mercoledì 15 agosto 2018

Vaccinazioni tra scelta razionale, rischi futuri e rimpianti anticipati

Le vaccinazioni sono sempre al centro dell'interesse e del dibattito pubblico, che si è riacceso dopo l'introduzione dell'obbligo vaccinale ai fini dell'iscrizione alla scuola primaria (legge Lorenzin) ed a seguito delle prese di posizione del Governo Conte rispetto a tale obbligo, che hanno rinfocolato l'opposizione dei no-vax alla Legge.
Se i genitori decidessero solo in modo distaccato, a mo' di freddi statistici bayesiani, non si porrebbe la questione del rifiuto dell'immunizzazione, perchè il beneficio atteso è inequivocabilmente a favore della vaccinazione. A dimostrazione di quanto sia influente l’aspetto emotivo sulle decisioni riguardanti la salute, basta ricordare l'effetto che ebbero nel 2014 le notizie sui presunti decessi attribuiti al vaccino influenzale Fluad, con un calo del 30% circa delle adesioni alla campagna vaccinale. E in quel caso si trattava della salute del diretto interessato e non di decidere per un minore come il proprio figlio, con tutti i risvolti psicologici di tale decisione in termini di responsabilità genitoriale e di rammarico per eventuali conseguenze negative della vaccinazione, seppur rare.
Tra gli addetti ai lavori ci si interroga sulle motivazioni che spesso spingono i genitori a rifiutare di vaccinare i propri piccoli, e sulle dinamiche psicologiche alla base di tale decisione, nonostante siano noti i dati sul rischio di gravi complicanze da morbillo, come la temibile encefalite. Si tratta solo di pulsioni "irrazionali" oppure, sotto sotto, si possono intravvedere anche nodi problematici di natura cognitiva razionalmente comprensibili (anche se non condivisibili)? 

Alla base di questa scelta vi è, a mio parere, un'asimmetria temporale del giudizio probabilistico, associata ad una rilevante componente emotiva di avversione al rischio e di bias dello status quo, che hanno alimentato un'errata percezione degli effetti avversi della vaccinazione mediata dall'anticipazione del rammarico. Le successive considerazioni sono un tentativo di chiarificare queste dinamiche cognitivo-comportamentali, senza alcuna simpatia o giustificazione per l'ideologia anti-scientifica del movimento no-vax ed anzi con la ferma convinzione personale dell'utilità delle vaccinazioni per i singoli e per la comunità.

Dal punto di vista della teoria della scelta razionale e della massimizzazione dell'utilità attesa dalle conseguenze, il decisore dovrebbe scegliere di sottoporsi o meno ad una pratica medica seguendo un processo decisionale scandito dalle seguenti tappe:
  • considerare i potenziali corsi d'azione da intraprendere;
  • per ognuno valutare le conseguenze, positive o negative, vantaggi e svantaggi;
  • per ogni esito calcolare la probabilità del suo verificarsi;
  • infine comparare le stime e scegliere l’azione che garantisce la massima resa (la massimizzazione dell’utilità attesa) sia oggettiva che soggettiva.
Nella prospettiva razionale la decisione si configura come un bivio attuale, come un'opzione alternativa al tempo presente, previo bilancio dei rischi/benefici degli esiti immediati o a breve termine della decisione. Gli esempi in campo medico riguardano ad esempio la scelta tra una terapia medica ed una chirurgica, oppure tra due tecniche chirurgiche con diversi rapporti tra benefici e rischi, oppure ancora tra una terapia radiante ed una chirurgica, come nel caso della terapia del Ca prostatico. 

Nel caso della vaccinazione invece si deve confrontare, in termini matematico-statistici, un beneficio a lungo termine (prevenzione della malattia e delle eventuali gravi complicanze) con un rischio presente (effetti collaterali e complicanze del vaccino). In pratica la decisione finale dovrebbe emerge dal raffronto tra i due ipotetici rischi grazie dopo un calcolo probabilistico, astratto e per molti un po' astruso; peraltro il confronto è asimmetrico poichè ad un rischio noto (il numero di effetti collaterali o avversi) si contrappone una duplice probabilità, quella di essere contagiati (ignota e aleatoria) e quella di subire una grave complicanza della malattia (statisticamente nota); purtroppo il computo razionale dei rischi non è accessibile a tutti, ma anzi è a rischio (mi si passi il gioco di parole) di generare incertezze e dubbi condizionati da componenti emotive ben note. 

