mercoledì 27 ottobre 2021

PNRR e l'assistenza domiciliare: rischi e limiti

Tratto da: GUIDA ALLA RIFORMA DEL SERVIZIO SANITARIO IN LOMBARDIA E AL PNRR  -  Opportunità e rischi per il futuro dell’assistenza primaria.

Pagine 208, luglio 2021 - Link alla versione cartaceaversione ebook 

Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare e la telemedicina gli stanziamenti sembrano suggerire che la tecnologia possa contribuire in modo significativo alla cura delle persone con polipatologie croniche e non auto-sufficienza.

AGENAS modelli e standard del PNRR: assistenza domiciliare

Più che un generico intervento di assistenza domiciliare servirebbe un piano specifico di sostegno alla non autosufficienza come esplicitamente richiesto da più parti. Per l’assistenza domiciliare bastano periodici accessi del MMG in ADP e un’ADI prevalentemente infermieristica, per controlli periodici di parametri clinici, aderenza ed educazione terapeutica, medicazioni/prelievi etc. mentre saranno pochi coloro che usufruiranno di una telemedicina di non agevole utilizzo. In realtà questa fetta di popolazione anziana ha soprattutto bisogno di assistenza sociale, di interventi ad personam per l'accudimento e il soddisfacimento dei bisogni primari della vita, ovvero di badanti e supporto ai care giver familiari. 

Il rapporto tra pazienti di ADI e ADP è di 1 a 9 circa, nel senso che la stragrande maggioranza dei pazienti polipatologici, fragili, più o meno autosufficienti è seguito dalla badante e/o con il supporto della famiglia e non ha bisogno di altri interventi sanitari, se di sporadica assistenza infermieristica e/o del MMG (1-2 accessi al mese). Quasi tutti necessitano di assistenza continuativa ad personam durante le 24 ore, che non può essere garantita dalla migliore tecnologia, poco attinente ai veri bisogni socio-assistenziali di una fetta di popolazione (2-3% circa) composta da persone spesso sole e/o in precarie condizioni economiche.

L’ADI prevede assistenza domiciliare del MMG e di altro operatore sanitario per bisogni clinico-sanitari complessi, ovvero infermiere, fisioterapista, specialista etc... L'assistenza sociosanitaria significa prima di tutto accudimento, compagnia per le persone sole, soddisfacimento di bisogni primari, relazione di cura, stimolazione cognitiva etc. A questo proposito nel documento sull’attuazione del PNRR prodotto da un gruppo di economisti sanitari si propone “l’istituzionalizzazione dell’assistenza erogata dalle badanti (e dai care giver), prevedendo una adeguata e qualificata formazione e l’istituzione di una specifica procedura di accreditamento” per incentivarne la professionalizzazione e l’inserimento in cooperative o società di servizi. Nel PNRR mancano riferimenti alla parte sociale, essenziale per i cronici e per sostenere la famiglia, come ad esempio un programma per la non autosufficienza. Non sarà però la tecnologia della telemedicina a vicariare i bisogni relazionali e di supporto ad personam.

Rispetto alla prima versione del Piano vi è stato un significativo spostamento delle risorse dalle CdC all’assistenza domiciliare che spiega il dimezzamento delle strutture fisiche, passate da 2564 a 1280, con il raddoppio della popolazione afferente. Assieme alle CdC i COT previsti ogni 100mila abitanti costituiscono un distanziamento rispetto alla dimensione di prossimità, spesso evocata e promossa a parole ma meno nei fatti. L’assistenza domiciliare è supporta dalle strutture fisiche in cui si realizza l’integrazione tra i professionisti dell’assistenza sanitaria e quelli del settore sociosanitario che supportano anche il necessario coordinamento per l’erogazione dei servizi in sinergia con le amministrazioni locali.

La dimensione virtuale del COT non può sostituire in toto quella dell’incontro e dello scambio di informazioni ed esperienza in presenza all’interno della struttura a livello locale. Ne è una dimostrazione l’esperienza delle Case della Salute emiliano-romagnole grazie alle quali è stata registrata una significativa riduzione delle ospedalizzazioni per condizioni sensibili al trattamento ambulatoriale come diabete, scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva, polmonite batterica (-2,4%) grazie all’incremento degli episodi di assistenza domiciliare (+9,5%) “perché nei territori serviti dalle Case della comunità si è intensificata nel tempo (+5,5%) l’assistenza domiciliare al paziente, sia infermieristica che medica” (AGENAS, Monitor 45/2021, p. 24). A riprova che la CdC, a patto che abbia uno stretto legame sociale con il proprio territorio, è un volano per tutte le forme di assistenza extra-ospedaliera.

