venerdì 10 marzo 2023

La crisi endemica del PS dopo la pandemia: cause ed effetti sistemici

A seguito della pubblicazione sul Quotidiano Sanità di una mia lettera al direttore con alcune considerazioni sugli ambulatori infermieristici veneti per la gestione dei codici bianchi, oggetto di un'analoga missiva del presidente dell'Ordine dei medici di Venezia, è apparsa la risentita replica dell’infermiera romana Agnese Testoni del Simeu al medesimo QS che, con inconsueti e insistenti toni ad hominem, ha avanzato alcune congetture sulle mie personali convinzioni e conoscenze in materia. 

Le successive considerazioni, che riprendono ed aggiornano i contenuti di un post apparso nel 2014, puntualizzano la questione dal punto di osservazione e valutazione dell'assistenza primaria, in modo più articolato ed argomentato rispetto ai limitati spazi di una contro-lettera al direttore, di prossima pubblicazione.

Da tempo immemorabile nei mesi invernali, in corrispondenza del picco dell'epidemia influenzale, entrano in crisi le strutture ospedaliere che più soffrono per l'effetto"collo di bottiglia": posti di Pronto Soccorso (PS) sovraffollati e reparti di rianimazione con indisponibilità di posti letto. Puntualmente le cronache giornalistiche registrano proteste, malcontento e disagio degli operatori per le difficili condizioni di lavoro ed anche denunce dei cittadini per il malfunzionamento dei servizi. 

Sulla complessità del problema sono stati spesi i proverbiali fiumi di inchiostro: la crisi del PS ha radici lontane, concause profonde e complesse che interagiscono in modo sistemico. Sul PS convergono e si concentrano nel tempo e nello spazio le contraddizioni e i limiti del sistema, di cui fanno le spese per primi gli operatori, in termini di stress, sovraccarico di lavoro e concreto rischio professionale. In pratica medici e paramedici devono fronteggiare quotidianamente una continua emergenza organizzativa nell’emergenza sanitaria.

Ecco un sommario elenco dei determinanti della crisi tratto da un documento ministeriale *:

  • un sempre maggior bisogno del cittadino di ottenere dal servizio pubblico una risposta ad esigenze urgenti o comunque percepite come tali;
  • il miglioramento delle cure con aumento della sopravvivenza in pazienti affetti da pluripatologie che con sempre maggior frequenza necessitano dell’intervento del sistema d’emergenza-urgenza per la complessità di quadri clinici medici difficilemente gestibili sul territorio;
  • il ruolo di rete di sicurezza rivestito dal Pronto Soccorso per categorie socialmente deboli e marginali;
  • la convinzione del cittadino di ottenere un inquadramento clinico terapeutico migliore e in tempi brevi;
  • la preminenza del modello di salute tecnologico centrato sull'Ospedale rispetto al modello preventivo-territoriale centrato sulla Medicina Generale la cui mission è la gestione della cronicità.

 A questi determinanti si devono aggiungere altri nodi problematici, di natura organizzativa e psicologico-comportamentale individuale, vale a dire:

  • la ristrutturazione della rete ospedaliera, con la chiusura dei piccoli ospedali e la riduzione dei posti letto, che si riflette sul PS con il noto “effetto imbuto” o boarding - già analizzato in un post del 2017 - nel senso che non è possibile procedere come un tempo al ricovero per il completamento delle indagini diagnostiche e delle cure necessarie nei soggetti polipatologici, fragili e complessi;
  • l’aumento dei tempi e delle liste d’attesa per prestazioni diagnostiche e specialistiche, con conseguente domanda inevasa dall’offerta pubblica sul territorio;
  • le difficoltà del sistema sanitario nel suo complesso, e in particolare del singolo medico del territorio, ad influenzare le decisioni autonome dagli assistiti di recarsi in PS, generalmente motivate  da una eccessiva ansia per la propria salute  e per disturbi percepiti soggettivamente come gravi e meritevoli di una  (i ben noti “codici bianchi”).

Si tratta di un’ansia generata da un diffuso clima sociale di allarme, riguardo ai problemi sanitari, che cerca e trova conforto nella "potenza" e nell'offerta tecnologica dell'istituzione ospedaliera. Laddove la tecnologia diagnostica è offerta in modo pronto, affidabile e "attrattivo" per la gente. Attrattività che si autoalimenta ed inducela propria domanda, indipendentemente dalla volontà del singolo operatore, in un classico circolo virtuoso o vizioso, a seconda del punto di vista, di natura organizzativa. Può capitare, ad esempio, che un assistito decida di recarsi in ospedale piuttosto che frequentare, magari a pochi minuti da casa, l'ambulatorio del medico di famiglia, dove potrebbe essere visitato in tempi brevi, a fronte delle lunghe attesa in P.S., dovute proprio alla presenza dei "codici bianchi" in eccesso sfuggiti al filtro della MG.

La situazione si è endemicamente aggravata negli ultimi anni per due lasciti dovuti allo stress test pandemico che riguardano la gestione dei problemi e l'assetto organizzativo del territorio: 

-da un lato il divario sempre più ampio tra domanda e offerta per quanto riguarda la diagnostica e la specialistica ambulatoriale, divenuto una voragine apparentemente incolmabile che sipinge molti assistiti in PS come  "ultima spiaggia" per risolvere il proprio problema, non necessariamentu uregente ma inevaso dalle strutture poliambulatoriali esterne;

-dall'altro l'introduzione degli appuntamenti a tappeto negli studi di MG sul territorio, per evitare rischiosi affollemaneti nelle sale d'attesa nel pieno delle varie ondate, ha fatto sì che il PS sia rimasto praticamente l'unico servizio ad accesso libero del SSN, rispetto ad una medicina del territorio che specularmente si "ospedalizzata", abbandonando la precedente possibilità di accedere alla consultazione ambulatoriale senza prenotazione, anche per potere megli curare i pazienti cronici. 