Per di più sul piatto della bilancia decisionale ha un peso determinante il beneficio sociale sovraindividuale (l'immunità di gregge) rispetto alle considerazioni individuali (l'utilità attesa). Tant'è che proprio le motivazioni di "salute pubblica" hanno giustificato l'introduzione dell'obbligo di legge, di matrice paternalistica, a scapito del principio del consenso informato individuale all'immunizzazione, precedentemente vigente. 
Aderendo alla proposta di vaccinazione il genitore espone consapevolmente il proprio figlio ad un rischio qui ed ora, sebbene molto piccolo; al contrario rifiutando la vaccinazione mantiene lo status quo e proietta la speculare probabilità di contrarre la malattia, con l'eventuale complicanza, in un futuro indefinito ed aleatorio. Di contro la probabilità di gravi complicanze della malattia è più elevata degli effetti avversi da vaccino; nei confronti delle prime però i genitori non avvertono alcun tipo di responsabilità diretta, che invece peserebbe in caso di effetto collaterale da vaccinazione, generando un rimpianto per aver esposto deliberatamente ad un rischio il proprio "cucciolo". 
Nella scelta tra effetti della vaccinazione e rischi della malattia ha un ruolo preminente il fattore tempo che, come abbiamo visto sopra, non rientra nelle normali scelte tra due trattamenti medici di immediata attuazione. Lo scarto temporale tra vaccinazione immediata ed eventuale contagio futuro, con le ipotetiche conseguenze negative, condiziona la valutazione dei rischi/benefici e la scelta pro immunizzazione.  

E' in gioco un bias di valutazione probabilistica condizionato dall'asimmetria temporale dei due differenti rischi: da un lato vi è l’ansia per la messa a repentaglio qui ed ora del benessere del “cucciolo”, per via dei temuti effetti collaterali del vaccino, e dall'altro il rischio di un'ipotetico contagio proiettato in un futuro imprecisato. Ma oltre allo sfasamento temporale tra rischio di effetti collaterali da vaccino e protezione dalle complicanze, entra in gioco l'asimmetria tra rammarico anticipatorio per una perdita di salute e soddisfazione per un guadagno (quella che gli economisti comportamentali definiscono contabilità mentale). 

Come dimostra la teoria del prospetto il rimpianto per una perdita (ad esempio di denaro per un investimento sbagliato) ha una valore doppio rispetto alla soddisfazione procurata da una simmetrica "vincita" finanziaria: da questo squilibrio "emotivo" nasce la cosiddetta avversione per il rischio che si associa spesso al bias dello status quo. Questa tendenza viene amplificata dal fattore fattore tempo, che tende a svalutare vantaggi e benefici collocati in un orizzonte temporale indefinito rispetto al godimento immediato (la cosiddetta scelta intertemporale degli economisti).  Si può facilmente immaginare quanto conti questa asimmetria quando si tratta di decidere se aderire o meno ad una pratica sanitaria rischiosa che coinvolge un figlio, qui ed ora, a fronte di un beneficio in "negativo" (l'evitamento della malattia) cronologicamente imprecisato.

