venerdì 15 marzo 2024

Il tramonto della dominanza medica segna un passaggio d'epoca

Gli ultimi interventi ospitati dal QS hanno risollevato la questione medica, affrontata a suo tempo dalla Federazione Nazionale degli Ordini negli stati generali della professione e poi, a detta del professor Cavicchi, lasciata colpevolmente decadere. L'occasione per riproporre il dibattito è venuta dall'insediamento della commissione d'Ippolito che dovrebbe elaborate una proposta di legge per rivedere le norme sulla responsabilità professionale dei medici, al fine di arginare il contenzioso giuridico per supposta malapratica che è l'incubo per molti professionisti e una spinta verso comportamenti difensivi.

A mio parere l’attuale profondo malessere vissuto dai medici, specie sul territorio, è correlato al “declino del professionalismo e della dominanza medicata”, argomenti a cui ho dedicato il saggio da poco disponibile su Amazon, di cui propongo alcuni spunti di discussione. La vicenda storica della medicina può essere letta con la categoria interpretativa del professionalismo, che rivendita i tratti della professione liberale, vale a dire autonomia gestionale, organizzativa e discrezionalità clinica correlata alla complessità, unicità e varietà della casistica e alle componenti tacite ed “artistiche” del lavoro.

Secondo alcuni autori su queste basi la categoria avrebbe siglato una sorta di patto, più o meno implicito, con la società finalizzato a scambiare garanzie di qualità e di dedizione etico-deontologica con l’egemonia culturale, l’autodeterminazione ed alcuni privilegi materiali e di status sociale.  La prevalenza del professionalismo si è concretizzata nella cosiddetta dominanza medica, ovvero nel controllo 

  • sul proprio lavoro: autodeterminazione dei contenuti, dell’organizzazione del lavoro ed autonomia professionale;
  • sul mercato: controllo del sistema formativo, della definizione dei concetti di salute e malattia;
  •   sulle occupazioni para-mediche: posizione dominante nei rapporti inter-occupazionali con le altre professioni sanitarie; 
  • sui praticanti: controllo sulla formazione e socializzazione professionale;
  • influenza sulle politiche pubbliche: capacità di stabilire alcuni contenuti della legislazione sanitaria e delle policy a proprio vantaggio.

 La dominanza ha toccato l’apogeo nella seconda metà del secolo scorso per poi declinare progressivamente a partire dagli anni Ottanta, con l’emergere della crisi finanziaria e di governabilità dello stato sociale, che ha rinegoziato la delega affidata alla professione per riprendersi una parte del “potere”, in quanto terzo “giocatore” pagante.

Negli ultimi decenni del secolo scorso la storica dominanza avrebbe subito una progressiva erosione da parte dei contro-poteri che ne controbilanciato autonomia e influenza, ovvero da un lato il mercato, rappresentato dalle major del settore medicale e dalle grandi organizzazioni sanitarie private o convenzionate, e dall’altro l’apparato burocratico del welfare state europeo. Nelle società post-industriali questi contro-poteri avrebbero decretato il ridimensionamento del professionalismo, come forma di controllo occupazionale e collegiale sulle altre professioni, sui clienti e sul mercato: insomma lo stato, in quanto regolatore degli equilibri di potere ed influenza sulla società, avrebbe revocato il mandato in bianco concesso alla "corporazione" nella prima metà del secolo per riprendersi una parte del controllo ceduto alla dominanza professionale.

Le riforme varate a cadenza decennale dalla fine del secolo scorso avrebbero accelerato il declino della dominanza, con una progressiva erosione dell’autonomia gestionale e della discrezionalità clinica, avvertita in particolare sul territorio, dove ricadono le spinte divergenti dell’aziendalizzazione e del mercato; nel senso dello scarto tra attese alimentate dal marketing ed outcome sistemici standardizzati e selettivi, fino all’attuale divaricazione tra quanto offre il “capitalismo del desiderio” e del benessere, attraverso la medicalizzazione della vita, e quanto passa il "convento" in nome della tutela universalistica della salute. 

Il tumultuoso sviluppo tecno-scientifico e dell'apparato industriale medicale ha allargato la forbice tra prestazioni e consumi offerti dal mercato e copertura del SSN. Il rapporto fiduciario tra assistito e generalista, prima linea del SSN ed interfaccia tra la società e il sistema formale di cura, ne ha risentito per l’impatto delle richieste incalzanti degli utenti "esigenti" e di quelle indotte dal comparto libero professionale, spesso inappropriate rispetto ai vincoli normativi ed economici imposti al generalista dal SSN.

Il cambiamento negli equilibri sistemici tra professionalismo, logiche di mercato e regolazione statale ha indotto una nuova stratificazione in tre categorie: al vertice troviamo accademici e funzionari apicali estensori di linee guida e documenti di consenso, al gradino intermedio i medici-manager di nomina politica alla guida delle organizzazioni pubbliche, che avrebbero conservato una parte della dominanza perduta dalla base dei “pratici”, incaricati di applicare le direttive nazionali e regionali sotto il controllo del middle management aziendale. Peraltro una parte dei practitioners ha accettato la sfida dell'aziendalizzazione applicando alcuni strumenti manageriali all'attività clinica con un'inedita ibridazione delle due logiche, nel segno della valutazione continua della qualità (audit, clinical governance, apprendimento organizzativo, bench-learning etc.).