Infine l’incentivazione della telemedicina viene spesso associata all’assistenza domiciliare. Tuttavia le altre forme di telemedicina, come il teleconsulto specialistico, sono altrettanto valide a livello ambulatoriale e nell’ordinaria attività clinica. Anche perché il presumibile declino della pandemia riporterà in primo piano il tradizionale contatto medico-paziente domiciliare che ha un valore aggiunto sul piano relazionale, clinico e psicologico analogo alla differenza qualitativa tra DAD e didattica in presenza.

domenica 24 ottobre 2021

Il metodo in medicina generale tra razionalità tecnica e riflessione nel corso dell'azione

Qual è il metodo clinico più adatto al contesto professionale della medicina del territorio? 

Una proposta pratica può venire dal cosiddetto “professionista riflessivo”, modello elaborato dal cognitivista americano Donald Schön una trentina di anni fa, ma sempre attuale e valido. Secondo Schön ogni professionista vive quotidianamente il dilemma tra rigore scientifico e pertinenza/
appropriatezza pratica delle proprie decisioni. Il rigore scientifico è correlato alla cosiddetta razionalità tecnica: secondo questa impostazione il professionista deve fare riferimento ad un corpus di solide conoscenze scientifiche, frutto della ricerca di base ed applicata, che si traducono in strumenti, tecniche e procedure standardizzate necessari e sufficienti per definire e risolvere di routine i problemi di diagnosi, terapia e gestione. 

È facile intravedere in filigrana nel concetto “razionalità tecnica” tutti gli aiuti alle decisioni oggi disponibili in gran copia, dai protocolli alle check-list, dalle linee guida ai percorsi, dai criteri alle codifiche cliniche, dalle Note Aifa a quelle dei LEA etc.. Si tratta di una sedimentazione di sapere teorico-pratico, a priori ed in una certa misura “astratto”, che attende solo di essere opportunamente implementato e trasferito “tecnicamente” nella concreta realtà assistenziale, ospedaliera e territoriale.

Tutto bene quindi? Non proprio, sostiene Schön, poiché per portare a termine questa operazione il professionista deve sovente dirimere il dilemma tra rigore e pertinenza, che emerge allorchè incappa in “problemi disordinati e indeterminati che resistono a qualsiasi soluzione di tipo tecnico”. A dispetto della razionalità tecnica il professionista deve fare quotidianamente i conti con casi complessi, unici, instabili, fonte di incertezza decisionale e di conflittualità tra valori etici.

Insomma la razionalità tecnica – per sua natura a-contestuale, schematica e a priori - deve venire a patti con un sapere pratico situato, calato nell’azione e “a posteriori”, che richiede al medico una sorta di “abilità artistica” fatta di “competenze attraverso le quali i professionisti di fatto interagiscono con le zone indeterminate della pratica”. Questa impostazione ha importanti risvolti formativi e dovrebbe ispirare programmi in cui “uno degli obiettivi è aiutare gli studenti ad imparare ad agire in maniera competente in situazioni cliniche in cui non vi sono risposte giuste predefinite o procedure standardizzate”.

La proposta culturale di Schön fa riferimento ai concetti di riflessione nel corso dell’azione e di conversazione riflessiva, che è utile per approcciare situazioni problematiche caratterizzate da varietà, complessità, instabilità, unicità, incertezza e conflitti di valore.

Un esempio paradigmatico del dilemma tra rigore scientifico e pertinenza pratica è quello della gestione degli assistiti, specie anziani, affetti da pluripatologie croniche: sebbene esistano per ogni singola condizione clinica Linee Guida e percorsi specifici, non è agevole prendere decisioni sul campo di fronte alla combinazione di più patologie in un singolo individuo, la cui condizione è quindi unica e per certi versi irripetibile, per tratti personali ed evoluzione clinica. Non a caso l'impostazione generale dei PDTA per questi pazienti si è dimostrata inadatta e sono stati sostituiti dai PAI, proprio per una personalizzazione della gestione e delle cure che tenga conto di varietà e complessità delle presentazioni.
L'atteggiamento riflessivo e l'auto-critico, generalmente retrospettivo (stiamo facendo la cosa giusta nel modo giusto?) è il metodo più adatto ogni volta che si incappa nel gap tra le prescrizioni della razionalità tecnica e le decisioni empiriche nella pratica clinica, condizionate dalle caratteristiche di unicità, complessità, instabilità ed incertezza dei casi concreti.

