mercoledì 30 gennaio 2019

La crociata del prof. Cavicchi contro il burionismo, tra stati generali e patto per la scienza

La critica del Prof. Cavicchi al Patto per la scienza, promosso dal prof. Burioni, prende le mosse da un espediente retorico teso a screditare gli interlocutori (https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/10/quella-di-burioni-e-unidea-di-scienza-vecchia-e-superata-e-il-suo-patto-lo-conferma/4888431/): quella tratteggiata sul Blog del Fatto quotidiano, per smascherare il positivismo ottocentesco del Patto, è una caricatura della “scienza” medica, comodo bersaglio polemico al pari della proverbiale Croce Rossa, ma lontano anni luce dalle pratiche dei professionisti, specie sul territorio (http://www.treccani.it/enciclopedia/scientismo/). 

Probabilmente nella medicina accademica nostrana residuano sacche di (vetero) "scientismo positivistico", che si attardano in difesa di una superiore “razionalità tecnica”, a mo’ dei militi nipponici rimasti a combattere i fantasmi dei nemici sull’isoletta a decenni dalla resa. (http://m.dagospia.com/l-immunologa-maria-luisa-villa-fa-a-pezzi-la-retorica-del-castigatore-di-somari-di-burioni-192818). Peraltro il burionismo (si veda il PS) è un bersaglio fin tropo facile per una scontata operazione metonimica, utile a profilare un nemico ad hoc da impallinare ad occhi chiusi dopo averlo ridicolizzato 

Nei fatti la (presunta) superiore “razionalità tecnica” positivistica è stata archiviata da tempo dai medici, che hanno adottato giocoforza una razionalità riflessiva imposta dalla pratica situata e dalla necessità di fare i conti con gli effetti perversi di un'illusoria medicina esatta e incontrovertibile. Un positivista non confonderebbe gli effetti con la causa, che affonda le radici culturali nella definizione di salute dell’OMS del secolo scorso, ontologica e irrealistica, che inquina l’immaginario collettivo ed alimenta esorbitanti aspettative di efficacia tra la gente. In modo retroattivo le attese frustrate si ritorcono su chi le ha assecondate: gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, dalla caccia al risarcimento per presunti episodi di malasanità alle aggressioni verso i medici, divenute cronaca quotidiana, in qualità di rappresentanti di una presunta èlite privilegiata e corrotta.

Eppure tra le 300 ridondanti pagine delle tesi per gli stati generali della professione medica non ha trovato spazio una sola paginetta di critica “razionale” alla definizione di salute, madre di buona parte delle incomprensioni tra medico e assistito, società e professione, e delle aporie sintomatiche della crisi della medicina. Il contenimento delle aspettative di efficacia a 360 gradi alimentate dalle magnifiche sorti scientiste, in sinergia con il circuito industrial-mediatico, è una priorità relazionale delle pratiche sul campo.

Che poi il contrasto al presunto predominio del neo-positivismo, polveroso ed obsoleto per conto suo, si trinceri dietro la metafisica di un’omeopatia - peraltro in fase declinante a livello sociale e di marketing - appare piuttosto buffo. Come se il “tutto fa brodo” della medicina alternativa per eccellenza fosse un valido antidoto ad una razionalità tecnica dispotica ed imperante. Come se l’ "esigente" inguaribile, deluso dalle false speranze scientiste, potesse trovare la panacea in rimedi pre-positivistici, legittimati per confutare il positivismo. Come se milioni di utilizzatori delle infallibili palline e goccine fossero la prova provate della loro validità ed efficacia, per l'imprimatr da parte di un’inedita EMM (Evidence Marketing Medicine).

Insomma il rimedio cavicchiano rischia di rivelarsi una proverbiale cura peggiore del burionismo: l’uno e l’altro pari sono! Onde evitare di finire dalla padella scientista alla brace alternativa, conviene seguire il monito di Gragory Bateson, che a suo tempo consigliava di rifiutare gli opposti estremismi: “queste due superstizioni, queste epistemologie rivali, la soprannaturale e la meccanicistica, si alimentano a vicenda”.

