domenica 13 settembre 2020

Evoluzione epidemiologica e diagnosi di Covid19

Rispetto alla tempesta di marzo il contesto pandemico è cambiato in modo significativo, tanto da poter distinguere tre fasi epidemiologiche e cliniche.

1-La prima è stata caratterizzata dalla scoperta della poliedricità clinica del coronavirus. Le diagnosi sul territorio, dopo le incertezze delle due settimane a cavallo di febbraio e marzo per via della sovrapposizione con l'influenza in fase declinante, sono state poste nei casi non gravi in base alla sensibilità clinica, migliorata via via dopo i primi casi in cui il Covid-19 si era confuso con la sindrome influenzale. In realtà non avendo la possibilità di eseguire il tampone di conferma le denunce, quando sono state fatte, sono rimaste a livello di sospetto, ma vista l'alta incidenza, perlomeno in Lombardia, erano comunque molto probabilmente casi di Covid-19. 

Quindi in un contesto di pandemia a sviluppo esponenziale l'euristica della disponibilità, dopo l'iniziale incertezza, è entrata in gioco anche nei casi in cui in realtà si trattava di altra virosi; tuttavia in quella fase la sovradiagnosi di Covid-19 non ha prodotto effetti negativi per "eccessiva" ed automatica evocabilità dell'ipotesi di Covid-19. L'altra euristica più "gettonata" nel processo diagnostico in sinergia con la disponibilità, perlomeno sul territorio, vale a dire dalla rappresentatività (o tipicità) è stata di aiuto soprattutto di fronte ai casi più gravi che hanno richiesto l'ospedalizzazione.

2-Via via che la pandemia da maggio ha declinato come numero di nuovi casi, la probabilità a priori di incappare in un Covid-19 è diminuita ma la sospettosità verso ogni nuovo disturbo è rimasta alta, anche perchè nel frattempo erano stati modificati i criteri diagnostici. Tuttavia l'euristica della rappresentatività o del prototipo, non è venuta in aiuto per confermare le ipotesi di Covid-19 meno gravi. Solo due quadri hanno permesso l'incremento bayesiano delle probabilità a priori fino alla conferma dell'ipotesi di Covid-19. La specificità della clinica è venuta a supporto dei medici pratici ai due estremi del continuum di gravità delimitato, da un lato, dall'innocua e fastidiosa anosmia/ageusia e, dall'altro, dalla grave polmonite interstiziale bilaterale con ipossia e coinvolgimento sistemico.  Nella parte centrale dello spettro ha prevalso l'incertezza diagnostica per l'aspecificità della sindrome influenzale e gastroenterica.

Per fortuna la possibilità di prescrivere il tampone sul territorio ha consentito di confermare ma soprattutto di smentire l'infezione da SarsCov-2 in molti casi di virosi respiratoria, febbre isolata, diarrea acuta etc.. Si sono moltiplicate quindi le richieste di tampone che hanno fortunatamente dato esito negativo, fino ad arrivare alla percentuale dell'1-2 di positivi sugli 60-100 mila tamponi quotidiani. Per giunta oltre il 60% dei positivi al tampone era composto da soggetti asintomatici sottoposti a screening per diversi motivi (dagli accessi al PS agli screening tra gli operatori sanitari o i positivi alla sieologia). Questa fase è iniziata a maggio, con una media di 200-300 casi/die, ed è terminata a metà agosto.

3-Con il ferragosto la pandemia ha ripreso vigore, sull'onda delle vacanze e della riapertura di discoteche e luoghi di assembramento sociale, e in due settimane i casi giornalieri sono schizzati stabilmente sopra i 1000-1500 al dì con corollario di nuovi ricoveri, passaggi i terapia intensive, ma per ora con pochi decessi rispetto a marzo. Quindi da settembre ogni minimo sintomo, a livello delle vie aree ma anche intestinali, evoca in automatico l'ipotesi di Covid-19 con tutte le conseguenze del caso: denuncia di sospetto Covid-19, tampone e isolamento in attesa dell'esito del test, quarantena per i contatti familiari, ricostruzione della rete di contatti stretti etc.. 

Ad aggravare la situazione è arrivato il protocollo ministeriale per la gestione del rientro a scuola che ha ampliato a dismisura disturbi sospetti, aggiungendo rinorrea, cefalea e dolori muscolari ai sintomi già codificati. Con il risultato di annullare qualsiasi gestione clinica dei sintomi, nel senso che prevale di gran lunga l'euristica della disponibilità rispetto a quella della rappresentatività, che ha come conseguenza la necessità di eseguire il tampone quanto più precocemente possibile per dirimere il dubbio diagnostico tra sindrome influenzale e sintomi respiratori da Covid-19, che la clinica non può sciogliere. 

Resta ai genitori solo un margine di tre giorni di osservazione a domicilio, qual ora lo scolaro abbia accusato sintomi durante l'orario scolastico, prima del possibile rientro auto-certificato, ma c'è da scommettere che ben pochi genitori posticiperanno il contatto con il pediatria, il quale a sua volta prescriverà giocoforza e il tampone a tutti i sospetti.  Facile immaginare il caos generato da questo modello di gestione a scuola, in famiglia ed in azienda nei mesi autunnali, in cui prevalgono i virus respiratori minori non coperti dalla vaccinazione influenzale, e in quelli invernali con l'arrivo della vera e propria influenza. Per i pediatri sarà un autunno-inverno in prima linea e senza tregua, per non parlare dei laboratori di analisi.

Eppure una via d'uscita ci sarebbe se fossero disponibili test diagnostici rapidi di ultima generazione per l'individuazione precoce dei veri casi Covid-19, dalla massa dei "falsi" casi positivi, evitando la denuncia di sospetto contagio per riservarla solo ai veri positivi accertati. In caso contrario, ovvero se dovessero partire in automatico tutte le denunce per ogni minimo sintomo assieme alle procedure previste per ogni sospetto, la paralisi dei servizi di igiene e prevenzione e dell'intero sistema sarà assicurata e inevitabile, a causa dell'annullamento della dimensione clinica e dell'allarme sociale provocato dalla ripresa di quella che appare ormai un'endemia più che una pandemia

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