Il
professore ginevrino Philippe Assal da decenni si occupa in modo pionieristico di malati e condizioni croniche, in particolare diabetici. Il suo modello culturale e gestionale è un
riferimento per tutti gli operatori sanitari ed è stato fatto proprio dall’OMS.
La
sua tesi di fondo è semplice e chiara: l'approccio alla malattia cronica
rappresenta per tutti gli operatori sanitari una sfida epocale che obbliga a
venire in contatto e ad interessarsi di vari sistemi di pensiero e di azione,
oltre a quello biomedico tradizionale, vale a dire la sfera educativa e
psicosociale per un nuovo approccio organizzativo alle cure. Nell’arco di pochi
decenni, grazie alla scoperta e all’uso clinico dell’insulina negli anni trenta
del 900, il destino di questi malati è cambiato quasi “miracolosamente”: da una
vita segnata da stenti e non di rado dall’exitus in giovane età, ad una lunga
sopravvivenza in buone condizioni, seppur a prezzo di cure e controlli assidui
e con il rischio di complicazioni tardive.
Il punto di
partenza del modello di educazione terapeutica di Assal è la differenza tra
condizione acuta e cronicità. Infatti nella
malattia acuta
°segni e sintomi sono evidenti e si manifestano in modo più o meno repentino;
°bisogna formulare urgentemente una diagnosi rapida e dare inizio al trattamento terapeutico
°la crisi costituisce un momento critico, talvolta a rischio della vita, e si conclude con la restitutio ad integrum
°l’approccio è di tipo riduzionista, si presta attenzione solo all’essenziale
°il processo diagnostico-terapeutico è il modello di riferimento della formazione medica
°rappresenta meno del 10% dell’insieme delle visite del medico.
°bisogna formulare urgentemente una diagnosi rapida e dare inizio al trattamento terapeutico
°la crisi costituisce un momento critico, talvolta a rischio della vita, e si conclude con la restitutio ad integrum
°l’approccio è di tipo riduzionista, si presta attenzione solo all’essenziale
°il processo diagnostico-terapeutico è il modello di riferimento della formazione medica
°rappresenta meno del 10% dell’insieme delle visite del medico.
Nella
malattia cronica invece
- la
guarigione e/o la restitutio ad integrum di regola non è possibile
- mancano
sintomi evidenti e spesso il decorso resta silente per anni al di fuori
delle riacutizzazioni o delle crisi
- se
sono presenti dolori, questi tendono a persistere o a recidivare
- spesso
non vi è correlazione tra sintomi soggettivi e parametri biologici
- l’evoluzione
clinica resta incerta sul lungo periodo
- può
dipendere ed essere influenzata dallo stile di vita
Queste
differenze hanno importanti conseguenze sull’identità professionale dei medici,
sulle aspettative dei pazienti, sulle concezioni e sulle valutazioni di
entrambi circa la natura della malattia, la qualità dell’assistenza e gli
obiettivi delle cure. Oggi grazie a nuovi modelli di formazione degli operatori
e all'educazione dei pazienti l’arsenale terapeutico si è arricchito di un nuovo
approccio che consente di migliorare il compenso metabolico, ridurre
l’incidenza delle complicanze acute e croniche più gravi del diabete. Tuttavia
per raggiungere questi risultati è necessario un coinvolgimento e un elevato
grado di interazione tra medico e assistito (ad esempio i contatti telefonici
sono frequenti) in un contesto organizzativo-gestionale di tipo quasi militare.
Secondo
Assal il cambiamento necessario per seguire i malati cronici è cruciale e
comporta una nuova attenzione, da parte degli operatori sanitari, per la
persona, le sue idee, la famiglia e l'ambiente sociale. Ognuno di questi
livelli sistemici, oltre a quello biologico vero e proprio, ha influenza sul
decorso della malattia cronica e deve essere preso in attenta considerazione.
Occorre un salto di qualità culturale per passare dal mondo biologico (i
processi metabolici implicati nella malattia diabetica) a quello psicosociale
(il malato nella sua interezza “ecologica”).
In
tutti i paesi e nelle diverse realtà culturali i malati cronici hanno in comune
il senso di solitudine per la loro malattia.
I bisogni dei pazienti affetti da una patologia cronica sono ormai noti:
ü ricevere cure
di qualità
ü avere la
possibilità di manifestare attese e timori
ü confidare che
i curanti tengano conto delle opinioni e delle credenze della gente
ü essere
aiutati nel processo di adattamento alla malattia
ü acquisire un
saper fare per gestire la malattia in modo da
ü conservare
l’autonomia potendo nel contempo collaborare con i curanti.
Di
conseguenza la relazione tra medico e assistito deve evolvere verso nuove forme
che contemplino
ü la
condivisione del sapere e del potere in un modello di rapporto in cui l'operatore
accetti di essere "guidato" dal paziente
ü il superamento
del riferimento teorico-pratico alle cure intensive che evoca un medico attivo
e un paziente passivo recettore delle prescrizioni
ü un
accordo-compromesso tra logica biomedica e credenze-logiche dell'assistito
ü una nuova
sensibilità per i problemi psicosociale e per il mondo della vita dei malati.
Strategie
e tecniche di apprendimento, messe in atto nel corso del processo di educazione
terapeutica, sono ispirate a queste stessi principi programmatiche. Ad esempio il medico deve assecondare i desideri del diabetico, anche
se non si può rinunciare all’obiettivo pedagogico per eccellenza, ovvero l’evoluzione
delle idee preconcette sulla malattia e il tentativo di integrare le nuove
conoscenze con le abitudini di vita.
Assal
ha sottolinea che le abilità pratiche acquisite dai pz sono il prodotto di
turbamenti personali che richiedono l’elaborazione di nuovi significati. A
livello personale ogni malato è uno scienziato che sperimenta la validità dei
consigli e delle prescrizioni del medico, ad esempio sospendendo il farmaco per
verificarne l'efficacia. Così in certi casi la non-compliance è un processo
quasi scientifico di validazione delle cure. La reazione del medico a questi
esperimenti deve prendere in considerazione un franco confronto tra credenze
del pz. e sapere medico ufficiale.
Per
facilitare l'apprendimento è necessaria empatia, un'atmosfera positiva e
talvolta un pizzico di spirito umoristico non guasta. E’ dimostrato che
l'educazione terapeutica riduce le complicanze acute e croniche, le
ospedalizzazioni, i costi diretti e indiretti e migliora la qualità di vita
della gente. Per raggiungere questi obiettivi si richiede una formazione
terapeutica sistematica che superi la frammentarietà di una gestione orientata
ad affrontare solo gli aspetti particolari ed episodici della malattia.
Purtroppo
però nell’attuale organizzazione sanitaria gli specialistici che interagiscono
con il diabetico non sono in grado di comunicare tra loro. L’approccio
biomedico trascura una dimensione molto importante dell’esperienza di malattia:
le idee, le credenze, le attese e i pregiudizi del malato che deve essere
aiutato ad esprimere le sue preoccupazioni nascoste. E’ quindi prioritaria una
formazione continua che abitui gli operatori sanitari a considerare non solo
l’equilibrio metabolico ma anche quello psicosociale e a prestare attenzione
alle rappresentazioni mentali del malato.
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