P.S. Stefano Massini nel suo ultimo libro ha coniato una manciata di nuove parole. Da qualche mese nel dibattito pubblico si è affacciato un'inedito neologismo; il BURIONISMO, vale a dire la tendenza, "dogmatica" e scientista, a rispondere alle contestazioni dei non addetti ai lavori, verso l'autorità degli esperti, oltre che con contro-argomentazioni razionali, anche con la squalifica degli stessi contestatori, giudicati ignoranti, rozzi, somari e incompetenti in quanto non addetti ai lavori e non autorevoli come i "tecnici" competenti.

sabato 26 gennaio 2019

La difficile gestione dei sintomi aspecifici in medicina generale

Una recente sentenza della Cassazione su un caso controverso (si veda il P.S.) e discussioni in rete sulle richieste di accertamenti diagnostici hanno fatto emergere il problema della gestione dei sintomi aspecifici in MG. Bisogna preliminarmente accordarsi sul significato della coppia specifico/aspecifico, che può avere due accezioni: statistica, nel senso della specificità probabilistica del sintomo in analogia con la sensibilità/specificità del test diagnostico, e per così dire “anatomica”, nel senso della più o meno chiara localizzazione di un sintomo a livello di un organo, sistema o apparato (a questo significato fanno riferimento le successive considerazioni).

Nella pratica, specie sul territorio, si possono presentare una gamma di situazioni in cui sintomi soggettivi si possono accompagnare o meno a segni clinici obiettivabili da parte del medico. Il continuum dei casi pratici è delimitato da due estremi: da un lato il singolo sintomo soggettivo isolato, ovvero senza alcun fattore di rischio anamnestico o segno clinico associato, e dall’altro una combinazione di più sintomi, segni obiettivi e fattori di rischio anamnestici, tra loro coerenti e convergenti verso una certa diagnosi, spesso “evidente”. Ai due estremi del continuum specifico/aspecifico troviamo quindi situazioni di massima e minima incertezza diagnostica. Nel senso che l’incertezza è massima quando l’informazione è ridotta all’osso - come nel caso del sintomo aspecifico isolato – mentre è minima quando l'informazione è elevata per il combinato disposto di sintomi e segni clinici specifici.

Tra i due estremi del continuum, da un lato la massima aspecificità e all’opposto una chiara organo-specificità, si collocano la maggioranza delle presentazioni cliniche caratterizzate da gradi intermedi di combinazione tra informazioni soggettive (sintomi non obiettivabili, come il dolore) segni fisici rilevati all’esame semiologico del paziente (ad esempio la megalia di un organo) a cui si possono associare informazioni anamnestiche rilevanti e gli esiti degli accertamenti di laboratorio, di immaging etc.. per una conferma o smentita dell’ipotesi diagnostica avanzata.

Gli esempi pratici dei due estremi sono presto fatti: da un lato abbiamo tutti i sintomi vaghi, indistinti e isolati, ovvero senza alcun riscontro obiettivo, tipici della medicina del territorio (astenia, malessere generale, prurito, debolezza, aumento/calo di peso/appetito etc…) mentre dall’altro malattie febbrili batteriche acute, come tonsilliti od otiti di agevole diagnosi ispettiva. In una posizione mediana vi sono casi con segni e sintomi di localizzazione d’organo, come disturbi dispeptico-dolorosi o tumefazioni articolari, che però non sono sufficienti per porre una diagnosi di certezza. In linea di massima più il sintomo è organo-specifico più si restringe il cerchio delle ipotesi diagnostiche, fino al caso estremo del sintomo patognomonico, che equivale ad una diagnosi di certezza immediata; purtroppo l'idea che si potessero avere sintomi patognomonici per ogni malattia si è rivelata con il tempo e con l’irruzione della tecnologia illusoria.

