mercoledì 26 ottobre 2016

Vaccinazioni tra scelta razionale ed emozioni

Le vaccinazioni sono sempre al centro dell'interesse e del dibattito pubblico. Alcuni fatti hanno riacceso i riflettori sul rifiuto delle vaccinazioni per i nuovi nati: da un lato alcune regioni stanno promuovendo normative per rendere obbligatorie le vaccinazioni ai fini dell'iscrizione alla scuola dell'infanzia e dall’atro vengono segnalati casi di provvedimenti disciplinari da parte degli Ordini dei medici di Treviso e Firenze verso camici bianchi anti-vaccini, mentre il presidente Mattarella ha espresso la sua opinione in un recente discorso giudicando pubblicamente "sconsiderato chi critica i vaccini".
Se i genitori decidessero solo in modo distaccato, a mo' di freddi statistici bayesiani, non si porrebbe la questione del calo delle vaccinazioni nei bambini, perchè il beneficio atteso è inequivocabilmente a favore della vaccinazione. A dimostrazione di quanto sia influente l’aspetto emotivo sulle decisioni riguardanti la salute, basta ricordare l'effetto che ebbero nel 2014 le notizie sui presunti decessi attribuiti al vaccino influenzale Fluad, con un calo del 30% circa delle adesioni alla campagna vaccinale. E in quel caso si trattava della salute del diretto interessato e non di decidere per un minore come il proprio figlio, con tutti i risvolti psicologici di tale decisione in termini di responsabilità genitoriale e di rammarico per eventuali conseguenze negative della vaccinazione, seppur rare.
Tra gli addetti ai lavori ci si interroga sulle motivazioni che spesso spingono i genitori a rifiutare di vaccinare i propri piccoli, e sulle dinamiche psicologiche alla base di tale decisione, nonostante siano noti i dati sul rischio di gravi complicanze da morbillo, come la temibile encefalite. Alla base di questa scelta vi è, a mio parere, un'asimmetria temporale del giudizio probabilistico e una distorta percezione degli effetti avversi della vaccinazione, evento “artificiale” attuale, rispetto al fatto "naturale" della futura ipotetica malattia. Dal punto di vista della teoria della scelta razionale, il decisore dovrebbe scegliere di sottoporsi o meno ad una pratica medica seguendo un processo decisionale scandito dalle seguenti tappe:
  • considerare i potenziali corsi d'azione da intraprendere;
  • per ognuno valutare le conseguenze, positive o negative, vantaggi e svantaggi;
  • per ogni esito calcolare la probabilità del suo verificarsi;
  • infine comparare le stime e scegliere l’azione che garantisce la massima resa (la massimizzazione dell’utilità attesa) sia oggettiva che soggettiva.
Nella prospettiva della scelta razionale la decisione si configura come un bivio attuale, come un'opzione alternativa al tempo presente, come un bilancio tra rischi e benefici con esiti immediati o a breve termine. Gli esempi in campo medico riguardano ad esempio la scelta tra una terapia medica ed una chirurgica, oppure tra due tecniche chirurgiche con diversi rapporti tra benefici e rischi, oppure ancora tra una terapia radiante ed una chirurgica, come nel caso della terapia del Ca prostatico. 