La proposta riflessiva di Donald Schön parte dalla teoria dell'indagine di Dewey che prevede 5 tappe:
  1. L’osservatore raccoglie dati o fatti pertinenti circa la situazione problematica che ha destato perplessità e dubbi
  2. In questo fase si passa alla definizione del “problema” che ha destato perplessità oppure incertezza, in modo tale da poterlo specificare come problema ben definito (problem setting)
  3. In un tempo successivo nascono le “suggestioni”, cioè ipotesi o abbozzi di idee per risolvere il problema.
  4. Il ragionamento mette le ipotesi in rapporto con teorie e sistemi concettuali più generali, coordina le osservazioni e le ipotesi, suggerisce nuove osservazioni per una verifica "sperimentale" della congetture
  5. La sperimentazione mette le ipotesi e le idee alla prova nel contesto della situazione, in un rapporto di interazione tra il decisore e l’ambiente.
Questi cinque momenti sono sempre provvisori, possono — e devono — essere rivisti molte volte durante il corso dell’indagine. La ricerca implica dunque un avanti-indietro continuo e per Dewey essa non arriva mai a un risultato definitivo. L'attitudine riflessiva del professionista punteggia tutte le fasi dell'indagine in termini di meta-cognizione percettiva e valutativa, di analisi autocritica del pensiero, di auto-osservazione sul giudizio e sulle decisioni, in quella che Schön definisce "conversazione riflessiva con la situazione problematica".

Un esempio concreto di esercizio riflessivo è rappresentato dai sintomi di difficile  inquadramento diagnostico, che afferiscono alla categoria dei disturbi sotto-soglia ed inclassificabili (la proverbiale zona grigia e “paludosa” dove allignano incertezza e indeterminatezza). Le statistiche dimostrano che una percentuale del 20-30% di pazienti presentano sintomi che rientrano nella categoria dei cosiddetti MUS, ovvero Medically Unexplaned Syptoms che non superano la soglia diagnostica della nosografia, anche dopo ripetuti accertamenti diagnostici o consulenze specialistiche, una grande sfida pratica e metodologica per i medici e per la razionalità tecnica.

Si pensi ad uno altro problema pratico oggetto di interventi formativi di vario tipo: la “patologica” variabilità degli esiti tra diversi soggetti od agenti organizzativi. Per definizione il medico, specie quello pratico del territorio, è portato a privilegiare l’approccio ad personam rispetto alla dimensione di popolazione, più affine ai contesti organizzativi. È una questione di limiti cognitivi individuali, in quanto la pratica corrente, centrata sui singoli casi, non consente di sviluppare uno sguardo d’insieme sulla popolazione assistita, laddove si annidano proprio le cause di eccessiva variabilità negli indicatori di processo e di esito.

L’audit clinico ad esempio è adatto a fare emergere, tramite il confronto dei dati o benchmarking, la discrepanza tra performance attese, in base agli standard dedotti da trial randomizzati, Linee Guida e Percorsi, e performance reali osservate sul campo in fase diagnostica o terapeutica. Per risolvere il problema la ricetta sembrerebbe logica: la variabilità è eccessiva perchè le linee guida non vengono applicate con la necessaria  standardizzazione e il dovuto rigore “tecno-scientifico”. Al contrario, la soluzione può scaturire dalla personalizzazione dei percorsi, ad esempio con interventi educativi mirati e tarati sulla particolarità di ogni paziente, specie nella gestione territoriale della cronicità e in presenza di incertezza, complessità, varietà e unicità dei singoli casi.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  • AAVV (a cura di A. Pagnini) Filosofia della medicina, Carocci, Roma, 2010
  • AAVV /a cura di Federspil, Giaretta, Moriggi), Filosofia della medicina, Raffaello Cortina, Milano, 2008
  • Di Giovanni P, Bianchi A., Errori di ragionamento in medicina, Really new minds,  2016
  • Schoen D, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari, 1993
  • Schoen D, Educare il professionista riflessivo, F.Angeli, Milano, 2006
  • Striano M, Per una teoria educativa dell'indagine, Pensa Multimedia, Bari, 2015
  • Striano M, Melacarne C, Oliverio S. La riflessività in educazione, Morcelliana, Brescia, 2018
  • Thagard P, La spiegazione scientifica della malattia, Mc Graw-Hill, Bologna, 2001
  • Vineis P, Nel crepuscolo delle probabilità, Einaudi, Torino, 1999

mercoledì 20 ottobre 2021

Nuovi standard AGENAS per le Case della Comunità: restano gli ambulatori di MG

Dopo la diffusione delle cifre del riparto dei fondi tra le regioni per le Case della Comunità o CdC e gli Ospedali di Comunità (OdC) sono stati rivisti anche gli standard per le nuove strutture, che modificano significativamente il documento AGENAS di luglio con la proposta di 4 tipi di CdC. 

In pratica viene archiviato il modello di CdC a rete hub& spoke e gli studi dei Medici di Medicina Generale o MMG vengono "promossi" a spoke delle CdC hub da 40-50mila abitanti, mentre vengono confermati gli altri principali standard.

Tutte le aggregazioni dei MMG e PLS vengono ricondotte alla CdC hub, a cui saranno collegate funzionalmente; di fatto, nelle aree non coperte dalla struttura, resteranno attivi gli attuali ambulatori di MG convenzionata, "tenendo conto delle caratteristiche orografiche e demografiche del territorio al fine di favorire la capillarità dei servizi e maggiore equità di accesso, in particolare nelle aree interne e rurali".