In questo processo di indagine viene adottato il metodo bayesiana, seppur implicito o grossolano, per ridurre l’incertezza e aumentare la probabilità soggettiva di un’ipotesi a scapito delle altre, grazie all’acquisizione di nuove informazioni. Se le informazioni raccolte con l'esame obiettivo, dopo la selezione del sintomo chiave o la definizione del problema, hanno un peso probabilistico "forte" allora il sospetto diagnostico sarà di fatto confermato, nel senso che di fronte ad un sintomo ben definito associato ad un segno clinico specifico il ventaglio di ipotesi si restringe drasticamente in modo "naturale", fino alla prevalenza di una singola ipotesi sulle altre.

In altri termini la probabilità a priori di una certa malattia viene incrementata dalle cosiddette probabilità condizionali (nel senso della sensibilità e specificità del sintomo + segno clinico) fino a superare una certa soglia, che fa scattare un''ipotesi diagnostica, più accreditata delle concorrenti. Quando i sintomi e i segni clinici sono particolarmente evidenti e inequivoci allora scatta automaticamente la diagnosi per pattern recognition, come nel caso già evocato della tonsillite acuta batterica o di un’eruzione cutanea da Herpes Zoster. 

Si tratta delle diagnosi “a prima vista” o per pattern recognition frutto della semplice osservazione dell’organo interessato, come accade spesso nelle patologie dermatologiche, del cavo orale o ORL in cui una probabilità soggettiva elevata consente di passare direttamente alla terapia senza bisogno della conferma diagnostica da parte del test. In altri casi il sintomo organo-specifico l’ipotesi dovrà essere messo alla prova di un test diagnostico ad elevata sensibilità/specificità per la confermata/smentita definitivamente dell’ipotesi stessa da parte dall'esito del test diagnostico.

Giova ricordare che statisticamente il 20-25% dei sintomi lamentati da pazienti ambulatoriali restano orfani di una chiara diagnosi, anche dopo ripetuti accertamenti diagnostici o consulenze specialistiche. Vengono definiti MUS (Medically Unexplaned Symptoms) e per buona parte si tratta di disturbi aspecifici, vaghi, atipici, indistinti e sfuggenti che mettono a dura prova i medici pratici (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5297117/)

In queste situazioni non può funzionare il pattern recognition e quindi la ricerca di prove a favore dell'una o dell'altra diagnosi dovrà svolgersi ad ampio spettro clinico - ad esempio con una batteria di esami, come si fa in caso di sospetto astenia, febbre o prurito - per rafforzarne una a scapito delle altre. Si deve cioè ricorrere al metodo ipotetico-deduttivo o meglio ipotetico-selettivo per via del gran numero di ipotesi potenzialmente generate dal sintomo aspecifico (ad esempio quelle relative all’astenia sono decine) e quindi fonte di grande incertezza diagnostico-differenziale e decisionale. Per quale tra le tante ipotesi correlabili al sintomo lamentato si dovrà optare?

In tutti i sintomi aspecifici si apre un notevole ventaglio di ipotesi diagnostiche, che devono essere filtrate e vagliate sia con un attento esame obiettivo sia, soprattutto, con accertamenti tesi ad acquisire quelle informazioni che non sono state ricavate nelle fasi anamnestiche e con l’esame clinico; spesso gli esami vengono prescritti più con l’intento di escludere perlomeno le ipotesi più frequenti/gravi dal punto di vista fisiopatologico ed epidemiologico, senza privilegiare una sola ipotesi, che non con l'obiettivo di confermare una congettura diagnostica. 


Come afferma il filosofo Dario Antiseri “una mente pullulante di ipotesi riesce a cogliere, a rilevare, fatti che per altre menti povere di ipotesi sarebbero insignificanti o addirittura ignoti” da cui deriva "uno dei normali comandi della metodologia che, trascurato, può portare - come già vide Murri - a gravi errori. Questo comando suona; davanti ad un problema, fai proliferare le tue ipotesi (principio della proliferazione delle ipotesi)!"

