbe detratta dai "conti" del MMG, specie per alcune categorie di farmaci ATC, come le molecole soggette a Piano terapeutico (interferoni, anticoagulanti di ultima generazione, anti-neoplastici, ormonali, fattori di crescita ematologici e della coagulazione, immunomodulatori etc..).

Per finire due esempi pratici per dimostrare che non conta tanto il confronto astratto tra parametri finanziari ma il raffronto tra le medie di spesa e i comportamenti prescrittivi, a fronte delle prevalenze delle patologie croniche e delle buone pratiche cliniche. Un medico potrebbe risultare ipo-prescrittore perchè ha una bassa prevalenza di diabetici o ipertesi nella propria popolazione, oppure perchè ha una prevalenza in linea con le medie statistiche ma utilizza in misura superiore alla media farmaci generici. Entrambi potrebbero essere giudicati ipo-prescrittori, ma per motivi antitetici: il primo perché trascura di fare diagnosi di diabete o ipertensione, mentre il secondo al contrario essendo in linea con le prevalenze attese nella popolazione generale, perchè privilegia correttamente alcune categorie ATC rispetto ad altre.

All’opposto un iper-prescrittore, per ingiustificato eccesso di spesa per farmaci anti-diabetici, potrebbe addurre delle ottime ragioni a sua “discolpa”: prima di tutto la prevalenza di diabetici potrebbe essere superiore alla media, per via dell'anzianità della sua popolazione, e secondariamente la supposta iper-prescrizione potrebbe essere dovuta ad una gestione di alcuni diabetici in ambiente specialistico, spesso associata ad un più frequente utilizzo di ipoglicemizzanti di ultima generazione, costosi e soggetti a piano terapeutico. In sostanza medico avrebbe una media di spesa iper- per motivazioni più che valide, sia personali che collegate al contesto professionale.

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