Questa evoluzione ha irrigidito l'organizzazione e ridotto la gamma dell'offerta di contatti e la disponibilità ambulatoriale con ripercussioni sistemiche anche sul PS.

E' impossibile per il singolo medico del territorio reggere la concorrenza dell’offerta tecnologica dell’emergenza sanitaria. In primo luogo perchè non è il suo compito, essendo altra la mission che si è data la Medicina Generale negli ultimi anni, ovvero la gestione delle patologie croniche sul territorio. Secondariamente è la disponibilità della tecnologia diagnostica e specialistica a fare la differenza rispetto all'offerta territoriale, attirando la gente ed inducendo il medico del PS a prescrivere giustamente accertamenti, a prescindere dall'accesso più o meno appropriato dell'assistito.

E’ normale e “naturale” che si ricorra alla tecnologia diagnostica quando è prontamente disponibile, per venire incontro alla domanda implicita degli utenti, per motivi clinici, specie se il professionista deve tenere conto di protocolli e linee guida aziendali etc.., elaborati proprio per fare fronte a situazioni di incertezza, prevenire il rischio clinico e tutelare gli operatori stessi da eventuali conseguenze medico-legali personali.

L'incertezza decisionale, specie quella diagnostica, si riduce aggiungendo informazioni - secondo il modello bayesiano della cinematica delle probabilità - o ricorrendo alla consulenza specialista, in particolare di fronte a nuovi casi o disturbi di incerta valutazione, atipici, inconsueti o sotto-soglia, che non sono “coperti”dai protocolli e dalle linee guida. Di fronte a situazioni dubbie o sintomi "sfumati" l'esecuzione di indagini di routine, senza fondate ipotesi cliniche preventive, ha una giustificazione anche sul piano del metodo ipotetico-deduttivo fallibilista, nel tentativo di confutare l'ipotesi che il soggetto sia sotto sotto in buone condizioni di salute e non invece portatore di un rischio significativo o di una patologia importante pauci o asintomatica. 

Insomma un atteggiamento difensivo è giustificato ed è difficile negare in PS un minimo di esami ematici, accertamenti per immagine o consulenze specialistiche, sia per motivi oggettivi sia per evitare la sottovalutazione diagnostica di un "falso" codice minore, date le difficoltà decisionali del contesto emergenziale, il rischio di incappare in contenziosi per supposta malapratica, finire sui giornali e magari pure sul banco degli imputati pagando personalmente per deficit gestionali e strutturali. L'uso della tecnologia si impone perchè il PS è il setting professionale più difficile, stressante, ad elevato rischio di errore cognitivo, come sottolineava Carolina Prevaldi nel 2019 e come illustra analiticamente Tommaso Grandi nel suo pregevole Blog.

Difficile chiedere al singolo medico extra-ospedaliero, isolato e privo di risorse diagnsotiche adeguate, di gestire sul territorio l'incertezza clinica senza il supporto decisionale della tecnologia, quando in PS vi si ricorre correttamente di routine. Se invece gli infermieri degli ambulatori del see and treat saranno in grado di gestire i codici minori "a mani nude", cioè senza il ricorso alla tecnologia come ha difficoltà a fare il medico del territorio, c'è solo da provare ammirazione e invidia per l'elevata professionalità e sicurezza. 

Gli assistiti, dal canto loro, hanno compreso da tempo queste dinamiche cognitivo-comportamentali e non a caso si recano spontaneamente in P.S, senza consultare preventivamente il proprio medico, anche a rischio di dover sborsare decina di euro per il ticket, ma con l'opportunità di by-passare le liste d'attesa ed eseguire in poche ore accertamenti e visite che solo in tempi lunghi e con farraginose procedure burocratiche potrebbero ottenere sul territorio. Queste autonome scelte hanno decretato anche la chiusura degli ambulatori medici per la gestione dei codici bianchi in alcune regioni, come illustrato in quest'altro post, perchè i pazienti preferivano rivolgersi al PS proprio per la disponibilità di accertamenti preclusi ai medici di MG, by-passando pure l'ambulatorio dei codici bianchi.

Del resto l’economia sanitaria spiega da tempo questi comportamenti con una delle sue leggi ferree: in sanità vale la regola che l’offerta organizzativa di servizi e prestazioni induce la propria domanda, specie se prontamente disponibili e a prescindere dalla volontà del singolo operatore, per un classico loop sistemico a feed-back positivo, che si potrebbe estendere anche al see and treat o al fast track, attraendo paradossalmente altri codici bianchi verso il PS in modo autoreferenziale ed opportunistico. 

Le cose potrebbero andare in modo diverso se si fosse potenziate per tempo l’offerta organizzativa delle cure primarie territoriali, incentivando le forme associative in MG previste dalla riforma Balduzzi, in particolare le unità complesse più che le AFT, rimasta al palo nella maggioranza delle regioni fino alla pandemia. La ristrutturazione  e il potenziamento della rete territoriale, dopo decenni di improvvido abbandono specie in Lombardia, potrebbe intercettare una parte dei codici bianchi in sede extra-ospedaliera e quindi ridurre almeno parzialmente il loro impatto sulle strutture di emergenza-urgenza; lo dimostra l'esperienze regionale Emiliana con una riduzione del 20% circa dei codici minori nella zone coperte dalle Case della Salute.

Insomma per la crisi del P.S. vale l'aforisma per cui sono improponibili soluzioni semplici e lineari per problemi maledettamente complessi di natura sistemica a più livelli.

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