In buona sostanza il processo può essere immaginato come una sorta di proliferazione e successiva “selezione naturale” di ipotesi diagnostiche concorrenti, al termine della quale sopravvive l'ipotesi più adatta a spiegare i sintomi e a dirimere i dubbi diagnostici. Più il sintomo è aspecifico e isolato più elevata è l’incertezza ed ampia sarà la gamma di ipotesi generate mentalmente e messe alla prova del processo di selezione per eliminazione progressiva fino alla diagnosi. Gli accertamenti diagnostici, in presenza di un sintomo aspecifico isolato, sono funzionali più che alla conferma alla cosiddetta diagnosi d’esclusione per confutazione progressiva di ipotesi.

In presenza di un sintomo specifico il quesito diagnostico nella richiesta di accertamenti sarà altrettanto specifico e dettagliato - ovvero sintomo+segno+sospetto ed eventuali comorbilità/rischi significativi - mentre nel sintomo aspecifico sarà il mero disturbo lamentato dal paziente, senza una chiara ipotesi esplicativa. Il primo procedimento diagnostico è la sintesi tra l'approccio induttivo bayesiano e quello ipotetico, mentre il secondo è squisitamente ipotetico-selettivo per eliminazione di ipotesi (nel canonico procedimento scientifico ipotetico-deduttivo si confrontano di solito due ipotesi teoriche alternative).

Spesso di fronte al sintomo aspecifico si deve attendere l'evolvere degli eventi che possono condurre ad un naturale chiarimento dei disturbi e ad una diagnosi grazie al miglioramento della specificità dei sintomi successivi: il tempo e/o le nuove informazioni sono il motore che fa progredire il processo diagnostico fino al suo esito finale (purtroppo nelle malattie rare questo processo è spesso assai lento fino a raggiungere gli anni).  In attesa che, grazie al fattore tempo, emergano altri "indizi", proprio come nella classica indagine giudiziaria, si devono prescrivere perlomeno alcuni esami di primo livello, con l'obiettivo di sfoltire la lista delle potenziali ipotesi.

Ad esempio di fronte ad un paziente con febbre o prurito isolato o astenia il numero di possibili malattie supera le decine, per cui non è possibile avanzare ipotesi diagnostiche specifiche; si dovrà quindi procedere per macro-ipotesi fisiopatologiche alternative (ad esempio origine infettiva, neoplastica, ematologica, immunologica e di origine sconosciuta) e quindi in prima battuta dovranno essere sondate tutte le piste “investigative”, con accertamenti a 360 gradi, per poi restringere via via il campo, ad esempio ad una ipotesi infettiva di natura virale, piuttosto che batterica o parassitaria.

Il processo di proliferazione/selezioni delle ipotesi utilizzato in presenza di sintomi aspecifici può essere assimilato al metodo scientifico descritto sinteticamente dal filosofo della scienza Karl Popper, in analogia all’evoluzione biologica: "Il progresso scientifico non consiste nell’accumulazione di osservazioni, ma bensì nell’eliminazione delle teorie meno buone e nella loro sostituzione con teorie migliori, in particolare con teorie che abbiano un contenuto maggiore. Si trattava quindi di una competizione fra teorie, una specie di lotta darwiniana per la sopravvivenza". Basta sostituire il termine "teoria" con "ipotesi diagnostica" e il gioco è fatto.

 P.S. Corte di cassazione - Sezione III civile - Ordinanza 30 novembre 2018 n. 30999

