domenica 11 agosto 2019

Test per la diagnosi precoce di Alzheimer: dal rischio di malattia alla malattia del rischio?

La notizia è di quelle eclatanti come titola a tutta pagina la Repubblica del 3 agosto 2019: "L'Alzheimer e il test del sangue che lo scopre vent'anni prima". Segue un articolo di Gina Kolata, niente meno che il guru dell'informazione medico-scientifica targata New York Times, che esalta la nuova scoperta. Il nuovo test parte dal presupposto che una bassa concentrazione nel sangue di beta-amiloide può essere correlata con i depositi della stessa sostanza a livello cerebrale. La correlazione è stata provata ma il salto di qualità è dovuto al fatto che il test era già positivo molti anni prima che le placche di amiloide fossero documentate con l'esame tomografico cerebrale. Da qui il vantaggio anticipatorio, addirittura ventennale, nella diagnosi di demenza. 

Ad onore del vero la giornalista ammette che non esiste alcuna cura per l'Alzheimer, che le diagnosi precoci possono essere problematiche, perchè non è detto che il morbo progredisca, e che non tutte le persone che accumulano amiloide nel cervello vanno incontro a deficit cognitivi. Ciononostante l'articolo si conclude con un eloquente commento dell'esperto consultato sugli sviluppi pratici della ricerca: "è fantastico". 

Il neurochirurgo Arnaldo Benini interviene dopo pochi giorni sullo stesso quotidiano per dimostrare che l'informazione d'oltre oceano non è sempre "oro colato" con un titolo altrettanto tranchant: Alzheimer test per scoprirlo prima. I neurologi: "Crea solo angoscia". Benini, autore del recente "La mente fragile - l'enigma dell'Alzheimer" edito da Cortina, sottolinea gli stessi concetti accennati dalla Kolata. Dopo aver rimarcato che le amiloidi non sono la causa della demenza per cui non esiste alcun esame in grado di dire se una persona è destinata ad ammalarsi, magari anche dieci o venti anni dopo il test, paventa i risvolti psicologi ed etici della faccenda: "dire ad una persona che nel suo cervello ci sono amiloidi e quindi potrebbe sviluppare una malattia è solo un modo per creare angoscia inutilmente: perchè mettere la paura di un grave problema, che forse non si presenterà mai, anche dal punto di vista dell'etica medica?".

L'annuncio della possibilità di diagnosticare l'Alzheimer addirittura venti anni prima delle sue manifestazioni cliniche è solo l'ultimo dei tentativi di prevedere una malattia così destabilizzante: in passato sono stati proposti altri test analoghi per valutare il rischio di sviluppare la demenza. Di fatto buona parte delle decisioni mediche vengono prese per “curare” rischi, per ridurre le probabilità di eventi futuri, ad esempio cardiovascolari, abbassando glicemia, pressione arteriosa, colesterolemia etc.. o modificando abitudini di vita scorrette. Le "cure" dei fattori di rischio, tanto pervasivi quanto impercettibili, hanno spezzato il legame tra soggettività e oggettività, tra percezione corporea e patologia, generando insicurezza e diffidenza verso un apparente stato di benessere che convive in modo tacito con il rischio della malattia.

Il venire meno dei sintomi come spia di una patologia, a favore del fattore di rischio "killer silenzioso", genera incertezza esistenziale venata di sospettosità verso il proprio stato di benessere, apparentemente sano e "normale". Il controllo dei fattori di rischio ha contribuito alla medicalizzazione della vita, ha indotto bisogni inappropriati, patofobia ed attese di efficacia irrealistiche. Tant'è che il diffuso timore della malattia, sotteso ai fattori di rischio, ha fatto emergere un nuova entità clinica psichiatrica, quel Disturbo d'ansia di malattia ammesso ufficialmente nell'ultima versione del DSM

La condizione di rischio diventa quindi esperienza pervasiva e costante, in quanto non correlata ad un sintomo specifico, e si trasforma in vissuto quotidiano, in uno sfondo di incertezza e insicurezza ansiogena. Il caso dell'Alzheimer è in questo senso emblematico: anche ammesso che il nuovo test sia davvero predittivo della futura malattia manca sia la cura del (presunto) fattore di rischio specifico sia una terapia efficace nel caso che la malattia effettivamente si manifesti. Due elementi essenziali che giustificano, ad esempio, il controllo farmacologico dei fattori di rischio cardiovascolari peraltro comuni anche alla demenza (statine, antiipetensivi, antidiabetici etc..) e naturalmente le terapie in caso di eventi acuti (PTCA, by-pass coronarici etc..). 

La pervasività sociale e psicologica della cultura del rischio, specie in medicina, ha un paradossale effetto: la cura del rischio di malattia sta evolvendo impercettibilmente verso la malattia del rischio, in senso psicopatologico ed esistenziale. Insomma, non è difficile prevedere che la prossima versione del DSM possa comprendere, accanto al Disturbo da ansia di malattia, un ancor più subdolo disturbo d'ansia da rischio di malattia, come nel caso della presunta diagnosi "anticipata" di Alzheimer fonte di inutili angosce. L'anticipazione di questa nuova diagnosi non ha bisogno di nuovi sofisticati test biologici.

Nessun commento:

Posta un commento