martedì 11 luglio 2023

Risposta all'articolo di Cohen su Domani

L’articolo di Daniele Cohen sul quaotidiano Domani della scorsa settimana, circa la proposta di specializzazione e di passaggio alla dipendenza dei medici convenzionatio, propone un’analisi parziale del profilo professionale del MMG (si veda il PS). La MG da sempre viaggia su un doppio binario: da un lato quello delle situazioni acute a basso rischio, prevalentemente infettive, e dell’altro fronteggia i rischi e le patologie croniche via via prevalenti. Negli ultimi 2 decenni i binari si sono progressivamente divaricati e l’organizzazione si è dovuta adattare alla ben nota transizione epidemiologica in atto da mezzo secolo. 

Se si osserva la MG con la chiave di lettura dell’organizzazione tecnologica e specialistica ospedaliera, che nel frattempo si è instradata con pari decisione sul binario della gestione delle condizioni acute con la parziale eccezione della specialistica ambulatoriale, si rischia di fraintendere la mission della medicina territoriale. Che è quella di farsi carico prioritariamente della gestione territoriale della cronicità, dove può giocare due atout correlati al particolare setting spazio-temporale: una continuità assistenziale lungo tutto l’arco biologico, premessa per la personalizzazione delle cure tanto enfatizzata, e una contiguità spaziale e relazionale con il mondo sociale e della vita quotidiana, composto da quel 1/3 di assistiti affetti da una o più condizioni croniche di rischio o patologia conclamata, fino all’invalidità, alla fragilità e alla non autosufficienza.

Il MMG fa storicamente riferimento alla relazione con l'assistito/cliente ma di fatto in realtà cura, ad insaputa del paziente e anche in modo inconsapevole, il rischio nella sua coorte di diabetici, ipertesi, dislipidemici. Per questo motivo alla valutazione del controllo individuale dei fattori di rischio va affiancata anche quella di popolazione, nel senso della verifica della qualità dei processi ed esiti tramite peer audit, basati su indicatori semplici ed accessibili come quelli dei PDTA. Il raggiungimento dei target individuali e degli standard di popolazione dovrà essere adeguatamente remunerato, in una logica di pay for performance, coniugata con benchmarking di gruppo e accountability individuale.

Questo disegno, al contempo strategico e identitario, si può reggere su due pilatri: uno culturale e antropologico, cioè  la comunità di apprendimento e pratica, e l’altro manageriale, ovvero il cosiddetto professionalismo organizzativo, che sposta il baricentro del professionalismo classico dalla relazione con il cliente alla gestione clinica condivisa (PDTA) e all’autovalutazione dei processi e degli esiti (peer audit) nella popolazione cronica target.

E’ vero che ai pazienti interessa poco se il MMG è un dipendente o un convenzionato, ma interessa molto che sia una persona di riferimento stabile a cui affidarsi per affrontare, impostare e possibilmente risolvere o gestire al meglio i propri problemi cronici, e non un anonimo professionista che cambia in continuazione per via dei turni o per via di un eccessivo turn-over del personale. In caso di un evento acuto ovviamente la turnazione, ad esempio in PS o in un reparto funzionate H24 per le urgenze, è la regola ben accetta per la situazione emergenziale contingente. Ma al di fuori di questo contesto la personalizzazione continuativa dell’assistenza, nel senso di una stabile e duratura relazione, è possibile solo in due contesti: nell’assistenza primaria a ciclo di scelta o in ambito libero-professionale, per chi si può concedere il proprio cardiologo o dermatologo.

In questa epocale transizione epidemiologica, organizzativa e sociosanitaria conta quindi il rapporto fiduciario di libera scelta soprattutto per garantire esiti sul lungo periodo e nella dimensione di popolazione, anche se la relazione con gli assistiti cronici rimane ancorata a quella interindividuale. Ne consegue che il tempo di cura della cronicità non ha bisogno della stessa intensità e tempestività della gestione dell’evento acuto o pseudo-tale, nell’incontro ambulatoriale vis a vis, ma può tranquillamente essere diluito in incontri sul medio periodo e disarticolato in modalità in presenza e a distanza di varia tipologia. 

Il rapporto fiduciario è invece sottoposto a tensioni quando si tratta di affrontare problemi emergenti, che richiedono un approccio tecno-specialistico e favoriscono il by-pass della MG grazie alla diffusione delle informazioni sul Web a beneficio dell’ampia offerta del mercato sanitario privato, venato di tendenze difensive e di auto-induzione della domanda che spiazza il ruolo dell’assistenza primaria. Chi non ricorda la celegre analisi del Ministro Giogetti del 2019, sul ruolo residuale del MMG, alla vigilia della pandemia?