Nel caso della vaccinazione invece si deve confrontare, in termini matematico-statistici, un beneficio a lungo termine (prevenzione della malattia e delle eventuali gravi complicanze) con un rischio attuale (effetti collaterali e complicanze del vaccino). In pratica la decisione finale emerge dal raffronto tra i due ipotetici rischi, collocati su piani temporali sfasati, grazie ad un freddo ragionamento probabilistico, astratto e un po' astruso; purtroppo il computo razionale dei rischi non è proprio accessibile a tutti, ma anzi è a rischio (mi si passi il gioco di parole) di generare incertezze e dubbi. Per di più sul piatto della bilancia decisionale ha un peso determinante il beneficio sociale sovraindividuale (l'immunità di gregge) rispetto alle considerazioni utilitaristiche individuali. Tant'è che proprio le motivazioni di "salute pubblica" hanno giustificato l'introduzione dell'obbligo di legge, di chiara matrice paternalistica, a scapito del libero consenso individuale all'atto medico vaccinale precedentemente vigente. 
Aderendo alla proposta di vaccinazione il genitore espone deliberatamente e consapevolmente il proprio figlio ad un concreto rischio qui ed ora, sebbene molto piccolo; al contrario rifiutando la vaccinazione proietta lo speculare probabilità di contrarre la malattia, con l'eventuale complicanza, in un futuro indefinito ed aleatorio, com'è appunto il rischio di contagio in tempo imprecisato. Di contro la probabilità di gravi complicanze della malattia è più elevata degli effetti avversi da vaccino, senza tenere conto della "bufala" dell’autismo; nei confronti delle prime però i genitori non avvertono alcun tipo di responsabilità diretta, che invece peserebbe in caso di effetto collaterale del vaccino deliberatamente accettato, generando un rimpianto per aver esposto ad un rischio il proprio "cucciolo". 
In effetti nella scelta tra effetti preventivi della vaccinazione e rischi della malattia ha un ruolo preminente il fattore tempo che, come abbiamo visto sopra, non rientra nelle normali scelte tra due trattamenti medici di immediata attuazione. Lo scarto temporale tra vaccinazione immediata ed eventuale contagio futuro della malattia, con le ipotetiche conseguenze negative, influenza la valutazione dei rischi/benefici  e la scelta pro immunizzazione.  

E' in gioco un bias di valutazione probabilistica condizionato dall'asimmetria temporale dei due differenti rischi: da un lato vi è l’ansia per la messa a repentaglio qui ed ora del benessere del “cucciolo”, per via dei temuti effetti collaterali del vaccino, e dall'altro il rischio di un'ipotetica malattia proiettata in un futuro imprecisato. Ma oltre allo sfasamento temporale tra rischio di effetti collaterali attuali da vaccino e protezione dalle complicanze future della malattia, entra in gioco l'asimmetria cognitiva tra rimpianto per una perdita e vantaggio di un guadagno (quella che gli economisti comportamentali definiscono contabilità mentale). 

Come dimostra la teoria del prospetto il rimpianto per una perdita (ad esempio di denaro per un investimento) ha una valore doppio rispetto alla soddisfazione procurata da una simmetrica "vincita" finanziaria. Questa tendenza viene amplificata dal fattore fattore tempo che tende a svalutare i vantaggi e i benefici collocati in un orizzonte temporale indefinito rispetto a quelli immediati (scelta intertemporale).  Si può facilmente immaginare quanto conti questa asimmetria quando si tratta di decidere se aderire o meno ad una pratica sanitaria rischiosa, qui ed ora, a fronte di un beneficio "negativo" cronologicamente indeterminato!