Con questi standard viene ulteriormente confermato l'assetto convenzionale della medicina del territorio parzialmente integrato nelle CdC, laddove sarà possibile, mentre nel resto del territorio resterà l'attuale rete di studi medici. Tramonta quindi definitivamente l'ipotesi della dipendenza.

Di seguito si possono consultare gli schemi riassuntivi degli standard del Distretto, CdC e OdC.



La CdC, quale luogo di progettualità con e per la comunità, svolge cinque funzioni principali:
  • è il luogo dove la comunità, in tutte le sue espressioni e con l’ausilio dei professionisti, interpreta il quadro dei bisogni, definendo il proprio progetto di salute, le priorità di azione e i correlati servizi.
  • è il luogo dove professioni integrate tra loro dialogano con la comunità e gli utenti per riprogettare i servizi in funzione dei bisogni della comunità, attraverso il lavoro interprofessionale e multidisciplinare;
  • è il luogo dove le risorse pubbliche, tipicamente organizzate per silos disciplinari o settoriali, vengono aggregate e ricomposte in funzione dei bisogni della comunità, superando segmentazioni e vincoli contabili, attraverso lo strumento del budget di comunità;
  • è il luogo di integrazione delle risorse della comunità che vengono aggregate alle risorse formali dei servizi sanitari e sociali e delle Istituzioni;
  • è il luogo dove la comunità ricompone il quadro dei bisogni locali sommando le informazioni dei sistemi informativi istituzionali con le informazioni provenienti dalle reti sociali.













P.S. Di seguito si possono consultare per un confronto le stesse schede inserite nella versione del documento AGENAS del luglio 2021.








lunedì 18 ottobre 2021

STANDARD DEFINITIVO DELLE CASE DELLA COMUNITA'

Il tormentato iter delle Case della Comunità (CdC) e degli Ospedali di Comunità (OdC) è arrivato finalmente in porto con il riparto dei fondi della Missione 6 del PNRR tra le regioni, che saranno chiamate alla realizzazione delle strutture. Dopo 4 diverse versioni siamo arrivati ad un pUnto fermo sul numero di CdC da edificare grazie ai 2 miliardi di finanziamento del PNRR.

Ecco la ripartizione regionale delle 1.350 CdC e dei 400 OdC, per un costo medio unitario di euro 1.481.481,48 per le Case e di euro 2.500.000 per gli Ospedali:

  • 1 CdC ogni 37.213 abitanti nel Mezzogiorno
  • 1 ogni 47973 abitanti al Centro-Nord
  • media nazionale di 1 ogni 44.179 abitanti.

Questi standard mettono in soffitta quelli proposti nel documento AGENAS del luglio scorso (si veda di seguito) che con il modello a rete hub&spoke prevedevano un numero perlomeno doppio di CdC, grazie a tipologie diversificate più adatte alla varietà dei contesti geodemografici ed orografici.

Con questi rigidi parametri di fatto si pone fine al dibattito sul passaggio alla dipendenza dei 70mila medici dell'assistenza primaria: ogni CdC dovrebbe ospitare mediamente 52 medici dipendenti tra MMG, PLS, MCA etc.. a cui vanno aggiunti i 7mila infermieri di famiglia neo-incaricati. Numeri improponibili per strutture che prevedono 10-15 sale di consultazione mediche ed infermieristiche.

Inoltre nelle aree extra urbane CdC ogni 44mila abitanti non saranno accessibili a chi risiede in piccoli paesi lontani dai maggiori centri abitati. Insomma le CdC saranno poco più che una riedizione dei poliambulatori ex Inam.

Ripartizione regionale dei fondi per Case della Comunità, COT e Ospedali di Comunità

Link al testo completo del documento


Ecco le precedenti tappe del tormentato Iter della CdC.

1° VERSIONE (gennaio 2021). La prima stesura del PNRR, approvata il 12 gennaio 2021 dal Governo Conte, prevedeva un finanziamento di 4 miliardi di € per la realizzazione entro il 2026 1 CdC ogni 24.500 abitanti, ovvero 2.564 nuovi edifici per un costo complessivo di 4 miliardi.

2° VERSIONE (aprile 2021). Nella mozione approvata dal parlamento a fine aprile il numero di CdC veniva dimezzato con la previsione di attivare “1.288 Case della Comunità entro la metà del 2026, che potranno utilizzare sia strutture già esistenti sia nuove. Il costo complessivo dell’investimento è stimato in 2,00 miliardi di euro. 

3° VERSIONE (maggio 2021). Il documento ufficiale deliberato dal Parlamento è stato parzialmente corretto nelle schede di programma del dossier inviato a Bruxelles per l’approvazione della UE, in cui si indica “una tipologia di Casa ogni 15.000-25.000 abitanti” con una dotazione di 10-15 sale di consulenza e visita, punto di prelievo, servizi diagnostici di base (es. ecografia, elettrocardiografia, radiologia, spirometria, ecc.).

