mercoledì 10 agosto 2016

Mismatch cognitivo e quasi errore diagnostico

La teoria della decisione è dominata da due diverse impostazioni: i modelli istruttivi o normativi, che prescrivono al decisore il miglior modo per raggiungere l’obiettivo (la teoria della scelta razionale), e quelli descrittivi, che all’ opposto si limitano ad osservare e prendere atto dei processi decisionali messi in atto dai soggetti, in contesti sperimentali o naturali. Nel campo dell’errore medico prevalgono gli approcci normativi: i modelli bayesiani e il cosiddetto risck management (RM). Entrambi suggeriscono il modo migliore per decidere ma, ciononostante, la gente resta inesorabilmente affetta da fallibilità e quindi serve a poco indicare la retta via se poi ogni tanto nella vita reale si imbocca quella sbagliata.
Secondo il primo filone il decisore per conseguire il suo intento basta che applichi in modo rigoroso il teorema di Bayes, cioè la complicata formula elaborata del reverendo inglese per correggere le probabilità di un evento alla luce dell’acquisizione di nuove informazioni. Per decidere correttamente serve quindi un soggetto iper-razionale, freddo calcolatore in grado di computare tutte le informazioni in suo possesso, ma non è affatto facile trovare nella realtà fattuale un soggetto in grado di portare a termine in tempi utili e di routine calcoli così complicati, ammesso che disponga di capacità mentali sufficienti e i dati per applicare la fatidica formula.
Secondo il RM invece per evitare sbagli basta seguire procedure predefinite che sono una sorta di garanzia di “infallibilità”. Il RM si concentra sugli eventi avversi prevedibili, cioè quelli che possono essere evitati applicando in modo scrupoloso protocolli operativi, linee guida, check list, schemi d'azione etc.. garanti dell'efficacia/successo clinico. Da qui la definizione di errore, inteso come “fallimento nella pianificazione o esecuzione di una sequenza di azioni che determina il mancato raggiungimento, non casuale, dell’obbiettivo desiderato". Ma se in un certo settore mancano LLGG o ve ne sono più di una, tra loro dissonanti? Entrambi i modelli condividono la stessa impostazione istruttiva, il medesimo presupposto implicito in base al quale per evitare l’errore basta applicare regole, procedure, formule, linee guide etc., predefinite da ricercatori e “tecnici”, da implementare nella pratica clinica.
I decisori in carne ed ossa sono purtroppo affetti da una irrimediabile “razionalità limitata” individuale, formula coniata oltre mezzo secolo fa del premio Nobel per l'economia Herbert Simon per descrivere come in realtà vengono prese le decisioni nei contesti naturali: oggi si direbbe, in modo scherzoso, che le persone utilizzano le formule in modo spannometrico. Servirebbe invece una sorta di navigatore che avverta per tempo il decisore che, il più delle volte inconsapevolmente, ha scelto un tragitto sbagliato, onde evitare che dal quasi errore cada nell'errore. Perchè mentre si sta sbagliando non ci si accorge dell'errore, che richiede uno scarto temporale per emergere dall'inconscio cognitivo alla consapevolezza. 
La chiave di volta stà in un un aforisma del filosofo Cartesio che recita: l’errore consiste semplicemente nel fatto che non sembra tale. Se lo sbaglio sfugge alla percezione e alla consapevolezza, in quanto inapparente e subdolo, il primo obiettivo pratico è quello di percepire quanto prima l'errore stesso, il che non è agevole proprio per il suo carattere sfuggente e sub-liminale. Nel momento in cui si compie non ci si avvede dell’errore per una sorta di anosognosia cognitiva, simile a quella che colpisce alcuni soggetti affetti da un deficit neurologico motorio, che però disconoscono come tale, comportandosi come se nulla fosse e come se potessero contare sull’integrità del sistema motorio. Serve quindi una tecnica, una procedura affidabile che smascheri l'anosognosia cognitiva e riveli l’errore all’errante inconsapevole, quanto più precocemente per poter rimediare e correggere il percorso. Discrepanza temporale e mismatch cognitivo sono le due facce della stessa medaglia.
Alcuni psicologi (Rizzo et al 1996) hanno proposto un modello a più stadi, per descrivere il processo di "svelamento" dell'errore, così articolato:
1. il primo passo consiste nell’ emergere di una discrepanza percettivo-valutativa (mismatch) spesso in modo vago ed “epidermico”, a pelle
2. a cui segue la scoperta (consapevolezza) che è stato commesso un errore
3. l'identificazione (individuazione) dell'origine e della natura della discrepanza
4. il superamento della discrepanza tra obiettivo prefissato e il risultato conseguito (strategie per eliminarla, capirla e rimuovere le cause).
La mismatch è frutto della mancata corrispondenza tra informazioni ed aspettative (ipotesi, previsioni etc..) e dati empirici, oppure al fatto che queste non sono corrette o non sono state aggiornate. Gli autori si riferisco più che altro ad azioni finalizzate e procedure pratiche; nel campo della diagnosi medica significa che serve una certa sensibilità per percepire i segnali di mismatch o ricercare attivamente i feed-back che testimoniano la discrepanza tra realtà e la sua rappresentazione mentale, che è il punto nodale per riconoscere quanto più precocemente il quasi-errore diagnostico, affinché non si traduca in errore vero e proprio dalle conseguenze pratiche.
A volte la discrepanza parte da una sensazione sgradevole di insoddisfazione, da uno stato d'animo di perplessità, di fastidioso dubbio o sfasatura; in altri casi invece si presenta come un'improvvisa "sorpresa", rivelazione o illuminazione sulla differenza tra rappresentazione e realtà dei fatti. Il disagio cognitivo indotto dal mismatch è radicato nel vissuto e può essere superato con un atteggiamento di riflessione sull'esperienza, dai connotati meta-cognitivi chiaramente distanti se non antitetici rispetto all'impostazione istruttiva del RM. 

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