giovedì 13 novembre 2025

Appropriatezza: istruzioni per l'uso

  • L'appropriatezza/inappropriatezza prescrittiva, diagnostica o terapeutica, è uno dei parametri della qualità dell'assistenza sanitaria e rientra nello schema generale di valutazione dell'overuse e dell'underuse di prestazioni sanitarie.
  • Esiste quindi un'inappropriatezza per eccesso, un'inappropriatezza per difetto di prescrizioni e una per eccessiva variabilità geografica o tra strutture/organizzazioni sanitarie (definizione RAND), anche in relazione alla scarsa aderenza dei malati cronici ai percorsi sanitari, ai controlli periodici, più che a singoli accertamenti, e ad alcune terapie.
  • I risparmi ottenuti con la riduzione dell'inappropriatezza in eccesso dovrebbero essere destinati a migliorare l'inappropriatezza per difetto, che ha un impatto negativo sugli esiti di salute (Cartabellotta 2015) 
  • L'appropriatezza viene definita come la procedura corretta, al paziente giusto, nei modi e nei tempi giusti, tale da garantire efficacia alle cure ed ottimizzare il rapporto benefici/rischi
  • L'appropriatezza viene valutata "ad personam", in rapporto a specifiche prescrizioni diagnostiche o terapeutiche, ovvero se la prestazione rilasciata per il problema del Signor Franco è in linea con le indicazioni generali di buona pratica (LLGG, Pdta, RAO, Choosing Wisley etc.) e/o con i vincoli prescrittivi dettati dal SSN (Note AIFA, Piani Terapeutici, Lea sugli accertamenti etc.).
  • Per questa ragione le medie prescrittive di un'ASL o di una regione sono indicatori approssimati di appropriatezza o di inappropriatezza del singolo professionista, e non è detto che gli ipo-prescrittori siano "virtuosi" e gli iper-prescrittori "viziosi".
  • La valutazione dell'appropriatezza non è un giudizio manicheo tutto-o-nulla, bianco-o-nero ma è soggetta ad interpretazioni lungo la zona grigia di incertezza del continuum compreso tra i due estremi del necessario e del futile (Cartabellotta 2026).
  • Le prescrizioni di accertamenti diagnostici all'interno del SSN devono essere rilasciate dal medico che prende la decisione, sia esso di MG o specialista accreditato pubblico o privato, utilizzando il ricettario del SSN o emettendo la prescrizione elettronica come da normative vigenti, senza delegare al MMG la trascrizione dell'accertamento "suggerito" dallo specialista in relazione alle regole nazionali (Acn dell'AP e della specialistica) e regionali (DGR regione Lombardia 12317 del luglio 1991).

BIBLIOGRAFIA

  •   Dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del SSN, Manuale di formazione per il governo clinico: Appropriatezza. Luglio 2012. 
  •    Tombesi M. (2015) Appropriatezza degli esami o del sistema sanitario? Consultabile al sito: https://fcrinforma.fcr.re.it/appropriatezza-degli-esami-o-del-sistema-sanitario
  •     Cartabellotta N. (2016) Appropriatezza professionale: la chiave per la sostenibilità della sanità pubblica, Brescia Medica.
  •     Cartabellotta A (2003) L’appropriatezza nel mirino, Il Sole 24 Sanità, Management, sett. 2003
  •     Rodella S, Botturi D a cura di (2015) Appropriatezza, una guida pratica, Il pensiero Scientifico
  •     Belleri G, (2024) Appropriatezza e variabilità nel sistema prescrittivo, KDP Amazon


mercoledì 12 novembre 2025

Incentivi sull'appropriatezza diagnostica. Il controverso caso dell'accordo aziendale di Modena

L’accordo tra ASL modenese e sindacati dei MMG per migliorare l’appropriatezza prescrittiva nella diagnostica ambulatoriale ha sollevato l’immancabile vespaio polemico. L’annoso problema dell’inappropriatezza può essere affrontato partendo da due premesse cognitive opposte, due pre-condizioni culturali antitetiche.