Come suggerisce la psicologia evoluzionistica di fronte ad emozioni profonde, come la paura, c'è poco spazio per considerazioni e argomentazioni razionali, specie di natura probabilistica come il concetto di rischio, spesso fonte di equivoci e bias valutativi. Sulla bilancia decisionale a favore del rifiuto della vaccinazione pesa l'avversione per il rischio basata su due considerazioni sinergiche:
  • una sopravvalutazione quali-quantitativa degli effetti collaterali della vaccinazione - framing decisionale su cui fanno leva strategicamente i no-vax per indurre un bias di negatività - in genere transitori e reversibili ma assimilati a quelli avversi più gravi e irreversibili, per fortuna rarissimi (a parte naturalmente la bufala dell'autismo mai dimostrato);
  • l'anticipazione del rammarico per una scelta che espone deliberatamente il proprio figlio a questi rischi.
Per aderire con convinzione alla vaccinazione, ad esempio anti-morbillo, occorre superare l'asimmetria temporale, vincere lo "spettro" del rammarico e la tendenza allo status quo indotta dall'avversione per la perdita. Se è vero che le mamme non sbagliano mai, parafrasando il titolo del libro del neuropsichiatra Bollea, in questo tipo di scelta l'emozione negativa del rammarico anticipato segnala una differenza tra i due eventi non irrilevante: sui piatti della bilancia decisionale emotiva pesano, da un lato, un evento certo (la vaccinazione) che comporta un rischio di effetti avversi - potenzialmente gravi, seppur rarissimi - mentre sull'altro piatto troviamo un evento futuro ed incerto (l’eventuale contagio della malattia) che a sua volta espone ad un rischio di complicazioni, ma meno probabili rispetto al contagio. 

Il confronto tra le due opzioni è influenzato dalla sinergia tra (i) l’asimmetria probabilistica temporale e (ii) l'avversione al rischio e il rammarico anticipato per l'eventuale "perdita" di salute; tale sinergia gioca psicologicamente a sfavore della decisione deliberata di accettare qui ed ora la vaccinazione, a fronte delle ipotetiche complicazioni di una ipotetica malattia. Insomma l'avversione per il rischio/rimpianto attuale è emotivamente superiore al vantaggio della protezione dal rischio di malattia futura.
Par superare tale asimmetria cognitiva, spiegata "razionalmente" dall'economia comportamentale, devono essere enfatizzati gli effetti "ecologici" e sociali dell'immunizzazione, ovvero le cosiddette esternalità positive della vaccinazione di massa (l'immunità di gregge). Grazie alle campagne vaccinali su larga scala alcuni virus sono stati di fatto eradicati, come è accaduto con poliomielite, vaiolo etc.., mentre una bassa copertura vaccinale nella popolazione ne riattiva la diffusione, come invece pare stia avvenendo negli USA e in alcuni paesi europei. In questo senso l'immunizzazione di massa è equiparabile ad un bene comune, mentre nella decisione di non vaccinare prevalgono le motivazioni strettamente individuali ed "egoistiche". A mo’ di esempio contro-fattuale si immagini cosa sarebbe successo negli anni cinquanta se l'anti-polio non fosse stata obbligatoria!

Infine c’è un dato storico e culturale da non sottovalutare: quando le vaccinazioni erano per legge obbligatorie i genitori, specie le mamme, si sentivano deresponsabilizzati in partenza per eventuali effetti avversi, peraltro accettati e quasi fatalmente messi nel conto. La successiva volontarietà della vaccinazione ha enfatizzatola la percezione della responsabilità individuale per l’adesione alla campagna vaccinale e il conseguente rammarico in caso di problemi. A questo proposito si può quasi evocare il rischio di un effetto controintuitivo del principio di autonomia, del consenso informato e della responsabilizzazione individuale sulle decisioni riguardanti la propria salute. D'altra parte la svolta obbligatoria contraddice una tendenza ultradecennale ad enfatizzare la necessità etica del libero consenso informato dell'interessato per compensare quell'asimmetria informativa su cui si basava il paternalismo medico, nelle due versioni benevola o "autoritaria" e autoreferenziale.
In medicina hanno poco spazio i giudizi definitivi, irrevocabili e tanto meno una presunta certezza scientifica; contano solo le evidenze empiriche ed i dati di fatto, dai quali è doveroso partire per formulare valutazioni ponderate e razionali. Nessuno pretende di avere verità assolute e indiscutibili e tanto meno si illude e illude la gente che possa esistere il rischio 0, ad esempio di effetti collaterali a fronte di un'efficacia garantita a priori e senza alcun rischio. Forse coloro che contestano i vaccini sono invece convinti che esista una (presunta) scienza assoluta e deterministica, garante di esiti incontrovertibile priva di effetti collaterali, imprevisti e rischi minimi etc..