 4° VERSIONE (Luglio 2021)  L'AGENAS propone il modello Hub & Spoke nel documento sui “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale”, che supera il PNRR deliberato dal parlamento e le schede di programma, riproponendo la versione del gennaio 2021, con queste tipologie:

  •          1 Casa della Comunità hub per ogni Distretto e almeno
  •          3 Case della Comunità spoke (1 ogni 30/35.000 nelle aree metropolitane;
  •          1 ogni 20/25.000 abitanti nelle aree urbane e sub-urbane;
  •       1 ogni 10/15.000 abitanti nelle aree interne e rurali) 

domenica 17 ottobre 2021

Dipendenza del MMG, pro e contro

Claudio Maria Maffei nel suo ultimo intervento a proposito del vivace dibattito tra favorevoli alla dipendenza del MMG e al mantenimento della convenzione propone di “uscire dalla trincea dello scontro tra Pro e No Dip per affrontare in campo aperto il tema trattandolo come un problema di sanità pubblica”. Di seguito provo a tracciare un bilancio dei costi/benefici della “cura” prescritta, con una proposta finale.

Il cambiamento radicale nella gestione della MG, propugnato da un variegato fronte riformatore, presuppone il superamento dell’assetto convenzionale con la combinazione di tre riforme: specializzazione universitaria, passaggio alla dipendenza e ristrutturazione della rete territoriale grazie al PNRR (Case ed ospedali di Comunità, COT e assistenza domiciliare) come sede di lavoro dei futuri MMG dipendenti.

I potenziali vantaggi del passaggio alla dipendenza sono così schematizzabili

  • Maggiori tutele per il medico dipendente: malattia, ferie, tredicesima, maternità, assicurazioni, indennità di fine rapporto, retribuzione fissa oraria, fattori produttivi etc.
  • Un più efficace “governo” del territorio, grazie al rapporto di subordinazione e al modello gerarchico aziendale, per favorirne l’integrazione con il resto del sistema pubblico
  • Una garanzia di maggiore omogeneità delle prestazioni erogate, anche per il venire meno dei condizionamenti negativi della libera scelta del paziente (il “ricatto” della revoca del medico “usa e gatta”) che hanno reso il rapporto con gli assistiti instabile e in certi contesti ingovernabile.

I vantaggi della dipendenza in termini di diritti del lavoratore e come via di fuga dalla “dipendenza” verso pazienti “esigenti” e pretenziosi sono le principali motivazioni “interne” alla categoria. La disponibilità di adeguate sedi fisiche come Case e Ospedali di Comunità, sono una pre-condizione per l’instaurazione del rapporto di subordinazione per questioni logistiche, di economia di scala, costi fissi, esigenze di coordinamento, controllo e gestione amministrativa etc.

Sul versante opposto degli svantaggi della dipendenza troviamo

  • La difficoltà delle CdC a garantire una diffusione capillare dei servizi sul territorio, attualmente assicurata dagli studi dei MMG singoli o in piccoli gruppi
  • La riduzione dell’autonomia professionale e gestionale del medico convenzionato, correlata all’attuale rapporto di lavoro parasubordinato
  • Il rischio del venir meno della personalizzazione, correlata alla libera scelta, per il prevalere del rapporto di subordinazione gerarchica e della fungibilità dei compiti assistenziali, specie in caso di retribuzione oraria al posto della quota capitaria
  • problemi sul versante della sostenibilità finanziaria, normativa e logistica in caso di “assunzione” di tutti gli attuali MMG e concreti rischi di discontinuità del sistema previdenziale e della copertura pensionistica garantita dall’ENPAM.

Per alcune criticità economiche e logistiche appare poco probabile un immediato passaggio alla dipendenza di tutta la categoria a favore di una forma graduale riservata ai futuri MMG diplomati al Corso di specializzazione universitaria in sostituzione dell’attuale CFSMG; sulla soluzione incrementale converge l’ipotesi del doppio binario avanzata dalle regioni per il rinnovo dell’ACN 2019-2021 (convenzione snella, su due livelli contrattuali e all inclusive più assunzione graduale dei neo-MMG specialisti). I problemi sorgono non tanto per questioni astratte o di principio ma per condizioni e criticità non banali di una transizione ad alto rischio su vari fronti.

I benefici della dipendenza sono stati rimarcati nella lettera aperta al Ministro Speranza sottoscritta da oltre 150 giovani MMG. Appare però dubbia l’affermazione in base alla quale con la dipendenza le migliori tutele dei professionisti si tradurrebbero, in modo quasi automatico, in un miglioramento del servizio in quanto le “condizioni di lavoro sono fondamentali per la migliore assistenza ai Cittadini” a fronte di un regime convenzionato che "si riverbera pesantemente sulla qualità del servizio che può essere offerto ai Cittadini". Quasi che la deliberazione di un programma di policy coincidesse con la sua efficace messa in atto, come se una revisione del profilo giuridico si traducesse meccanicamente in risultati empirici a prescindere dall’impatto sul sistema organizzativo, socio-tecnico e professionale.