La prima enfatizza in modo retorico il ruolo centrale del MMG, immaginandolo come un burattinaio che muove i fili delle prescrizioni sul territorio, una sorta di deus ex machina dell’accesso ai servizi, il famoso custode del cancello dal quale dipenderebbero gli altri attori professionali. Niente di più lontano dalla realtà fattuale. In proposito Grilli e Taroni nel 2004 hanno formulato la diagnosi definitiva:  

I processi di produzione e distribuzione dei servizi sanitari si svolgono attraverso reti di relazioni complesse e scarsamente gerarchizzabili fra organizzazioni e professioni diverse, in cui nessuno dei numerosi attori può esercitare la funzione di comando e controllo e, parallelamente, non esiste un unico soggetto cui imputare responsabilità complessive

Sembrerà strano ma nel 2025 le logiche sistemiche non sono ancora patrimonio culturale ed organizzativo condiviso tra il management pubblico e sindacati. Come recita uno scherzoso aforisma “per ogni problema complesso c’è una soluzione semplice, ma è sbagliata”. È il caso del presunto “ruolo centrale“ del medico di base in qualità prescrittore unico, che resiste pervicacemente nonostante le evidenze empiriche contrarie.

Il presupposto cognitivo opposto, come indicano gli epidemiologi emiliani, è appunto sistemico-relazionale: non esiste nella “rete di relazioni complesse e scarsamente gerarchizzabili” un “centro di controllo” in grado di regolare gli scambi, le influenze e gli equilibri di “potere” tra attori, autonomi ma inter-dipendenti. La metafora più adeguata è quella del quadrilatero relazionale – isolato artificialmente nel contesto della più ampia trama reticolare - ai cui vertici troviamo: il paziente, il medico dell’AP, lo specialista pubblico e quello libero-professionale (in realtà sarebbe più appropriata la figura geometrica dell’esagono, per includere almeno farmacisti ed infermieri).

Sono questi gli attori nella dimensione micro che inducono in diversa misura e responsabilità le prestazioni oggetto delle iniziative di promozione dell’appropriatezza. Ognuno di loro è connesso con gli altri vertici tramite i lati e le diagonali in un intreccio di inter-retroazioni sistemiche regolate dai vincoli prescrittivi del SSN e regionali, dalle risorse organizzative locali, dalle norme del codice deontologico e dalle dinamiche informali della domanda-offerta sul mercato sanitario. Ogni attore del quadrilatero relazionale è latore di bisogni, ruoli, preferenze, priorità, logiche professionali, di “potere” etc., all’interno della propria sfera decisionale, che entrano in negoziazioni formali e informali con gli altri portatori di interessi.

Il primo passo per districarsi nelle “reti di relazioni complesse” e fare chiarezza sulle responsabilità è quello di stabilire “chi prescrive cosa e con quale appropriatezza” all’interno del sistema territoriale multi attore, posto che ci troviamo in una dimensione orizzontale e non verticale di controllo gerarchico, superiore e unidirezionale, come vorrebbe la vuota retorica del “ruolo centrale” dell’AP. Il MMG è spesso costretto a trascrivere impropriamente richieste di accertamenti che, in base alle norme vigenti, dovrebbero essere prescritte personalmente dallo specialista per rispondere al quesito clinico dell’inviante, senza l’umiliante via vai dei pazienti dall’ospedale allo studio del generalista. Insomma, a ciascuno il suo! Purtroppo però questa semplice regola comportamentale di correttezza, responsabilità ed equità viene spesso ignorata e per giunta non vale per lo specialista libero-professionale, che prescrive in totale libertà gravando sulle prescrizioni “suggerite” al MMG, il quale non può che fare buon viso a cattivo gioco, salvo perdere il paziente in caso di diniego.

Una volta definito chi e in che misura induce le prescrizioni, si può prendere in considerazione il problema della loro appropriatezza in due modi

  • in termini di mero scostamento quantitativo in eccesso rispetto alle statistiche, come indicatore di inappropriatezza, anche se resta da stabilire quale sia la media "giusta" all’interno della variabilità;
  • oppure circa la qualità della richiesta – nel senso della prestazione giusta, al paziente giusto, nei modi e tempi giusti etc. - in relazione alle norme informali di buona pratica clinica (PDTA, Linee Guida, RAO etc.) e/o ai vincoli normativi formali della cosiddetta medicina amministrata (LEA nazionali o norme regionali sulla diagnostica ambulatoriale, che per la precisione non comprendono le visite specialistiche).

