sabato 25 febbraio 2017

Appropriatezza diagnostica, prototipi ed aderenza al modello

Il precedente post si concludeva con una puntualizzazione sul concetto di appropriatezza, che attiene alle caratteristiche del singolo caso clinico, da valutare in rapporto alle linee guida o alle buone pratiche cliniche, e non può essere esteso meccanicamente alle prescrizioni aggregate per valutare le decisioni diagnostico-terapeutiche di un'intera popolazione di professionisti. Il salto metodologico dal livello individuale del singolo caso alla coorte di assistiti o di medici è insomma "inappropriato" da diversi punti di vista: in questo post propongo alcune considerazioni metodologiche e di psicologia cognitiva, mentre nel successivo gli aspetti epistemologici.

Le indicazioni comportamentali delle Linee Guida, ad esempio i criteri per prescrivere un'endoscopia digestiva, partono da una conoscenza accumulata "a priori", frutto di indagini clinico-epidemiologiche, che devono essere applicate nel singolo assistito portatore di un sintomo, ad esempio suggestivo di RGE.

Da queste ricerche emerge il "profilo" medio dell'assistito che può essere sottoposto con appropriatezza alla gastroscopia e di riflesso di quello che invece non ne avrebbe alcun beneficio, ovvero che farebbe l'esame inutilmente (ad esempio il soggetto con disturbi gastrici che lamenta anche dimagrimento, anemia, vomito persistente, sanguinamento in atto etc..). Tra i criteri di elegibilità mancano diverse variabili che rientrano in una valutazione globale del disturbo e che orientano la decisione: le comorbilità, le terapie in atto, i precedenti anamnestici, la qualità e l'entità del sintomo soggettivo riferito, che spazia dalle forme più vistose a quelle pauci- o addirittura asintomatiche, com'è di regola la presentazione del tumore gastrico, nelle fasi iniziali, o dell'ulcera "silente".

I criteri "oggettivi" per la prescrizione dell'endoscopia fanno riferimento al concetto di "prototipo" elaborato della psicologia cognitiva, ovvero il soggetto medio più rappresentativo della categoria di coloro per i quali la gastroscopia è indicata. Ma tra il candidato ideale e quello per il quale la gastroscopia è inutile non vi è mai un confine netto, nel segno della dicotomia tutto-o-nulla, ma invece una gamma, un continuum di situazioni intermedie e "sfumate" (fuzzy) che si distribuiscono più o meno lungo la classica curva gaussiana della varietà, senza considerare la componente soggettiva. Ad esempio, in quanto tempo e quanti Kg di peso deve aver perso un assistito per essere giudicato idoneo alla gastroscopia? Le stesse considerazioni valgono per il limite anagrafico che solitamente viene posto come cut-of tra un'endoscopia appropria e una non, per non parlare della soggettività dell'assistito.

Ora se ci si fissa troppo sull'immagine del prototipo per prendere le decisioni si rischia di incorrere nella cosiddetta euristica della rappresentatività e nel conseguente bias ( http://www.pensierocritico.eu/intelligenza-euristica.html ). Vale a dire nel mancato riconoscimento di una delle situazioni intermedie e sfumate della distribuzione gaussiana di cui sopra, perchè si ha come riferimento solo l'esemplare medio più rappresentativo di una categoria, tanto da diventare uno stereotipo. In realtà tra chi non presenta i tratti tipici ed oggettivi, ovvero non soddisfa i criteri di appropriatezza, si può annidare un soggetto che effettivamente potrebbe giovarsi di un esame, per quanto appaia inappropriato poichè non rientra perfettamente nelle indicazioni delle linee guida. L'euristica della rappresentatività funziona bene, nel senso che porta ad un rapido riconoscimento, quando ci si trova dinnanzi a casi da manuale, ma rappresenta un potenziale trabocchetto quando invece si incappa in sintomi atipici o d'esordio, presentazioni paucisintomatiche, bizzarre ed "eccentriche" rispetto al modello idealtipico, per usare il termine introdotto dal sociologo Max Weber.

La trappola della rappresentatività è più sottile perchè uno dei precetti della diagnostica differenziale va proprio in suo sostegno. Infatti di fronte ad un caso di incertezza tra più diagnosi la regola dell'aderenza al modello suggerisce di preferire la descrizione tipica che più somiglia alla situazione in esame; dato che la diagnosi si basa sulla possibilità di ricondurre i dati rilevati al modello più rappresentativo di una determinata categoria nosologica, nel singolo caso si propenderà per il "prototipo" di malattia a cui può essere assimilato il profilo del paziente. L'euristica della rappresentatività si converte in una bias quando funziona in negativo, nel senso che ostacola il riconoscimento di un caso atipico o anomalo, proprio perchè prevale l'immagine mentale dell'idealtipo clinico nel processo di riconoscimento a scapito delle presentazioni atipiche o sfumate.

Lo stesso fenomeno può accadere quindi anche nell'applicazione dei criteri di eleggibilità di un accertamento diagnostico, quando predomina il riferimento acritico al profilo medio ideale del paziente candidato all'esame in modo (apparentemente) appropriato, perchè aderente alle indicazioni schematiche delle Linee Guida, a prescindere dalla varietà delle storie di malattia e delle situazioni concrete. Come ha osservato Marco Bobbio "nessuno però è un persona media e il suo destino può discostarsi da quello più probabile" (Troppa Medicina, Einaudi, Torino 2017).

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