Il Covid-19 ha drammaticamente riavvicinato i due binari, che si erano divarivati, con un impatto ambiguo sul contesto sociosanitario territoriale: 

  • da un lato ha messo in crisi questo modello riportando in primo piano la gestione dell’evento acuto infettivo, ma carico di grandi rischi nelle prime ondate del 2020 sia per gli assistiti sia per i medici del territorio, abbandonati a se stessi dalle politiche ospedalocentriche specie lombarde; 
  • dall'altro contemporaneamente proprio per sventare i rischi si è imposta la rigida programmazione degli accessi accelerando l’evoluzione verso un organizzazione ambulatoriale esclusivamente su appuntamento, funzionale alla gestione della cronicità a prezzo del venir meno della varietà delle risposte clinico-assistenziali, con contraccolpi sul sistema dell’emergenza. 

Ora si tratterebbe di tornare alla fisiologia normalità della gestione pre-pandemica, con un recupero della diversificazione/ridondanza dell’offerta ambulatoriale favorita dalla ristrutturazione della rete sociosanitaria del PNRR e dalla diffusione della telemdicina, ad esempio alternando accesso libero e programmato funzionale allo smaltimaneto del carico burocratico e soprattutto della patologia minore, riducendo i tempi d'attesa della prenotazione in molti casi diventati patologici.

La rete territoriale può essere gestita solo da una governance che coinvolga gli attori interconnessi al network territoriale, composto da professionisti di diversa estrazione, cultura, forma giuridica di lavoro, comunità di riferimento, istituzione etc. e da soggetti non professionali. Il passaggio alla dipendenza farebbe regredire la gestione ad una forma di government gerarchia, top down, verticale e istruttiva poco adatta al contesto turbolento della rete territoriale orizzontale e sostanzialmente agerarchica. Al contrario il contesto più adatto a supportare l’operazione di evoluzione professionale e autocontrollo della qualità è quello della New Public Governance, di tipo Interactive o Self Governance, che ha superato l'impostazione economicistica del Ner Public Management. 

L'emergenza pandemica ha portato in primo piano iniziative di Governance su due piani: quello della collaborazione tra enti pubblici e privati sanitari e non nel fronteggiare la pandemia, in molti casi sollecitata e promossa dagli Ordini provinciali dei medici, e quello della gestione comunitaria e coordinata della medicina territoriale con l'attivazione della AFT - embrione della comunità di pratica e del professionalismo organizzativo - a quasi 10 anni dal varo della Balduzzi e per altrettanto tempo ignorate dalle politiche ospedalocentriche lombarde.

Senza contare che contemporaneamente all'ipoesi di dipendenza proliferano le forme di outsourching, dagli Infermieri di Comunità a rapporto orario ai gestonisti ospedalieri forniti dalle Cooperative per coprire i buchi di organico specie nei PS (gli unici veri libero-professionisti inseriti organicamente nella sanità pubblica, a differenz a dei convenzionati contrattualmente parasubordinati). Parltro la MG convenzionata è storicamente un esempio di esternalizzazione ante litteram, seguito poi a distanza di oltre un decennio da tante altre soluzioni analoghe nella gestione della PA, degli ospedali e della sanità territoriale.

Può la dipendenza risolvere questi nodi organizzativi sistemici, micro e macro, senza tradire la mission della MG e minare il rapporto fiduciario continuativo? Non si rischia di irrigidire l’offerta di assistenza primaria con ulteriore burocrazia, riducendo la discrezionalità necessaria per far fronte ad un’ampia varietà di bisogni, fonte di altrettanta incertezza? Si può governare una rete orizzontale di interdipendenze e di cooperazione multi-disciplinare esportando sul territotio la cultura manegeriale di matrice ospedaliera e gli strumenti dell’apparato gerarchico ?

P.S. Dopo aver rilevato la mancanza di un serio progetto, circa "scelte e programmi di investimento da far tremare le vene e i polsi, che necessiterebbero di una analisi di dati e di una previsione di spesa di cui al momento non si ha notizia" l'autore osserva:

"ll valore di un rapporto di cura fiduciario è indiscutibile, ma è lecito dubitare che questo termine illustri adeguatamente la realtà odierna. Diversi elementilasciano infatti sospettare che si tratti più di una aspirazione che di una realtà. La scelta del medico è infatti condizionata dalla (inevitabile) limitazione del numeromassimale di assistiti per singolo medico; i tempi di una visita in ambulatorio sonosempre più stretti e rendono solo virtuale la possibilità di una discussione prolungata con il proprio curante; un numero crescente di italiani 'salta" abitualmente il proprio medico per accedere direttamente agli specialisti, naturalmente a pagamento. Bisognerebbe dunque chiedersi se il modello tradizionale del medico di famiglia non sia oramai superato, o quantomeno non più realistico in una sanità pubblica proiettata verso la telemedicina e sempre più in crisi di risorse umane ed economiche".

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