giovedì 3 giugno 2021

Pandemia e cronicità: le due facce dello stesso pregiudizio

Con la DGR 4811 la Giunta regionale Lombarda ha archiviato un decennio di sperimentazioni sulla gestione della cronicità, inaugurato nel 2011 dalla Delibera sui CReG, che esordiva con un giudizio lapidario verso la MG, rimasto come filo conduttore delle policy regionali: “la realtà dei fatti ha mostrato che l’attuale organizzazione delle cure primarie manca delle premesse contrattuali e delle competenze cliniche, gestionali ed amministrative richieste ad una organizzazione che sia in grado di garantire una reale presa in carico complessiva dei pazienti cronici al di fuori dell’ospedale” (Allegato14, DGR 973/2010).

La pubblica squalifica della categoria ha ispirato, in modo subliminale e forse inconsapevole, un atteggiamento pregiudizialmente negativo verso le cure primarie, che si è tradotto nel tentativo della Presa in Carico del 2017 (PiC) di marginalizzazione il MMG a favore dei Gestori ospedalieri e dei clinical manager specialistici, demandati alla gestione dei cronici in uscita dal territorio. Così non è stato ed ora nei fatti la DGR sulla revisione della L.R 23 ha messo in liquidazione la PiC: non a caso nelle linee di Sviluppo approvate a fine maggio per la revisione della Legge Maroni sono scomparsi riferimenti a Gestori, Clinical Manager, Call Center etc..

Il 2020 ha quindi propiziato una duplice svolta sul doppio binario dell'assistenza primaria lombarda: l'archiviazione della PiC a cui si aggiungono gli investimenti del PNRR per il rilancio del territorio, dopo due decenni di disinteresse, inadempienze e tentativi di smantellamento del network territoriale, culminati con la riforma della cronicità.

La premessa dei CReG è stata confutata dei suoi stessi esiti pratici prima che la pandemia desse la spallata finale all'ipotesi di trasferire la cronicità dal territorio alle cure ospedaliere, proposito risultato contraddittorio nell'anno che ha visto lo tsunami Sars-Cov-2 abbattersi proprio sulle strutture ospedaliere. A farne le spese con un elevato prezzo in vite sono stati i medici del territorio, abbandonati a se stessi sul fronte pandemico e marginalizzati da politiche ospedalocentriche che intendevano deviare sui nosocomi, già di per se oberati da prestazioni in acuto, la cura dei cronici. Nell'epicentro della pandemia gli ospedali Lombardi non hanno potuto far altro che trascurare l'ordinaria amministrazione per concentrarsi a difesa della Terapie Intensive assediate, fino a monopolizzare l'80% della produzione.

Nell'ultimo anno il tema delle carenze del territorio è stato reiterato pubblicamente, tanto da diventare sinonimo di una scarsa professionalità e inaffidabilità del comparto delle cure primarie per ogni tipo di bisogno o patologia gestita in sede extraospedaliera. La censura dei CReG del 2010 potrebbe essere riproposta oggi pari pari per quanto riguarda la gestione della pandemia: per attualizzare la frase riportata all'inizio del post basterebbe sostituire l'espressione "presa in carico dei pazienti cronici" con il riferimento alla gestione del Covid-19. 

In realtà durante la II e III ondata i medici dell'assistenza primaria hanno prescritto decine di milioni di tamponi per sospetti Covid-19 diagnosticandone quasi quattro, segnalati, certificati e curati a casa senza necessità di ricovero, in sinergia con i colleghi della USCA e della Continuità Assistenziale come dimostrano i dati della stessa Protezione civile: http://curprim.blogspot.com/2021/06/davvero-la-medicina-territoriale-ha.html

Contemporaneamente hanno svolto l'ordinaria attività ambulatoriale e domiciliare verso pazienti con patologie croniche o altre forme acute come accadeva prima della pandemia, senza rinviare visite o sospendere prescrizioni di accertamenti e farmaci. Ma evidentemente nessuno se ne è accorto come per anni è stato ignorato il lavoro svolto nella cura della cronicità fino al flop della PiC; così è stato riproposto il leit motif sull'assenza della medicina del territorio, mentre le liste d'attesa delle prestazioni ospedaliere si allungano a dismisura a seguito di annullamenti e rinvii di milioni di prestazioni complice la II e III ondata. La strategia del taglio dei ponti verso l'ambiente per concentrare le risorse sul fronte pandemico è stata utile ma rischia di paralizzare il sistema per anni, a mo' di boomerang.

A porre rimedio ad un'annoso disinteresse verso le cure primarie, che ancora si tinge di squalifica mediatica, sono arrivati gli ingenti investimenti strutturali del PNRR che le linee di sviluppo della riforma lombarda hanno recepito in modo abbastanza slegato dal resto delle proposte di revisione della LR 23. Tuttavia i finanziamenti comunitari sono destinati più che altro al rafforzamento della gestione alla cronicità (soprattutto i COT e le CdC) e ben poco ad una potenziale nuova emergenza infettiva pandemica che nel 2020 ha innescato il cambiamento. Tanto che il riferimento alla cronicità e fragilità compare in numerosi passaggi delle schede di programma inviate a Bruxelles. Alla fine del percorso avviato con il PNRR, se dovesse andare a buon fine, si valuterà in che misura il virus avrà favorito la rinascita delle cure primarie in Lombardia, invertendo un ventennio di policy all'insegna della marginalità.

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