martedì 25 febbraio 2020

Diagnosi di Covid19: analisi cognitiva del Caso 1 di Codogno

Com’era prevedibile è scoppiata la polemica tra autorità centrali e regionali: il presidente del Consiglio ha accusato i medici dell’ospedale di Codogno di non aver applicato i protocolli diagnostici codificati e di essere quindi all’origine del focolaio epidemico del basso lodigiano. Proviamo ad analizzare gli eventi e i probabili processi cognitivi che hanno contribuito allo sviluppo della vicenda.  

Gli eventi sono noti: nei giorni precedenti il ricovero ospedaliero il caso 1, trentottenne di Codogno ricoverato poi a Pavia in rianimazione, si è recato due volte in PS con sintomi prima sfumati e poi più evidenti, è stato visitato dal proprio medico di famiglia, anche lui contagiato ed ora in ospedale, prima che alla moglie venisse il sospetto di una virosi da Covid19, per via della cena della settimana precedente in compagnia del manager da poco ritornato dalla Cina. Dopo 36 ore di ricovero in medicina è stato eseguito il tampone che ha consentito di porre la diagnosi eziologica. Cosa ha contribuito a determinare l'ipotetico ritardo diagnostico, ovvero il mancato sospetto in PS e l'esecuzione del tampone dopo 36 ore di degenza? Era inevitabile o forse il corso degli eventi poteva imboccare un'altra strada? Il protocollo di triage, in sè e per sè, è in grado di intercettare il Covid19 a prescindere dalla clinica?

A quanto pare, stando alle cronache, le domande previste dal protocollo di triage dei casi sospetti sono state poste correttamente al caso 1 durante gli accessi in PS, ma il paziente al momento non si è sovvenuto della cena con il manager, che invece la moglie ha poi ricordato. Ecco una schematica ricostruzione psicologica degli eventi, che fa riferimento al filone della psicologia cognitiva denominato euristiche e bias.

Nei giorni che hanno proceduto il ricovero, ha giocato un ruolo preponderante l’euristica della disponibilità, vale a dire la tendenza ad ipotizzare in modo automatico la natura influenzale dei disturbi, a causa della facile rievocazione mnemonica di casi analoghi durante l'epidemia in corso (proprio in quella settimana si è avuto il picco dell'epidemia 2020). E' probabile che il Covi19 si sia mimetizzato nell'epidemia influenzale fin dalla metà di gennaio.

La disponibilità mnemonica dell’ipotesi influenzale è stata convalidata dalla cornice epidemiologica dell’epidemia in atto (framing effect); se gli stessi sintomi fossero stati osservati in un diverso periodo dell'anno, ad esempio nella tarda primavera, sarebbero state avanzate altre ipotesi diagnostiche ed eziologiche. Di fronte ai sintomi aspecifici di quella che sembrava una classica forma influenzale non è emerso il dubbio di trovarsi di fronte a una diversa eziologia virale. Seppure con il senno di poi si può ipotizzare che nella gestione dell'accesso in PS e nelle nelle prime fatidiche 36 ore di degenza abbiano giocato altre due eristiche/bias: la cosiddetta chiusura anticipata del caso dopo una ricerca soddisfatta a livello diagnostico. Peraltro le linee guida ministeriali del 22 gennaio sull'esecuzione del tampone individuavano come caso sospetto da accertare «una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato». La latenza di 36 ore nell'esecuzione del tampone può aver condizionato negativamente, più che il decorso clinico del caso 1, l'implementazione delle misure igienico-profilattiche nel nosocomio di Codogno, a partire dalla sua chiusura ai cittadini, per contenere la diffusione del Covid 19.. 

In base alle dichiarazioni del presidente lombardo Fontana, il caso 1 aveva superato negativamente il triage anamnestico ministeriale in PS previsto per i casi di febbre sospetti per Covid19. Il triage in questione, composto di alcune domande chiave (si veda al PS il triage utilizzato in MG), ha l’obiettivo di contrastare l’automatismo mnemonico dell’euristica della disponibilità, facendo leva su alcune informazioni dirimenti e su un'euristica alternativa, ovvero quella della rappresentatività. Infatti il paziente che avesse risposto positivamente ad una delle domande "specifiche" del triage sarebbe stato subito sospettato di essere un esemplare “rappresentativo” della categoria dei portatori del virus Covid19. L’euristica della rappresentatività o del prototipo è scattata grazie alla testimonianza della moglie, come una sorta di “eureka”, quando successivamente ha correlato i sintomi del marito al contatto con il manager tornato dalla Cina (in seguito indenne dal Covid19). La rappresentatività della combinazione tra sintomi all'esordio + provenienza geografica dalla Cina o contatto stretto con un caso già diagnosticato doveva sopperire al bias di disponibilità intercettando il caso sospetto.

Peraltro il manager, subito categorizzato come caso 0 all’origine del focolaio epidemico dell’ospedale di Codogno, è stato successivamente "scagionato" poiché risultato negativo sia al tampone faringeo sia, soprattutto, alla ricerca degli anticorpi specifici. Il che dimostra che in teoria anche il protocollo di triage non da garanzie assolute di efficacia, perché a rischio di almeno due potenziali falsi negativi: prima di tutto la falla della memoria dell’interessato e poi il falso negativo dovuto al fatto che il paziente 1 potrebbe essere venuto in contatto con un portatore sano del virus, che non rientra nei criteri anamnestici del triage, in quanto l'informazione sul portatore sano è l'esito di un test eziologico specifico (il tampone faringeo).

La situazione è complessa dal punto di vista cognitivo ed è inutile cercare il colpevole nell'ospedale o nel mancato rispetto del protocollo, che a quanto pare invece è stato applicato correttamente. Come accade in situazioni difficili si è verificato un concorso di cause e di biases di non agevole percezione e "disattivazione". Ora ci si deve concentrare sulle soluzioni e riflettere sulle euristiche e sui biases che possono avere provocato la "svista" diagnostica, per imparare dai quasi-errori proposti dalla dolorosa vicenda (sperando naturalmente che il caso 1 guarisca presto).

Questo discorso vale se si adotta un metodo razionale e fallibilista per valutare gli eventi: se invece le motivazioni sono politico-giudiziarie, per incolpare qualcuno, per fare propaganda politica a buon mercato, per trovare il capro espiatorio o una condanna penale il contesto e gli obiettivi della discussione cambiano e si entra in una sfera che nulla ha a che fare con un approccio "scientifico" e culturale.

P.S. VALUTAZIONE EPIDEMIOLOGICA DI PAZIENTE SINTOMATICO PER AFFEZIONI VIE RESPIRATORIE
  • SOGGIORNO IN PAESE/LOCALITÀ A RISCHIO: r SI, r NO, r NON NOTO - SE SI, SPECIFICARE PAESE _________________________
  • DATA DI PARTENZA DALLA ZONA A RISCHIO____/____/_____
  • ESPOSIZIONE A CASI ACCERTATI (vivi o deceduti): r SI, r NO
  • ESPOSIZIONE A CASI SOSPETTI O AD ALTO RISCHIO (CASI PROBABILI): r SI, r NO
  • CONTATTI CON PERSONE RIENTRATE DA PAESE/LOCALITA’ A RISCHIO: r SI, r NO
  • CONTATTI CON FAMILIARI DI CASI SOSPETTI: r SI, r NO
Valutazione e interpretazione finale del caso: 
  • SE RISPOSTO SI AD UNO DEI PRECEDENTI, CONTATTARE 118
  • SE NO PROCEDERE A VALUTAZIONE CLINICA

Nessun commento:

Posta un commento