venerdì 19 maggio 2023

Davvero non è cambiato nulla negli ultimi 30 anni in MG (II parte)?

Leggendo l'intervento del dott. Polillo sul QS, critico verso 30 anni di immobilismo in MG, ci si potrebbe fare un'idea distorta del lavoro sul territorio. Il profilo e l'immagine pubblica del MMG oscilla tra le due code estreme della curva gaussiana: da un lato prevale quella del "mutualista" generico, passivo certificatore deprofessionalizzato, passacarte burocratico e docile impiegato esecutivo, ligio ai desiderata dei "clienti" o agli ordini dei superiori, incapace di farsi carico dei problemi degli assistiti, smistati agli specialisti. Al polo opposto dello spettro troviamo l'immagine idealizzata di un superman clinico in grado di intervenire indifferentemente, con pari efficacia e qualità professionale, in situazioni acute e croniche, tanto da insidiare gli specialisti. 

Negli ultimi 30 anni la medicina del territorio ha dovuto far fronte ad una trasformazione tanto silenziosa quanto profonda con un tasso di cambiamento per certi versi epocale, pur senza adeguati strumenti e risorse rispetto all'impegno richiesto e nell'immobilismo per il disinteresse della controparte, se non peggio. Insomma in tre decenni è cambiato il mondo e la medicina generale è riuscita miracolosamente ad adattarsi, pur con grande fatica, esiti organizzativi parziali ed incerti, nonostante l'incuria e i ritardi della gestione nazionale, come ha sottolineato la collega Mancin replicando a Polillo. Va da se che formazione, abilità e sapere pratico si devono adattare alla prevalenza ed incidenza delle patologie nel setting socio-demografico di riferimento, vale a dire la popolazione generale, ben diversa da quella selezionata afferente ai reparti ospedalieri per acuti. Vediamo in modo sommario in cosa consiste il lavoro sul territorio, sul piano qualitativo e quantitativo, riconducibile alle tre categorie dell'epidemiologia.

PREVALENZE. Il cambiamento più evidente dell'ultimo trentennio è quello epidemiologico-anagrafico, che emerge dal confronto tra le prevalenze delle principali malattie croniche, in forma singola e associate, rispetto agli anni ottanta del secolo scorso (si vedano le tabelle sulle prevalenze relative ad un campione di 27 MMG con quasi 38mila assistiti in carico): oggi oltre un terzo della popolazione adulta è affetta da una o più condizione di rischio asintomatico o patologia cardiovascolare e/o metabolica o respiratoria cronica, che richiedono interventi su diversi fronti come prevedono i relativi percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali, proliferati negli ultimi decenni assieme a linee guida, protocolli etc.... A questi capitoli si aggiunge la multiforme patologia degenerativa ortopedica e flogistica reumatologica, che ha quasi la stessa prevalenza della cronicità cardio-metabolica. Infine, ma non certo per minore importanza e impegno, c’è la variegata patologia psicosociale e psichiatrica, minore e spesso sotto-soglia rappresentata da un 10% in sala d’attesa, a cui si è aggiunta l’ultima categoria inserita nel DSM-V, il disturbo d’ansia da malattia. Per effetto della medicalizzazione e di un martellamento invito mediatico alla prevenzione negli studi medici si presentano schiere di ansiosi e sani preoccupati che vorrebbero fare ad ogni piè sospinto "tutti gli esami" possibili per scongiurare lo spettro della malattia.  

I cronici monopatologici in fase acuta - ad esempio il cardiopatico, il bronchitico o il diabetico "puro" - sono una rara eccezione rispetto al cumulo di problemi che riempie il fardello esistenziale dell'ultimo fase del ciclo biologico e psico-sociale che si conclude con la fragilità multiproblematica, il decadimento cognitivo, l'invalidità e la non autosufficienza. La gestione coordinata e continuativa della cronicità è la mission prioritaria della MG nella cornice dei PDTA e del Governo Clinico; la cronicità comporta un lavoro ambulatoriale e domiciliare imponente - fatto di inquadramento diagnostico, monitoraggio e verifica delle terapie, follow-up periodici, registrazione dei parametri bio-clinici, educazione sanitaria e terapeutica, rivalutazione del percorso, coordinamento degli interventi e verifica degli indicatori di processo/esito individuali e di popolazione, relazioni con care-giver, case manager ed altri operatori sanitari etc.. Si tratta di compiti sociosanitari ed assistenziali svolti con impegno ed altrettante difficoltà pratiche, nonostante una soffocante burocrazia, ma praticamente sconosciuti nel secolo scorso e meno eclatanti degli interventi diagnostici e terapeutici salva-vita per eventi acuti.

INCIDENZE. A questi compiti già di per sé gravosi si aggiunge l'incidenza delle stesse condizioni croniche e soprattutto di quelle acute di minore impatto clinico ma di non minore impegno organizzativo e professionale, che devono essere gestite sul piano diagnostico-terapeutico sul territorio, a partire delle virosi respiratorie e da quelle gastroenteriche stagionali. Se i nuovi casi di diabete, tumore o di IMA restano entro la dozzina all'anno, nelle stagioni invernali hanno la stessa incidenza quotidiana le sindromi influenzali, per non parlare dell'orribile biennio del Covid-19. Ad esempio nella stagione autunno-inverno 2022-2023 le sindromi influenzali hanno fatto segnare il record assoluto di casi, con quasi 14milioni di infezioni (esattamente 13.963.000), vale a dire più del doppio dell'anno prima, ferma a 6,5 milioni, superando il precedente primato di quasi 8,7 milioni di malati registrato nella stagione 2017-2018. Una mole imponente di lavoro sopportata per il 95% dalla medicina del territorio, ma che è certamente meno eclatante di una brillante diagnosi di IMA o di aritmia ipercinetica. Ben venga quindi il contributo di farmacisti ed infermieri per attenuare l'impetto delle patologie minori sul MMG

