mercoledì 13 settembre 2023

Si può spezzare il circolo vizioso che soffoca la sanità calabrese?

La lettera di lunedì 11 settembre sul Quotidiano Sanità ha provocato diverse reazioni polemiche, che hanno sottolineato le numerose criticità, valide e legittime, dell'importazione di medici cubani in Calabria, nel tentativo di risollevare le sorti del SSR in grave crisi di personale.Conviene prima di tutto mettere da patrte l'enfasi giornalistica e l'aneddotica per considerare le dinamiche sistemiche del contesto e la gravità dei problemi emersi nell'ultimo biennio.

In Calabria è in atto da tempo un circolo vizioso che investe il SSR, simile a quello che interesse tutta la sanità italiana ma amplificato e accelerato negli effetti collaterali, che stava portando alla desertificazione dell'assistenza ospedaliera, al collasso entropico dell'organizzazione e antropico della società. Insomma un'emergenza simile a quella del Covid, seppure più diluita nel tempo ma non meno profonda e grave nei suoi effetti destabilizzanti e disgreganti.

Di fronte a questa emergenza in fase di cronicizzazione bisognava intervenire per spezzare il circolo vizioso che si automantiene e si autorinforza fino al naufragio organizzativo, ovvero la chiusura degli ospedali e in un territorio già abbastanza penalizzato e "abbandonato dallo stato". La dinamica sistemico-cibernetica è più o meno questa: nei reparti sguarniti il carico e la qualità del lavoro per chi resta in servizio peggiorano e favoriscono, da un lato, le defezioni di chi non ce la fa più e getta la spugna rendendo, dall'altro, ancora meno attrattivi i posti vacanti; così i concorsi banditi restano cronicamente privi di candidati, che preferiscono ospedali meno impegnativi e con garanzie di funzionalità, efficienza e prospettive di carriera.

I medici cubani hanno riempito un vuoto che poteva diventare una voragine fino a inghiottire tutto il SSR; insomma a mali estremi estremi rimedi, perché esistono anche le cause di forza maggiore che legittimano sul piano giuridico ad agire per rispondere ad uno stato di necessità, come è successo con l'aiuto straniero durante il Covid, ben accetto da tutti e che nessuno a suo tempo ha contestato; tra l'altro russi e cubani in Lombardia utilizzavano strumenti propri mentre in Calabria i caraibici usano quelli degli ospedali pubblici.

Ovviamente la decisione presa in uno stato di eccezione mette di fronte a dilemmi e conflitti tra valori, principi, garanzie e regole consolidate stabilite da tempo, che generano tensioni e contrasti come quelli evidenziati nei commenti alla lettera. Purtroppo tutto è dovuto alla forza delle cose e ai dati di fatto di una situazione fuori controllo e senza via d'uscita, che sovrastano le altre considerazioni; valori e principi, tutti singolarmente validi, giustificati razionalmente e sul piano giuridico-formale, entrano in dissonanza e non si possono ricomporre in un tutto armonico, come secondo Berlin capita in una società pluralista quando si decide di agire.

Certo non è una soluzione definitiva né impeccabile e stride rispetto alla "normalità" delle tutele, delle norme e delle garanzie vigenti, ma è un primo passo per ripartire e ricostruire le condizoni minime di agibilità sanitaria ed efficacia organizzativa sistemica. È il tentativo estremo e "sporco" di disinnescare un circolo vizioso ed ultima ratio per innescarne uno virtuoso, dagli esiti incerti come tutti gli azzardi.

Ed infine quale alternativa si può prospettare? E' realistico tornare indietro bloccando l'operazione, magari con un legittimo ricorso amministrativo, per rispedire a casa la spedizione? Chi se la sente di togliere questo spiraglio di normalità ai calabresi? Che contraccolpi sanitari e sociali avrebbe? Queste sono le domande da farsi, assieme alle legittime riserve, a cui dare risposte pratiche e credibili che tengano conto della gravità della situazione.

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