Ecco due specifici esempi pratici: l’oculistica e la diagnostica per immagini. Le visite specialistiche e gli accertamenti strumentali oculistici sono l’esempio della scarsa autonomia decisionale e dello scarsissimo controllo esercitato dal MMG sulle prescrizioni, per l’influenza preponderante del paziente e degli specialisti. Chiunque ha un minimo di esperienza di AP sa che quello del MMG è un ruolo di passivo esecutore con margini di discrezionalità ristrettissimi. Che decisione può prendere il generalista medio di fronte al paziente che lamenta deficit o disturbi visivi se non inviarlo a visita specialistica, con l’opportuna priorità? E come potrebbe bloccare, per presunta inappropriatezza, richieste di visite di controllo e/o esami strumentali - dall'Oct al campo visivo, dalla FAG alla tonometria - indotte dall’oculista in pazienti affetti da glaucoma, retinopatia ipertensiva o diabetica, degenerazione maculare, cataratta, vizi refrattivi, retinopatia miopica grave, strabismo, trapiantati di cornea etc.  

Per quanto riguarda la diagnostica per immagini le indagini epidemiologiche documentano che almeno la metà delle RMN sono indotte dal II livello, percentuale che supera i ¾ per quanto riguarda angio-RM, TC/RM con mezzo di contrasto, coronarografie, PET, scintigrafie, Spect etc. Non si capisce come e perchè il MMG debba rendere conto dell'eventuale inappropriatezza delle prescrizioni indotte da altri professionisti, non di rado per motivazioni difensive e/o senza un esplicito quesito clinico.

Tra i due estremi del continuum esistono situazioni intermedie nelle quali l’eventuale inappropriatezza del MMG può essere migliorata con la formazione, il benchmarking, il confronto tra pari e soprattutto la condivisione di buone pratiche (e relative responsabilità prescrittive) tra medici del I e II livello, nessuno escluso.

Il sociologo francese dell'organizzazione Michel Crozier ha descritto con appropriatezza l'incomoda posizione dei medici dell'AP. 

L'ascolto è insostituibile, perché soltanto attraverso di esso si può conoscere il reale funzionamento di un sistema di interrelazioni umane. Noi parliamo sempre delle finalità e degli obiettivi di un'istituzione - di ciò che dovrebbe essere - ma non diamo mai importanza a ciò che è. E ciò che conta di più per capire il funzionamento delle nostre imprese ed istituzioni non sono i bisogni astratti degli individui, ma i comportamenti concreti di persone prese nelle strette di un meccanismo complesso, nel quale hanno responsabilità, ma che non controllano. [...] Non si può comprendere una situazione se non analizzando ciò che dicono le persone che la vivono realmente. Mettendosi al loro posto, si coglie la razionalità del loro comportamento.

P.S. Storicamente il primo esempio di valutazione dell’appropriatezza è quello della californiana RAND Corporation degli anni Novanta, che partiva dalla constatazione di una eccessiva variabilità delle casistiche ospedaliere, proponendo l’analisi dei determinanti di tali scostamenti, come in caso di

elevata frequenza di utilizzo della procedura, costi elevati, rischio elevato di complicanze (mortalità, morbosità) [..] procedure il cui uso è controverso, buone probabilità terapeutiche o diagnostiche e la qualità dell’evidenza scientifica disponibile.

L’obiettivo era la riduzione dell’eccessiva variabilità geografica di ricoveri o interventi chirurgici, “restringendo” la curva gaussiana grazie alla descrizione di

“scenari” o “indicazioni”, per classificare, in base a sintomi, storia clinica, risultati dei test diagnostici, i pazienti che potrebbero essere candidati all’intervento in questione.