Insomma non è detto che maggiori tutele per i lavoratori si traducano in modo lineare e certo in miglioramento della qualità assistenziale, per due considerazioni contro-fattuali: in primo luogo numerosi segnali provenienti dal mondo della dipendenza ospedaliera descrivono una diffusa condizione di disagio e malessere tra i medici del SSN, non dissimile da quella vissuta sul territorio, che rende il rapporto di lavoro subordinato poco invidiabile. In secondo luogo la subordinazione gerarchica a prescindere dal contesto organizzativo territoriale non garantisce a priori l’omogeneità nella qualità del servizio e delle prestazioni, come dimostra l’ampia variabilità delle performances dei SSR regionali, della rete ospedaliera e delle Aziende sanitarie locali, storico tallone d’Achille del nostro sistema.

Lungi dall’essere una garanzia assoluta di efficacia quella della dipendenza è una soluzione semplice, "ontologica" ed essenzialistica, per problemi complessi e sfaccettati; essa si regge su una premessa cognitiva, data per scontata, in base al quale basta cambiare lo status giuridico per ottenere i risultati attesi, così come in altri ambiti è sufficiente modificare leggi, norme e procedure per indurre il cambiamento vincendo automaticamente resistenze e ostacoli di natura sociale, culturale ed organizzativa. Si tratta dell’imprinting giuridico-formale della nostra PA che antepone il rispetto delle direttive e delle regole alla definizione ex ante di progetti con obiettivi e programmi articolati, valutazioni in itinere ed ex post di risultati e performances, documentati da appropriati indicatori di processo, qualità ed esito.

A questa cornice teorico-pratica fa riferimento il PNRR nel momento in cui promuove la realizzazione di strutture fisiche che potrebbero innescare dal basso innovazioni pragmatiche, grazie all’input dei finanziamenti UE; il cambiamento è possibile se nella CdC verranno attivati processi clinico-assistenziali di qualità a prescindere dalla definizione giuridico-formale del rapporto di lavoro. A condizione però che cambi la cultura organizzativa, gli obiettivi e soprattutto le pratiche condivise, ad esempio con la diffusione del modello dei PDTA, per troppo tempo trascurati colpevolmente dai sindacati medici. 

Al contrario un’eccessiva enfasi su soluzioni tanto radicali quanto ipotetiche, come la dipendenza, tende ad anteporre la natura del rapporto di lavoro rispetto alla competenza e agli strumenti per garantire appropriatezza degli esiti clinico-assistenziali, vale a dire accountability dei processi/esiti, continuità e integrazione ospedale-territorio, "obiettivi e percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida, audit", che era il mandato specifico affidato alle AFT dalla Balduzzi e l'obiettivo dell'indennità di Governo Clinico dell'ACN, entrambi disattesi da una politica sindacale miope e conservatrice.

Il confronto tra dipendenza e convenzionamento andrebbe trattato come un problema di sanità pubblica e ricondotto alla valutazione dei risultati empirici conseguiti da medici con diversi profili giuridici, che incorporano anche diversi rapporti interpersonali, relazioni economiche ed organizzative. Servirebbe insomma una sorta di trial pragmatico di confronto sugli esiti raggiunti nelle due coorti professionali riguardo ad uno specifico compito, come la presa in carico e la gestione della cronicità tramite PDTA. A questo proposito ci vengono in aiuto i recenti premi Nobel dell’Economia, conferiti pochi giorni fa a tre studiosi americani. La domanda è legittima: cosa c'entrano i Nobel dell'economia con il PNRR, la riforma della medicina del territorio e il passaggio alla dipendenza dei MMG?

David Card, Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens sono stati premiati a Stoccolma per gli studi empirici sulle relazioni causali degli interventi in vari ambiti economici e sociali, dagli effetti dell'introduzione del salario minimo al ruolo dell'educazione sulle condizioni economiche; i loro studi sono accomunati dalla stessa metodologia, ovvero il confronto sul campo tra due popolazioni, simile ad un trial clinico controllato, condotto con sperimentazioni "naturali" e non in laboratorio per verificare se gli esiti nelle due coorti sono o meno favorevoli all’ipotesi scientifica testata: https://www.ilpost.it/2021/10/11/nobel-economia-2021/

