giovedì 1 dicembre 2022

Casa della Comunità in un vicolo cieco?

Il sottosegretario alla Salute nell'intervento al congresso SIMG ha nuovamente ribadito le critiche allo standard delle case della Comunità che non garantiscono la prossimità e capillarita dell'assistenza sul territorio. Sono dello stesso avviso i ricercatori del Cergas Bocconi: nel rapporto OASI del 2022  sottolineano che un bacino di utenza compreso tra i 40 e i 50 mila residenti "in molti contesti periferici, rischia di essere poco compatibile con i principi di prossimità e capillarità", come in centri di dimensioni medio-grandi o centri di piccole dimensioni in aree estese e a bassa densità abitativa, con la parziale eccezione di regioni meridionali alle quali sono andate il 45% delle risorse stanziate dal PNRR a fronte del 35% di residenti. 

Insomma era evidente fin dall'estate del 2021 che un parametro rigido e unico, calato top-down in modo ragionieristico e in nome dell'omogeneità centralista, non era adeguato per territori ampiamente diversificati per condizioni geodemografiche, socioeconomiche ed orografiche, per non parlare di quelle storiche, culturali ed organizzative che configurano la cosiddetta "path dependence". 

Ma tant'è, c'è voluto un cambio di maggioranza politica per far emergere la principale criticità della Missione 6C1 del PNRR, che in precedenza non aveva sollevato obiezioni o dubbi di sorta nell'ampia maggioranza a sostegno del governo tecnico-politico precedente.  Ad eccezione di  alcune ragioni che pragmaticamente hanno corretto i limiti della programmazione centralista con risorse proprie, portando il numero delle strutture da 1350 a 1430 per ovviare ad una distribuzione inadeguata degli edifici: ad esempio la giunta lombarda ha dimezzato lo standard delle case e degli Ospedali di comunità nell'ATS della Montagna per una più razionale localizzazione sul territorio. Come è stato possibile che nessun tecnico o esperto ministeriale abbia manifestato qualche riserva e che un'improvvida scelta sia passata sotto unanime silenzio?

Ma c'è di più. I limiti di una miope impostazione centralista sone evidenti se si considera una visione di insieme dei problemi dei territori affetti da spopolamento e abbandono. Si consideri, ad esempio, l'approccio olistica One Health, ribadito dal PNRR, che si basa sull'integrazione multidisciplinare e sul riconoscimento che la salute umana, animale e dell’ecosistema siano tra loro connesse in una strategia complessiva di intervento che coinvolge i professionisti (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi etc.).

Grazie alla sinergia collaborativa tra le discipline l'approccio One Health persegue la salute globale ed affronta i bisogni delle popolazioni più vulnerabili considerando l’ampio spettro di determinanti che emergono dalle relazioni ecosistemiche. In quest'ottica non si può non considerare l'interdipendenza tra sanità territoriale, variabili demografiche, condizioni urbanistiche e tessuto socioeconomico per non parlare dei condizionamenti storico-culturale della path dependence.

Sono in sintonia con questo frame le varie iniziative per rivitalizzare territori in difficoltà o soggetti a carenze demografiche, vale a dire;

- in primo luogo la Missione 5 del PNRR che ha destinato importanti risorse alle infrastrutture sociali per il sostegno delle famiglie, dei minori, delle persone con gravi disabilità e degli anziani non autosufficienti;

-le iniziative per favorire le cosiddette “15 minutes city of”, ovvero la possibilità di usufruire dei principali servizi in un raggio urbano circoscritto e facilmente accessibile con mezzi di trasporto non motorizzati

-infine fondo a sostegno ai comuni marginali che per il triennio 2021-2023 ha stanziato 180 milioni euro per i territori a forte rischio demografico.

Le risorse del fondo sono state assegnate a 1.187 comuni, selezionati per le loro condizioni particolarmente svantaggiate, con un Indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM) elevato e con un basso reddito dei residenti. Di questi 1.101 comuni sono localizzati nel meridione, ai quali andranno oltre 171 milioni di euro (il 95,2% del totale), 52 nell'Italia centrale (per 5,5 milioni di euro) e 34 nel Nord (3,1 milioni di euro). In questo caso si è partiti dall'individuazione dal basso dei bisogni e delle criticità per una appropriata ripartizione delle risorse, e non con una indistinta distribuzione a pioggia top down come nel caso degli standard della Missione 6C1.

Non si poteva adottare lo stesso criterio per la collocazione di strutture territoriali appropriate e funzionali ai bisogni delle zone disagiate? E le risorse della Missione5, in una prospettiva One Health più ampia, non potevano essere utilizzate parzialmente per rafforzare la rete sociosanitaria? Va da sé che una configurazione hub&spoke di Case di comunità, con standard demografici aderenti alle caratteristiche locali, potrebbe migliorare sia i servizi per famiglie, minori, disabili ed anziani e non autosufficienti non autosufficienti sia attirare nuovi residenti e contrastare lo spopolamento in atto, con una sinergia virtuosa tra fondo per i comuni marginali, Missione 5 e 6 del PNRR.

Per usare il gergo degli economisti una rete territoriale flessibile e di vera prossimità potrebbe generare esternalità positive in settori diversi da quello sanitario, ovvero contrastando la crisi demografica e sociale delle aree svantaggiate. È troppo chiedere ai decisori pubblici di adottare una visione d'insieme di ispirazione sistemica, in linea con l’approccio One Health? Ma temo che ormai sia troppo tardi...

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