Il modello RAND riguardava specifici problemi clinici escludendo programmaticamente “gli aspetti di carattere economico e/o di organizzazione sanitaria”. E’ interessante osservare che il metodo RAND, dopo aver registrato la variabilità, non stabiliva rigidi confini tra “normalità” e “patologia” di tipo statistico, ad esempio indicando percentuali di scarto ammesso rispetto alle medie. Per ridurre la variabilità proponeva scenari clinici di riferimento, in base ai quali valutare la necessità o meno delle procedure nei singoli casi pratici, a prescindere da parametri di spesa, motivazioni economico-finanziarie od organizzative. In sostanza l’appropriatezza è un giudizio ad personam secondo la formula “la prescrizione di un accertamento o di un farmaco al paziente giusto, nei modi e nei tempi giusti evitando l’over-use e l’under-use”.

lunedì 10 novembre 2025

Farmaci, quale appropriatezza prescrittiva?

Periodicamente le cronache sanitarie informano di iniziative locali contro MMG accusati di iperprescrizione inappropriata di farmaci, per lo scostamento della spesa individuale rispetto alle medie statistiche della zona. La valutazione dell’appropriatezza/inappropriatezza è formulabile in alcuni quesiti pratici, sui quali a mio avviso si dovrebbe fare chiarezza con una sorta di consenus conference tra gli stakholder coinvolti:

  •       Con quali strumenti individuare le deviazioni statistiche dalla media, che indicano in modo attendibile un eccesso inappropriato e difensivo di  farmaci o di accertamenti?
  •       Qual è la soglia tra variabilità accettabile e indesiderate e a quali attori dovrebbe essere “imputata” la devianza dalla “normalità)?
  •        Con quali strumenti e interventi si può ricondurre la devianza “patologica” entro la variabilità fisiologica? 

lunedì 13 ottobre 2025

Sovraffollamento del PS: è "colpa" del territorio?

Il controverso tema del sovraffollamento del PS è sempre sotto i riflettori dei media e dell’opinione pubblica, con analisi che sottolineano le presunte responsabilità del “territorio” nella genesi del fenomeno, in modo spesso semplificato.

Dipende cosa si intende per "territorio", che comprende una rete articolata di forme organizzative e professionisti dell'Assistenza Primaria (AP): MMG singoli, in gruppo monoprofessionale, in AFT, in UCCP, medici di Continuità Assistenziale, dei CAU e in futuro operatori sanitari nelle CdC multiprofessionali Hub&Spoke (medici dell’AP del ruolo unico).

sabato 4 ottobre 2025

ITALIA NOSTRA. Conferenza "Città in salute", Brescia 15 ottobre 2025

PRESENTAZIONE

Gli esperti nel campo della salute pubblica e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) concordano sul fatto che lo stato di salute di un individuo e di una popolazione sia influenzato da una combinazione di fattori, noti come determinanti della salute.

Secondo diverse stime e modelli, le percentuali attribuite ai vari determinanti possono variare leggermente, ma evidenziano in modo consistente il ruolo predominante dei fattori non medici.

Una ripartizione comune delle percentuali di impatto sui risultati di salute (esclusi i fattori genetici) è approssimativamente la seguente:

Determinanti Sociali ed Economici (Fattori Socioeconomici e Ambientali): 40-50%

  • Includono condizioni di vita e di lavoro, reddito, livello di istruzione, alloggio, accesso a cibo sano, e ambiente fisico (aria, acqua pulita).
  • L'OMS stima che i determinanti sociali della salute siano responsabili del 30-55% degli esiti sanitari.

In studi che considerano solo i fattori modificabili e ignorano la genetica, i fattori non medici (comportamento individuale e ambiente) rappresentano l'80-90% della salute di una persona.

Comportamenti Individuali legati alla Salute (Stili di Vita): 30-40%

  • Comprendono dieta, attività fisica, fumo, uso di alcol e altre scelte personali.

Genetica e Biologia Umana: 10-30%

  • Include il patrimonio genetico, l'età e il sesso. Alcune stime attribuiscono circa il 30% alla genetica.

Accesso e Qualità dell'Assistenza Sanitaria (Sistema Sanitario): 10-20%

  • Si riferisce ai servizi medici e all'assistenza clinica. Il consenso è che l'assistenza medica da sola incida solo per il 10-20% sui risultati di salute di una popolazione.

In sintesi, le stime più recenti e accreditate indicano che i fattori sociali, economici e comportamentali (i determinanti non medici della salute) incidono in modo preponderante, per l'80-90% o più, sulla salute di una persona.