Grazie alle loro indagini alcune domande sulle relazioni tra economia e società e sugli effetti di programmi riformatori possono trovare risposta tramite “esperimenti naturali”, cioè studi empirici basati sull’osservazione di ciò che accade nella vita reale, che restituiscono all'economia il profilo di scienza sociale. Mi rendo conto della difficoltà di un simile approccio, tuttavia la proposta di doppio binario avanzata dalle regioni – nuova convenzione “snella” all inclusive + passaggio alla dipendenza dei futuri MMG specializzati - potrebbe fornire il contesto “naturale” per un confronto empirico tra due gruppi di MMG, omogenei per caratteristiche professionali e formazione ad hoc ma distinti per il profilo giuridico del rapporto di lavoro. Un analogo metodo è stato utilizzato, ad esempio, da Agenas per la valutazione dei risultati della PiC lombarda. Certo, serviranno tempi lunghi ed un adeguato disegno “sperimentale” ma forse ne vale la pena per uscire dalla trita contrapposizione a priori tra due tifoserie.

sabato 16 ottobre 2021

COVID-19. Evoluzione IV ondata da luglio al 16 ottobre

 Evoluzione IV ondata da luglio al 16 ottobre

La IV ondata, superato il plateau, continua la sua lenta discesa: nella prima metà di ottobre sono diminuiti ancora i nuovi casi con una media di 3mila al dì, i ricoveri ordinari, quelli in terapia intensiva, i soggetti in isolamento domiciliare e sono aumentati i dimessi guariti. 

Invece come nelle precedenti ondate i decessi restano elevati, seppur in calo rispetto ad agosto, con una media di 37 al giorno. Se il trend in atto si confermerà anche nelle prossime settimane nell'arco di un mese anche la IV ondata si esaurirà progressivamente e a Natale saremo liberi, salvo la sorpresa di un'ondata per una nuova variante.




Evoluzione mensile da settembre 2020 a settembre 2021

Rispetto ad agosto sono diminuiti i nuovi casi, i ricoverati, i degenti in terapia intensiva, i dimessi guariti e la percentuale di tamponi positivi, mentre sono aumentati i decessi e quindi anche letalità, che è praticamente raddoppiata.




Monitoraggio nazionale dati cumulativi






Monitoraggio nazionale a 30 giorni











mercoledì 13 ottobre 2021

La presa in carico lombarda all'esame dei Nobel dell'economia: doppia bocciatura!

Cosa c'entrano i Nobel dell'economia con la riforma della Presa in Carico della cronicità e fragilità (PiC) approvata in Lombardia nel 2017 ed entrata in vigore nel 2018?

PRIMA BOCCIATURA

Era il novembre 2017 quando l'accademia di Svezia attribuiva il prestigioso premio per l'economia a Richard Thaler per le sue ricerche sul nudge, la spinta gentile che pungola le gente a prendere decisioni "razionali". 
A questa ipotesi faceva riferimento la riforma della PiC da poco licenziata dalla regione Lombardia: ai cronici veniva offerta l'opportunità di essere seguiti da un Gestore specialistico ospedaliero in alternativa al proprio medico di Medicina Generale.

Lo strumento su cui faceva leva la PiC era la promozione della concorrenza tra le cure primarie e quelle di II livello per migliorare la gestione della cronicità, incentivando il passaggio dei pazienti dal territorio al Gestore ospedaliero grazie alla "spintarella" gentile della riforma. A dire il vero la gente doveva essere indotta scegliere un Gestore ospedaliero più che da un "pungolo" dall'attratività delle prestazioni garantite dal Clinical Manager specialistico, che doveva calamitare i pazienti cronici per curarli in modo più appropriato.  Al link alcune considerazioni in merito al possibile ruolo del nudge nella PiC: http://curprim.blogspot.com/2017/10/quale-spinta-gentile-per-la-presa-in.html

Le cose però non sono andate come prevedevano e si auguravano i decisori pubblici regionali: dopo 2 anni di applicazione della riforma poco più del 5% dei cronici ha deciso di migrare verso un Gestore ospedaliero mentre quasi il 95% dei 300mila lombardi che hanno aderito è stato arruolato dal proprio MMG. In pratica i cronici lombardi hanno snobbato i Gestori ospedalieri e il CM specialistico confermando la fiducia al generalista.

In buona sostanza la spintarella non è stata sufficientemente efficace per spostare il baricentro della cronicità dal territorio all'ospedale, come ipotizzava la riforma, per via di una contro-spinta negativa correlata ai problemi logistici del passaggio in cura presso il Gestore e ai costi psicologici della rottura della relazione di cura, fattori che hanno inibito l'adesione della gente. Poi è arrivato il Covid19 e si può facilmente immaginare quali siano stati i suoi effetti sulla PiC.