PREVALENZA LIFE TIME. L'ultimo capitolo è quello delle forme a carattere acuto o  ricorrente che prima o poi succedono un po' a tutti nella nella vita e che riguardano soprattutto l'universo femminile, dalla cefalea all'anemia sideropenica, dai traumatismi minori alle patologie venose, dai disturbi gastroenterici stagionali a quelli infettivi ORL, dalle allergie alle calcolosi, dalle dermatiti alle punture d'insetto, dai disturbi della sfera genitale alla gravidanza/menopausa, dalle infezioni batteriche del cavo orale a quelle cutanee, dalle patologie tiroidee alle neoplasie benigne, dalla lombalgia alle sindromi vertiginose, dalle emorroidi all'herpes etc.. La maggior parte di queste patologie non giunge in corsia, è poco frequentata dalla formazione curricolare e resta confinata sul territorio dove avviene l'iniziale inquadramento diagnostico, la prima valutazione e l'impostazione terapeutica.  

La terra di nessuno. Ma c’è di più: nell’epoca della medicina mutualistica era praticamente sconosciuta una fetta non meno rilevante di condizioni croniche da fronteggiare sul territorio, vale a dire la zona grigia ed incerta dei MUS che si annidano in ogni organo ed apparato a partire dalla galassia dei distubi funzionali. A dire il vero anche oggi questo acronimo è praticamente ignorato dalla formazione universitaria e specialistica, tranne rari casi tra i quali spicca per completezza e approfondimento il libro di Renato Rossi. Eppure riguarda quasi il 20% delle consultazioni ambulatoriali, di cui costituisce la parte sommersa e non percepita dagli stessi medici che, a loro insaputa, se ne devono occupare. Lascio alla curiosità del lettore la scoperta del significato del misterioso acronimo.

Ebbene secondo Polillo, oltre a farsi carico di questa sfaccettata e poliedrica mole di condizioni acute, croniche e ricorrenti, da gestire con professionalità e competenza nonostante una burocrazia opprimente e con scarse risorse, il MMG "medio" dovrebbe affrontare emergenze mediche di vario genere, in studio o a domicilio assumendosi notevoli rischi. Polillo ripropone quell'identita' professionale centrata sulla risoluzione di eventi acuti che l'emergere della cronicità ha messo in crisi giusto trent'anni or sono; si deve al ginevrino prof. Assal la lucida tematizzazione delle differenze e delle difficoltà, prima di tutto culturali ma anche relazionali ed identitarie, che i medici devono superare per aiutare con l'educazione terapeutica il malato cronico ad autogestire in modo efficace la sua nuova condizione (empowerment).  

In sostanza lo studio del MMG si dovrebbe trasformare in una piccola corsia ospedaliera e in un mini PS, mentre in quello vero i codici minori vengono sottoposti ad accertamenti e visite specialistiche nei 4/5 dei casi, mentre la medicina difensiva libero-professionale imperversa riversandosi sull’ultimo anello della catena prescrittiva, mentre anche in ospedale prevale la delega alle iper-specializzazioni, mentre da due anni il MMG è sottoposto ad una reiterata squalifica professionale mediatica, mentre tensioni con pazienti pretenziosi ed esigenti sfociano spesso in minacce o vere aggressioni e mentre le zone carenti restano tali per anni, a causa di una profonda crisi vocazionale. Quello che sfugge a Polillo è la differenza tra le pratiche, l'epidemiologia e il contesto organizzativo ospedaliero e il setting socio-sanitario di cui fa parte la medicina territoriale, con la mission propritaria di gestire la cronicità, in modo integrato, personalizzato e con la massima continuità, grazie alla sua collocazione spazio-temporale e alla specificità bio-psico-sociale e culturale.

Per giunta il contesto organizzativo e normativo territoriale non si è adeguato a questo cambiamento clinico-epidemiologico ed antropologico epocale, essendo fermo da oltre dieci anni per il disinteresse della controparte che, dopo aver approvato una riforma come la Balduzzi, l’ha relegata in un cassetto, per non parlare della latitanza nel rinnovo degli ACN che dura ormali da 15 anni. Difficile imputare al presunto corporativismo della categoria ritardi di questa portata che hanno bloccato l’evoluzione organizzativa e professionale: la logica contro-fattuale ci viene in aiuto suggerendo di immaginare come sarebbe oggi la medicina del territorio se un progetto come il PNRR fosse stato realizzato contestualmente all’applicazione della Balduzzi. Invece è passato un decennio per il disinteresse e l’incuria della parte pubblica che in certi casi si è convertito in tentativi di smantellamento della medicina territoriale, camuffato dalla piaggeria retorica sul ruolo centrale. 

Come ha osservato il sociologo sanitario Bertin secondo alcuni la formula per migliorare l'assistenza primaria resta sempre la “colonizzazione del territorio con la stessa cultura di governo utilizzata nella gestione dei sistemi ospedalieri”. Al contrario il presupposto per “integrare un sapere specialistico con uno di tipo olistico che considera le persone nella loro globalità” sta nella "legittimazione reciproca tra professionisti dell’area specialistica e della rete delle cure primarie", senza la quale non verrà riconosciuta la specificità della medicina generale. 

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