L’influenza delle condizioni ambientali sulla salute e sulle malattie acute infettive è stata al centro dell’igiene pubblica e ambientale da quando i dati della ricerca hanno dimostrato il nesso tra le scadenti condizioni di vita e lavoro della popolazione ed alcune epidemie del passato; alla metà del secolo scorso il concetto di salute come assenza di malattia è stato sostituito dalla definizione dei salute dell’OMS del 1948 come stato di completo benessere psichico, fisico e sociale.

Con la prevalenza della Malattie Cronico-Degenerative, in sostituzione di quelle acute infettive, si è riproposto con numerose evidenze epidemiologiche il nesso tra fattori di rischio, malattie croniche e condizioni di vita e ambientali, a partire dall’influenza delle disuguaglianze socioeconomiche sulla mortalità.

Le patologie croniche non trasmissibili prevalenti nelle società industriali sono responsabili dell'86% delle morti e del 77% delle malattie in Europa. La Sedentarietà è la quarta causa di morte a cui si abbinano spesso stili di vita e abitudini alimentari scorrette e riduzione dell’attività fisica all’aria aperta, che contribuiscono al prevalere delle malattie croniche non trasmissibili, come obesità, diabete e malattie cardio-respiratorie.

In questo contesto si inserisce l’obiettivo dell’Urban One Health di promuovere un modello olistico di pianificazione urbana in cui, integrando discipline diverse – dall’architettura alla medicina, dall’ingegneria alla biologia – venga tutelata la salute di singoli e delle comunità nei contesti urbani, tenendo conto delle interconnessioni fra uomo ed ecosistema che condizionano la qualità della vita e la salute.

Entro il 2050 buon parte della popolazione mondiale vivrà grandi in centri urbani e in megalopoli. Nel 2015 le Nazioni Unite avevano inserito fra i 17 obiettivi dello Sviluppo Sostenibile quello di rendere le città inclusive, sicure e sostenibili, non solo per la dotazione di servizi sanitari ma anche per l’assetto urbanistico, i trasporti, il contesto occupazionale, la sostenibilità ambientale e i servizi di prossimità.

L'aspettativa di vita media è influenzata dalle condizioni socio-economiche, abitative, ambientali e culturali, man mano che ci si allontana dal centro città, con una differenza di alcuni anni in meno nelle zone periferiche.

Inoltre le aree metropolitane contribuiscono per il 70% alle emissioni globali di carbonio e all’inquinamento dell’aria, soprattutto nei centri urbani densamente abitati: le condizioni ambientali, climatiche, abitative, sociali delle città si riflettono sulla salute di chi vi vive, ma anche sul benessere di animali, piante ed ecosistemi.

Per questi motivi l’OMS promuove la creazione di aree verdi di prossimità: se ogni cittadino europeo potesse disporre di 5.000 mq di verde a 300 metri dalla propria abitazione si potrebbero evitare 43.000 decessi prematuri all’anno, grazie alla riduzione dell’inquinamento atmosferico e all’azione ambientale raffrescante. Si calcola che se parchi, giardini e zone erbose arrivassero a coprire il 40% della superficie urbana si potrebbe ottenere una riduzione significativa della temperatura al suolo.

Numerosi studi hanno dimostrato i benefici delle aree verdi sul benessere psico-fisico, sulla salute cognitiva e psichica dei bambini e degli adolescenti, sul decorso di numerose condizioni come la gravidanza, l’obesità, le malattie metaboliche e cardiovascolari, soprattutto in rapporto all’attività fisica favorita dai parchi pubblici.

La diffusione delle aree verdi gioca un ruolo chiave in relazione a diversi aspetti della Urban One Health, che il convegno promosso da Italia Nostra intende approfondire, in particolare circa

  •     il contributo alla mitigazione del riscaldamento climatico e dell’inquinamento ambientale;
  •      la pianificazione urbanistica, con la tipologia, diffusione e la corretta manutenzione delle aree verdi;
  •       il contributo alla salute pubblica, al benessere psicologico e sociale e alla prevenzione di fattori di rischio per le malattie croniche.

