lunedì 15 gennaio 2024

Il dibattito sulla crisi delle scuole di specializzazione

Il periodico Brescia Medica dell'ordine provinciale ha organizzato un dibattito tra i professori universitari della locale facoltà di medicina sulle scelte dei neo-laureati al concorso autunnale per l'accesso alle specializzazioni. Come si ricorderà molte scuole hanno registrato un significativo calo delle domande, che per alcune discipline ha superato il 50%.

Al link il Forum/ La crisi delle Scuole di Specializzazione in Medicina

Le preferenze formative espresse dai neo-laureati accentuano la crisi della sanità pubblica e sono la spia di tendenze profonde, a livello socio-culturale, già emerse in altri contesti geografici. Segnalano nel contempo la prevalenza del mercato e il tramonto della chiamata vocazionale, tratto identitario dei medici della prima riforma sanitaria ora avviati all'uscita pensionistica per il venir meno della spinta ideale degli esordi, sotto i colpi dell’aziendalizzazione, della burocratizzazione e del lento declino del SSN per le improvvide politiche dei decisori pubblici. Le ripecussioni sulle organizzazioni ospedaliere e soprattutto sui servizi della rete territoriale saranno rilevanti e critiche sul lungo periodo.

Le scelte degli specializzandi possono essere lette come il tentativo di recuperare i tratti peculiari del declinante professionalismo occupazionale classico, nell’intento di conservare discrezionalità ed autonomia decisionale ed organizzativa, garantite dalla libera professione in intra/extra moenia, una volta assolti i doveri del dipendente pubblico, o in alternativa di delimitare con le competenze super specialistiche una nicchia professionale all’interno dell’ospedale.

Entrambe costituiscono vie di fuga dalla burocratizzazione aziendalistica in direzioni solo apparentemente antitetiche, che emergono soprattutto nelle scelte degli specializzandi in cardiologia ed oculistica. Nel caso dell’opzione a favore di uno sbocco professionale sul mercato, nel proprio studio privato oppure in uno dei tanti poliambulatori specialistici sorti negli ultimi anni, conta certamente la motivazione economica ma probabilmente anche la spinta ad affrancarsi dai vincoli dell’organizzazione ospedaliera a “catena di montaggio”, per esercitare la propria funzione in modo meno condizionato dalle logiche della medicina amministrata e più autonomo anche sul piano della relazione di cura.

La scelta della super specializzazione, svolta nell’ambito del cosiddetto “nucleo tecnico” organizzativo è solo apparentemente antitetica; la rigorosa selezione all'accesso protegge i compiti ad elevata densità tecnospecialistica dalle perturbazioni ambientali ed è fonte di maggiore potere negoziale nei confronti dei vincoli manageriali. Inoltre il prestigio professionale e sociale acquisito in ambiente pubblico è spendibile sul mercato del lavoro, ad esempio in strutture private convenzionate. Le due opzioni, tra l’altro, sono compatibili e possono convivere, come accade spesso in ambito oculistico con l’ampia offerta di interventi chirurgici eseguiti in regime ambulatoriale privato, per sopperire al deficit di offerta e alle lunghe attese del pubblico.

In entrambi i casi, visto lo scarso interesse per la specialistica ambulatoriale extra ospedaliera, aumenta il gap rispetto all'atteso potenziamento delle attività da svolgere nei poliambulatori ospedalieri e nelle future Case della Comunità (CdC), che dovrebbe favorire quell’integrazione con le cure primarie tanto retoricamente promossa quanto di difficile attuazione;  il rischio invece è nella divaricazione professionale e culturale tra I e II livello, per via delle preferenze all’insegna del riduzionismo tecnologico rispetto alla propensione "olistica" della MG, specie se nelle gestione delle CdC dovesse prevalere la “colonizzazione del territorio con la stessa cultura di governo utilizzata nella gestione dei sistemi ospedalieri”, come paventa il sociologo Giovanni Trentin.

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