SECONDA BOCCIATURA

In settimana è stato conferito il premio Nobel dell'economia a tre ricercatori americani, David Card, Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens per gli studi condotti sulle relazioni causali degli interventi di policy in vari ambiti economici e sociali, dagli effetti dell'introduzione del salario minimo al ruolo dell'educazione sulle condizioni economiche; le indagini sono accomunati dalla stessa metodologia, ovvero della ricerca sul campo con il confronto tra due popolazioni, simile ad un RCT in doppio cieco versus placebo, condotta con sperimentazioni "naturali" e non in laboratorio: https://www.ilpost.it/2021/10/11/nobel-economia-2021/

Ora, è possibile applicare lo stesso metodo di valutazione agli esiti della PiC, in quanto anch''essa si è rivelata una sorta di sperimentazione sul campo, un trial inintenzionale e in quanto tale affidabile, sulle decisioni dei pazienti e dei professionisti. Le preferenze dei pazienti ha fatto emergere in modo “naturale” e randomizzato tre coorti: i soggetti astenuti dalla PiC, quelli arruolati dal MMG e quelli associati ad un Gestore ospedaliero. Questi tre gruppi hanno consentito di valutare i diversi gradi di partecipazione e gli esiti differenziali del programma. In pratica i MMG  non aderenti alla PiC - il 55% circa dei 6300 generalisti Lombardi - hanno costituito a loro insaputa un gruppo di controllo non preordinato per valutare le scelte dei pazienti e il risultato complessivo della riforma. Su questa fetta di cronici i Gestori ospedalieri potevano esercitare una sorta di prelazione se non di potenziale "monopolio", non avendo essi alternative di arruolamento. Ciononostante solo il 5,7% degli assistiti il cui medico non aveva aderito alla PiC hanno optato per il passaggio al Clinical Manager ospedaliero. Peraltro i Gestori privati sono stati i primi a snobbare la PiC avendo probabilmente capito che i pazienti non avrebbero gradito il cambiamento proposto per i suoi elevati "costi".

La PiC può essere quindi letta in chiave di "esperimento naturale" che emerge dal confronto dei suoi esiti in due gruppi
  • quello dei pazienti seguiti dai MMG aderenti alla PiC versus gli assistiti dei medici che non vi hanno partecipato, che avevano l'opportunità di essere presi in carico in massa da un Gestore;
  • gli esiti clinico-assistenziali nei due gruppi di soggetti presi in carico, ovvero quelli gestiti dai MMG versus quelli seguiti dal Clinical Manager ospedaliero (indicatori di processo/esito clinico).
Per ora è stato possibile solo il primo tipo di bilancio, per mancanza di dati circa la gestione prettamente clinica, basata su indicatori di consumi, prescrizioni, processi ed esiti assistenziali. Ebbene la spinta gentile del MMG per l'arruolamento dei propri assistiti è risultata incomparabilmente più efficace della scarsa "attrattività" del Gestore ospedaliero, nonostante il suo potenziale monopolio sulla metà dei cronici arruolabili. 

Sul piano delle policy il confronto tra i due gruppi ha messo in evidenza l'inconsistenza dell'ipotesi che la concorrenza verticale tra I e II livello potesse favorire un miglioramento della qualità e degli esiti delle patologie croniche. Per il semplice fatto che i cronici non hanno preso in considerazione la possibilità di preferire il Gestore al MMG, per il combinato disposto di due ordini di motivazioni e meccanismi che ne hanno influenzato la scelta:
  • cognitivo-comportamentali: il calcolo razionale dell'utilità attesa risente dei limiti computazionali individuali, della contabilità mentale e dell'architettura della scelta, che comportano euristiche del giudizio e potenziali biases (Thaler, 2017): euristica dello status quo, avversione alla perdita, opzioni di default, l’anticipazione del rammarico etc.              (https://econpapers.repec.org/article/fanmesame/v_3ahtml10.3280_2fmesa2019-111003.htm )
  • psicosociali: la preferenza può essere influenzata dal contesto sociorelazionale, in particolare per la rilevanza delle dimensioni interpersonale, psicologica e valoriale (scelta/revoca, relazione fiduciaria, familiarità e conoscenza etc..) presenti nel contratto psicologico tra assistito e professionisti delle cure primarie.

venerdì 1 ottobre 2021

COVID-19: dati mensili ed evoluzione IV ondata al 30 settembre

 Evoluzione IV ondata da luglio al 30 settembre

La IV ondata, superato il plateau, ha imboccato la fase decrescente: nella seconda metà di settembre sono diminuiti i nuovi casi, i ricoveri ordinari, quelli in terapia intensiva, i soggetti in isolamento domiciliare e sono aumentati i dimessi guariti. Come nelle precedenti ondate i decessi restano elevati, seppure ridotti rispetto ad agosto, con una media di 55 al giorno. Se il trend in atto si confermerà anche nelle prossime settimane nell'arco di un mese anche la IV ondata sarà terminata.




Evoluzione mensile da settembre 2020 a settembre 2021

Rispetto ad agosto sono diminuiti i nuovi casi, i ricoverati, i degenti in terapia intensiva, i dimessi guariti e la percentuale di tamponi positivi, mentre sono aumentati i decessi e quindi anche letalità, che è praticamente raddoppiata.




Monitoraggio nazionale dati cumulativi







Monitoraggio nazionale a 30 giorni