Per approfondire:

venerdì 3 ottobre 2025

I modelli esplicativi dell'antropologia medica

  Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

Disponibile su Amazon in formato cartaceo ed e-book, pag, 198

La dimensione antropologica: una nuova prospettiva sulla diversità dei modelli esplicativi

 L’antropologia medica con il concetto di modello esplicativo (ME) propone una chiave di lettura utile anche per la cronicità. Prima però conviene introdurre una definizione di cultura spendibile nel contesto sanitario per favorire una competenza professionale anche in questo settore, che non si riduca all’incontro con culture “esotiche”, di cui sono portatori le popolazioni immigrate. 

Con il termine cultura non si deve intendere solo la produzione di opere letterarie, poetiche, saggistiche, filosofiche, scientifiche, musicali, artistiche di carattere accademico “alto”.

 La cultura può riguardare tanto ciò che diamo per scontato e non sottoponiamo a giudizio critico – cioè che presumiamo sia universale – quanto ciò che comprendiamo della diversità sociale. Pertanto proponiamo la seguente definizione di cultura: l’insieme delle conoscenze condivise, implicite ed esplicite, che vanno a costituire convenzioni e pratiche, ma anche le idee, i simboli e gli artefatti concreti che sostengono tali convenzioni e pratiche, rendendole significative.[1]

giovedì 2 ottobre 2025

Medicina evoluzionistica e malattie croniche

 Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

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Capitolo 6 . Medicina evoluzionistica, mismatch e cronicità

 Secondo l'approccio darwiniano la salute e la patologia assumono significati diversi rispetto al pensiero medico tradizionale quando sono collocati in una prospettiva evoluzionistica. Le condizioni di salute e di malattia non dipendono solo da agenti causali prossimali diretti, che alterano gli equilibri fisiologici, ovvero da fattori immediati come nel modello esplicativo della teoria dei germi

Oltre alle risposte fisiopatologiche prossime, innescate da perturbazioni ambientali, esistono cause remore che si manifestano in modo disadattativo al tempo presente in quanto il frutto di adattamenti remoti.

Ad esempio per la medicina evoluzionistica i sintomi delle patologie acute infettive, tipiche dell’ambiente di vita delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori, hanno una funzione adattativa per rispondere efficacemente all’egente eziologico, in quanto frutto della selezione naturale per migliorare la sopravvivenza della specie.

Cronicità e valutazione del rischio

 Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’

Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria 

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Capitolo 6 . Cronicità e valutazione del rischio

 La cronicità ha rotto schemi interpretativi diffusi, ha rimescolato le carte rispetto a modelli di causalità consolidati, inducendo dissonanze cognitive, culturali e socio-relazionali a cui la medicina non ha ancora dato una risposta gestionale ben definita. Queste differenze hanno importanti conseguenze sull’identità professionale dei medici, sui bisogni e sulle aspettative dei pazienti, sulle concezioni e sulle valutazioni di entrambi circa la natura e le cause delle malattie, la qualità dell’assistenza e gli obiettivi delle cure farmacologiche.

domenica 21 settembre 2025

Street level Bureaucrat, una nuova prospettiva analitica per la medicina territoriale

Organizzazione Sanitaria, N. 3/2025, p. 9-18 - Introduzione

La burocrazia non gode di buona fama, specie quando viene declinata nel contesto medico-sanitario. Se ne lamentano i pazienti, che vedono nei medici degli anonimi passa-carte o degli erogatori di prestazioni standardizzate, ma non sono da meno gli operatori sanitari, che si sentono sminuiti e professionalmente depauperati dall’ingerenza di procedure burocratiche onnipresenti che li distolgono dai compiti clinici e dai doveri etico-deontologici.

 

lunedì 15 settembre 2025

Approccio diagnostico e giurisdizione professionale

Nelle ultime settimane estive si è sviluppata una polemica tra generalisti e specialisti sulla competenza esclusiva, con il confronto tra dermatologi e sindadacalisti della MG sulla proposta di utilizzare i fondi già stanziati per dotare gli studi di medici di dermatoscopi, in modo da  consentire ai generalisti di effettuare un primo livello di valutazione e alleggerire le liste d’attesa.