Come suggerisce la psicologia evoluzionistica di fronte ad emozioni profonde e ancestrali, come la paura, c'è poco spazio per considerazioni e argomentazioni razionali, specie di natura probabilistica come il concetto di rischio, spesso fonte di equivoci e bias valutativi. Sulla bilancia decisionale a favore del rifiuto della vaccinazione pesa l'avversione per il rischio basata su due considerazioni concomitanti:
  • l'anticipazione del rammarico e del rimpianto per i paventati rischi di effetti avversi del vaccino (a parte naturalmente l'autismo mai dimostrato);
  • una sopravvalutazione quali-quantitativa degli effetti collaterali dei vaccini, in genere transitori e reversibili, ma erroneamente assimilati a quelli avversi più gravi e irreversibili, per fortuna rarissimi.
Per aderire con convinzione alla proposta di vaccinazione, ad esempio anti-morbillo, occorre superare l'asimmetria temporale, sopra descritta, che separa la vaccinazione dall'evento malattia, ma anche vincere lo "spettro" del rammarico per l'eventuale effetto avverso immediato del vaccino (l'avversione alle perdite). Se è vero che le mamme non sbagliano mai, parafrasando il titolo del libro del neuropsichiatra Bollea, in questo tipo di scelta le emozioni negative segnalano una differenza tra i due eventi non irrilevante: sui piatti della bilancia decisionale emotiva pesano, da un lato, un evento attuale e certo (la vaccinazione) che comporta un rischio attuale di effetti avversi - potenzialmente gravi, seppur rarissimi - mentre sull'altro piatto troviamo un evento futuro ed incerto (l’eventuale contagio della malattia) che a sua volta espone ad un rischio di complicazioni, ancor più aleatorie e improbabili rispetto al contagio stesso. Il confronto tra le due opzioni è influenzato dalla sinergia tra (i) l’asimmetria probabilistica temporale e (ii) il rammarico per il rischio di una perdita di salute; tale sinergia gioca psicologicamente a sfavore della decisione deliberata di accettare qui ed ora la vaccinazione, a fronte delle ipotetiche complicazioni di una ipotetica malattia lontana nel tempo.
Par superare la discrasia tra l’esposizione al rischio/rammarico per gli effetti avversi della vaccinazione e il futuro beneficio preventivo del vaccino, devono essere valutati gli effetti "ecologici" e sociali dell'immunizzazione, ovvero le cosiddette esternalità positive della vaccinazione di massa (l'immunità di gregge). Grazie alle campagne vaccinali su larga scala alcuni virus sono stati di fatto eradicati, come è accaduto con poliomielite, vaiolo etc.., mentre una bassa copertura vaccinale nella popolazione ne riattiva la diffusione, come invece pare stia avvenendo negli USA e in alcuni paesi europei. In questo senso l'immunizzazione di massa è equiparabile ad un bene comune, mentre nella decisione di non vaccinare prevalgono le motivazioni strettamente individuali ed "egoistiche". A mo’ di esempio contro-fattuale si immagini cosa sarebbe successo negli anni cinquanta se l'anti-polio non fosse stata obbligatoria!

Infine c’è un dato storico e culturale da non sottovalutare: quando le vaccinazioni erano per legge obbligatorie i genitori, specie le mamme, si sentivano deresponsabilizzati in partenza per eventuali effetti avversi, peraltro accettati e quasi fatalmente messi nel conto. La successiva volontarietà della vaccinazione ha enfatizzatola la percezione della responsabilità individuale per l’adesione alla campagna vaccinale e il conseguente rammarico in caso di problemi. A questo proposito si può quasi evocare il rischio di un effetto perverso e controintuitivo del principio di autonomia, del consenso informato e della responsabilizzazione individuale sulle decisioni riguardanti la propria salute.
In medicina hanno poco spazio i giudizi definitivi, irrevocabili e tanto meno una presunta certezza scientifica; contano solo le evidenze empiriche ed i dati di fatto, dai quali è doveroso partire per formulare valutazioni ponderate e razionali. Nessuno pretende di avere verità assolute e indiscutibili e tanto meno si illude e illude la gente che possa esistere il rischio 0, ad esempio di effetti collaterali a fronte di un'efficacia garantita a priori e senza alcun rischio. Forse coloro che contestano i vaccini sono invece convinti che esista una (presunta) scienza assoluta e deterministica, garante di esiti incontrovertibile priva di effetti collaterali, imprevisti e rischi minimi etc..
Tuttavia accanto ai dati di fatto empirici esistono le immagini/rappresentazioni della realtà, frutto di credenze culturali condivise ed influenzate dalle emozioni, ma spesso slegate dai fatti stessi; ad esempio, riguardo alle vaccinazioni, i dati di empirici le accreditano tra le pratiche mediche con il più solido bagaglio di prove di efficacia. Peraltro basta aver seguito un solo assistito affetto da esiti di poliomielite per rendersi conto della portata storica dei vaccini e dei loro spettacolari effetti sulla salute pubblica e sul benessere individuale, specie dei più piccoli. Infine si consideri l'importanza dell'immunizzazione di massa nei cosiddetti paesi in via di sviluppo: se solo in Africa si riuscisse a vaccinare tutta la popolazione infantile, contro le principali malattie infettive, si salverebbero tantissime vite umane!

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