APPENDICE. Teoria delle decisioni, biases e probabilità.

La psicologia cognitiva e l'economia comportamentale sono discipline affini che da qualche decennio si pongono problemi di scelte pratiche simili a quella che devono affrontare i genitori dei cuccioli quando devono decidere se aderire o meno ad una campagna di vaccinazioni. Anzi il caso della vaccinazione è un esempio pratico della discasia messa in evidenza dall'economia comportamentale tra:
  • l' approccio normativo-prescrittivo, fondato sulla teoria della scelta razionale e dell'utilità attesa del cosiddetto homo oeconomicus, sopra schematizzata, in base alla quale per portare a termine una decisione corretta basta conformarsi alle regole e agli assiomi del calcolo delle probabilità che orientano le preferenze del decisore verso l'opzione che massimizza il guadagno o la soddisfazione
  • ed approccio descrittivo "naturale", che si limita ad osservare senza giudicare come la gente normale, in carne, ossa ed emozioni, prende decisioni pratiche, che spesso violano o non si conformano ai prinicipi aulici della scelta razionale, soprattutto per via di una "razionalità limitata" e di alcune anomalie del giudizio probabilistico di cui soffrono molti umani (a questo filone teorico è riconducibile il progetto di ricerca "euristiche e bias", che ha fruttato il premio Nobel per l'economia ad Herbert Simon, Daniel Kahneman e Richard Thaler nel 2017). 
Si tratta di un confronto teorico e pratico che impegna schiere di ricercatori in psicologia ed economia da decenni, nel tentativo di trovare una via d'uscita a questa contraddizione, magari per comprendere l'influenza delle emozioni e fare si che la gente decida in modo più meditato ed appropriato. Come, ad esempio, quando i genitori sono restii a vaccinare i propri figli perchè influenzati da alcuni biases
  • avversione alla perdita propensione per lo status quo
  • bias di negatività
  • asimmetria della valutazione intertemporale o bias del presente
  • affetto frming
  • anticipazione del rammarico
Nel caso della vaccinazione emerge però un nodo problematico che deriva da una RIGOROSA e RAZIONALE applicazione delle regole della scelta razionale; per una corretta valutazione probabilistica dell'utilità della vaccinazione, in rapporto ai vantaggi del non vaccinare, non è sufficiente il raffronto tra la probabilità delle  gravi complcanze del morbillo versus quella degli effetti avversi della vaccinazione altrettanto gravi.

In pratica bisogna considerare anche la probabilità di contrarre il morbillo p(A), che è la condizione non indipendente poter calcolare correttamente anche la probabilità di subire una complicanza p(B); il dato corretto si ottiene moltiplicando le due probabilità: p(A) x p(B).

Se poniamo che vi sia un'immunità di gregge elevata la p(A) sarà piuttosto bassa e quindi il prodotto delle due probabilità porterà ad un rischio ancor più basso di complicanze, nell'ordine o inferiore a quello degli effetti avversi da vaccino p(C) [ammesso che si possa determinare in modo certo la p(A), a partire dall'incidenza annuale del morbillo in una certa nazione o regione].

Se tutti i genitori dovessero fare una scelta secondo questo modello (ponendo che i genitori bayesiani siano una netta minoranza) l'adesione alla vaccinazione oscillerebbe tra questi due estremi probabilistici:
  • in presenza di bassa immunità di gregge converrà fare la vaccinazione, in quanto p(C)< p(A) x p(B), mentre 
  • in caso di alta immunità di gregge sarà conveniente il rifiuto della vaccinazione, in quanto p(C)> p(A) x p(B)
Voglio dire che se si fa leva su argomentazioni razional-probabilistiche per supportare una decisione bisogna utilizzarle in modo rigoroso ed oggettivo, considerando tutte le variabili in gioco e le loro relazioni.

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