A partire dagli anni ottanta le varie riforme hanno favorito la segmentazione della professione in tre dimensioni che si intrecciano tra loro

  •      professionale: accademici, medici manager e pratici;
  •         stato giuridico: dipendenti, convenzionati e libero-professionisti;
  •         funzionale: medici specialisti, sub-specialisti e generalisti.

La faglia di confine che passa trasversalmente e divide culturalmente le sub-professioni è quella tra clinici pratici e non clinici, nel senso delle occupazioni che non entrano in contatto con la gente.  Ma anche i clinici posti alla base della piramide gerarchica non afferiscono ad un unico profilo. Tra i “pratici” si possono distinguere due sotto-categorie: da un lato gli specialisti dipendenti o convenzionati, con sbocchi libero-professionali, e dall’altro generalisti e specialisti con professionalità poco spendibili sul mercato (dai medici dell’Assistenza Primarie a quelli dell’Emergenza Sanitaria) in quanto inseriti organicamente nell’organizzazione pubblica. La stratificazione professionale mette in dubbio l’esistenza di  una “questione medica” trasversale a prescindere dalle differenze di status, interessi, pratiche etc...

     Secondo la sociologia delle professioni l’esito della lenta erosione della dominanza ad opera dei due contro-poteri, si concretizza in

  • deprofessionalizzazione, per la burocratizzazione della medicina amministrata, con compiti ripetitivi e routinari da “catena di montaggio” e
  • proletarizzazione, nel senso della prevalenza del rapporto salariale subordinato, funzionale alle logiche delle organizzazioni for profit e a quelle delle aziende pubbliche.

 E' curioso che per prevenire queste due derive le soluzioni proposte dalle due categorie interessate siano speculari: i dipendenti defezionano dall'ospedale sbarcando sul territorio nella speranza di recuperare un po' di autonomia dai vincoli della gerarchia, anche a prezzo della rinuncia alle tutele della PA, mentre una parte dei generalisti reclama la soluzione opposta, ovvero di rientrare nei ranghi della subordinazione per ottenere maggiori tutele. Tra chi invece accetta di restare nella sfera della parasubordinazione convenzionale si fa avanti la proposta di introdurre ticket per l'accesso allo studio nel tentativo di arginare le consultazioni futili, da "tanto è gratis", quasi a riproporre lo schema ormai archiviato della medico di MG libero professionista.

La tecnologia telematica ha ridotto l’autonomia a favore della standardizzazione delle prescrizioni, subordinate a procedure remote ex ante, autorizzazioni amministrative, controlli sulla spesa ex post etc. La proliferazione delle specializzazioni, delle professioni sanitarie sul mercato, l’empowerment del paziente e il protagonismo dell’“esigente”, consapevole e rivendicativo verso il professionista di front line, ha minato dal basso le radici territoriali della dominanza dei pratici, pregiudicandone la funzione di agenzia e di intermediazione. Da queste tensioni originano le aggressioni verbali, fisiche e quelle legali per supposta malapratica, il profondo malessere della categoria, l’ingovernabilità della relazione medico-paziente e la complessità della “questione medica”.

L’unitarietà della professione viene messa in discussione e, come ha osservato Tousijn, induce a ritenere che forse “convenga piuttosto trattare le varie specialità mediche, o almeno alcune di esse, come professioni separate, che hanno interessi diversi e agiscono come attori indipendenti”. Cosa accomuna il medico convenzionato parasubordinato a ciclo di scelta e il libero professionista “puro”, odontoiatra, dermatologo o chirurgo estetico privato? Quanto importa della questione medica ai dirigenti dei centri proliferati per intercettare la domanda inevasa, a causa dei tempi d’attesa nel pubblico? 

Il giro d'affari nel settore della specialistica privata è cresciuto parallelamente al deficit dell'offerta del SSN, a seguito del blocco biennale delle prestazioni specialistiche per arginare la pandemia, e serviranno anni per recuperare i ritardi accumulati. Ammesso che si trovino ancora specialisti disposti ad esercitare come convenzionati ambulatoriali: ad esempio all'ultimo bando pubblico dell'ASST Nord Milano di fine 2023 non si è presentato nemmeno un candidato per 7 posti di dermatologo, per 3 incarichi in ginecologia ed altrettanti in pneumologia.

Come può l’Ordine trovare una soddisfacente mediazione tra potere politico ed economico, portatori di interessi, status giuslavorativi e sociali, riferimenti culturali e pratici così difformi e non di rado dissonanti. La riforma sulla responsabilità professionale, che dovrebbe scaturire dai lavori della commissione d'Ippolito, è un possibile denominatore comune d'interessi tra le categorie per restituire a tutti un po' di serenità. Ma sarà anche in grado rimettere ordine ope legis nel groviglio di "micro" questioni mediche? Con quale cambio di passo culturale si potrà risolvere la "macro" questione medica?

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