domenica 14 marzo 2021

Quale riforma delle cure primarie? (II parte)

Il secondo ingrediente della ricetta per una vera riforma delle cure primarie, avanzata da Polillo e Coll. sul QS, è il passaggio alla dipendenza di MMG e Pediatri, che verrebbero inquadrati nel ruolo di Dirigente medico (al link la I parte: http://curprim.blogspot.com/2021/03/quale-riforma-delle-cure-primarie.html )

Con il passaggio alla dipendenza cambierebbe il contesto economico e relazionale su diversi piani

  • si ridurrebbero i margini di libertà e discrezionalità professionale, nel senso della prevalenza dei vincoli del rapporto subordinato e delle compatibilità organizzative “aziendali” (rispetto di protocolli, ordini di servizio, subordinazione gerarchica verso i "capi" etc.);
  • si limiterebbe la facoltà di scelta dei pazienti, nel momento in cui ad un medico verrebbe attribuito un numero di 1000 pazienti, ma soprattutto “un compenso fisso per svolgere la funzione di medico di fiducia nei confronti di chi lo ha scelto”, come si legge nella proposta di Polillo & C;
  • verrebbero quindi meno le conseguenze economiche per il medico della scelta/revoca, che negli ultimi anni sono alla base degli effetti perversi della ricusazione, utilizzata strumentalmente da alcuni pazienti “esigenti” per ottenere vantaggi personali, violando regole e vincoli normativi, dalle note AIFA e quelle dei LEA etc.

In buona sostanza il medico potrebbe tranquillamente dire molti più NO alle richieste indecenti o semplicemente irricevibili di alcuni pazienti, attualmente “incontrollabili” per via di una facoltà di scelta/revoca facile, discrezionale e capricciosa. In altri termini al paziente esigente e pretenzioso verrebbe sottratto l’uso strategico ed opportunistico dell’incertezza correlata alla “minaccia” della revoca, da giocare nel caso in cui il medico non fosse disponibile ed assecondarne i desiderata del "cliente". Con la dipendenza si sposterebbero alcuni degli attuali equilibri normativi a favore di una maggiore tutela per il medico come la retribuzione fissa, garanzie normative circa i costi di produzione, ferie e malattie, una maggiore copertura per la responsabilità professionale etc.. Peraltro l'obiettivo di introdurre una parte dei compensi in relazione al raggiungimento di obiettivi di salute e indicatori di performances clinica, a prescindere dal numero di pazienti, può essere raggiunto anche con lo status giuridico convenzionato, a patto di superare le pervicaci resistenze dei sindacati ad accettare retribuzioni sulla base dei risultati.

La relazione medico-paziente diverrebbe più rigida e formale rispetto all’attuale, di carattere “negoziale”, informale ma potenzialmente instabile sul versante del paziente. A prezzo però di ridurre la libertà di scelta dei cittadini e con il rischio di irrigidire e spersonalizzare la relazione, come accade nelle grandi ed anonime organizzazioni sanitarie in cui prevale la funzione sulla personalizzazione del rapporto. Insomma la “scelta del medico di fiducia” e il “rapporto fiduciario che può cessare in ogni momento, a richiesta dell’assistito e del medico” verrebbero ridimensionati dal passaggio alla dipendenza, soprattutto per il paziente.

Se c'è un aspetto che la gente detesta è la discontinuità del rapporto, il continuo ricambio di interlocutori e il carattere impersonale/anonimo della relazione di cura, che viene attivamente ricercato rivolgendosi alla libera-professione specialistica, per chi naturalmente se la può permettere. Questa esigenza vale soprattutto nella dimensione della cronicità e meno nelle situazioni acute, quando ci si deve rivolgere giocoforza a chi è di turno in quel momento. Il rischio delle case della salute multiprofessionali è quello che prevalga la funzione impersonale dell'organizzazione sulla continuità e sulla personalizzazione della relazione di cura, tanto esaltata con enfasi retorica ma che è l'eccezione nelle grandi strutture, se non altro per via dei turni della copertura H24.  

In sostanza si ridurrebbero i margini di discrezionalità e di autonomia del medico – che attualmente si trincererebbe spesso nello status di libero-professionista, come si legge nel documento, per svolgere attività assistenziale separata e di scarsa efficacia - a favore di una sua maggiore integrazione nella struttura aziendale ed indipendenza dal paziente. Peraltro un giudizio di inefficacia e inappropriatezza così pesante verso un’intera categoria, al limite della squalifica professionale generalizzata, dovrebbe essere supportato da prove empiriche e sottoposto al vaglio dei diretti interessati; negli ultimi decenni diverse indagini demoscopiche hanno fatto emergere tra gli utenti del SSN orientamenti di opposta valutazione, ovvero un gradimento e un apprezzamento per la MG superiore a quello riservato ad altri comparti del SSN.  Per evitare il rischio di generalizzazione autoreferenziale - a prescindere dai contesti, dalla storia, dalle situazioni locali e dalle opinioni altrui - insito in giudizi esternati da chi ha poca esperienza pratica del territorio, non resta che sondare opinioni e percezioni degli utenti direttamente coinvolti nel servizio. E solo dopo mettere mano ad una progetto di riforma radicale! La credenza che lo status libero-professionale  equivalga ad "un'attività assistenziale separata e di scarsa efficacia" è un tipica teoria causale del problema che richiederebbe prove schiaccianti che tuttavia gli autori non si preoccupano di esibire.

Infine due brevi considerazioni di carattere generale.

Il modello organizzativo proposto (un centro territoriale ogni 15 mila abitanti, con 15 ex MMG e 10 ex medici di CA + specialisti a personale sociosanitario) può essere adatto per centri medico-grandi ma non certo per i comuni con meno di 10 abitanti, deve vive quasi 1/3 della popolazione, specie in zone disagiate e lontane da strutture ospedaliere.  In queste località l’attuale rete di medici single o di medicine di gruppo con 3-5 componenti resterebbe la formula che garantisce la maggiore accessibilità e capillarità della copertura dei bisogni della popolazione rurale o delle zone di collina/montagna, lontane dalle città.

I costi della riconversione logistica e giuridica della medicina del territorio (strutture distrettuali diffuse nei comuni con popolazione superiore a 10 mila abitanti e passaggio alla dipendenza degli attuali 60 mila professionisti convenzionati) sembrano proibitivi e difficilmente sostenibili per le finanze pubbliche, se non attingendo copiosamente nei prossimi anni ai fondi del ricovery plan, che è l’occasione che ha indotto diversi portatori di interessi ad avanzare il progetto qui analizzato; la proposta di riconversione alla dipendenza dei convenzionati grazie ai finanziamenti europei dovrebbe favorire il passaggio della riforma delle cure primarie dall’agenda pubblica a quella istituzionale. Saranno i tecnici incaricati di valutare dal punto di vista finanziario un proposito così impegnativo a decidere della sua compatibilità rispetto ai vincoli delle risorse riservate all’Italia dalla UE.

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