Nel 2001 M.A. decedette in seguito alle conseguenze della rottura di un aneurisma cerebrale. Nel 2002 la moglie ( C.A.) ed i due figli minori ( M.A. e G.) di M.A. convennero dinanzi al Tribunale di Nuoro Mu.Lu., F.R.M.N. e la AUSL n. (OMISSIS) di Nuoro, esponendo che:
  • il rispettivo marito e padre, M.A., il (OMISSIS) ebbe uno svenimento e, su indicazione del medico curante, si rivolse al pronto soccorso dell'ospedale (OMISSIS), dove venne visitato dalla dott.ssa F.R.M.N., la quale gli prescrisse unicamente una visita cardiologica ed il controllo della pressione sanguigna;
  • cinque giorni dopo ((OMISSIS)), sempre su indicazione del medico curante, a causa d'una preesistente cefalea M.A. tornò nel medesimo ospedale, dove venne visitato dalla dott.ssa Mu.Lu., la quale anche in questo caso non prescrisse particolari accertamenti diagnostici, limitandosi a prescrivere l'assunzione del farmaco Laroxil;
  • il (OMISSIS) M.A. venne colto da una emiparesi sinistra; questa volta, sempre nell'ospedale di (OMISSIS), venne sottoposto ad un esame TAC del cranio, che rivelò la presenza d'un ematoma intracranico, dovuto alla rottura d'un aneurisma:
  • sebbene il paziente, trasferito a (OMISSIS), fosse stato ivi sottoposto ad intervento chirurgico di evacuazione dell'ematoma e di chiusura della lesione che l'aveva provocato ("clippaggio" dell'aneurisma), M.A. decedette il (OMISSIS) a causa delle conseguenze del pregresso ematoma intracranico;
  • i sanitari dell'ospedale di (OMISSIS) furono imperiti e negligenti nella gestione del paziente, dal momento che non lo sottoposero tempestivamente a quegli esami (come una TAC del cranio) che avrebbero potuto rivelare la presenza dell'aneurisma, e consentire più tempestive e salvifiche cure.
Conclusione: la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari, la quale nel riesaminare il gravame applicherà il seguente principio di diritto: tiene una condotta colposa il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tre le molteplici e non implausibili diagnosi.

giovedì 3 gennaio 2019

Buon compleanno SSN! Ma attenzione alla "crisi di coppia".....

Nell’ultimo scorcio del 2018 il dibattito pubblico sul pianeta sanità è stato monopolizzato dal “compleanno” del SSN. La fondazione GIMBE nella persona del suo presidente Nino Cartabellotta ha celebrato i 40 anni del varo della legge 833 con un approfondito documento che analizza l’attuale situazione di crisi della sanità pubblica (https://www.gimbe.org/pagine/1200/it/un-logo-per-i-40-anni-del-servizio-sanitario-nazionale ; ma da sempre sanità, medicina e società hanno dovuto fare i conti con una crisi!). 

L'analisi del GIMBE utilizza la metafora della patologia cronica di cui soffre il sistema sanitario: la sua salute sarebbe gravemente compromessa “da quattro “patologie” (definanziamento pubblico, ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze, espansione incontrollata del secondo pilastro) e due “fattori ambientali” (collaborazione Stato-Regioni e aspettative di cittadini e pazienti)”.

Vorrei provare ad abbozzare una “diagnosi” della sofferenza del sistema partendo da un diverso approccio, ovvero ricostruendo l’anamnesi patologica remota e la storia recente dei segni di quella patologia/crisi attualmente in fase conclamata, dal punto d'osservazione del territorio. Lo farò ricorrendo ad un’altra chiave metaforica, ovvero le alterne vicende di una relazione di coppia, iniziata alla fine degli anni settanta, tra due partner: il SSN e la società, o per meglio dire i suoi utenti. Le alterne vicende della nostra coppia si possono ricostruire in quattro fasi storiche così schematizzabili.

1.L’idillio. Per tutti gli anni Ottanta, dopo il felice matrimonio celebrato nel dicembre 1978, la relazione è andata avanti a gonfie vele con grande soddisfazione per entrambi i partner.  Le promesse di felicità, implicite nella definizione di salute dell'OMS, sembravano realizzarsi con la soddisfazione tipica della fase nascente di una relazione: grande attenzione, premura e soprattutto disponibilità da parte di lui (il SSN) verso i bisogni  e i desideri di lei (la gente). Nulla veniva negato al partner o condizionato da vincoli economici: dai farmaci alla degenza ospedaliera la parola d’ordine era “tutto gratis a tutti”, di cui potevano godere in particolare le categorie che erano state escluse dal sistema mutualistico. Si poteva uscire dalla farmacia come da un superarket con il carrello della spesa ricolmo di ogni ben di dio: dai mucolitici ai polivitaminici, dagli epatoprotettori ai neurotrofici, dai gangliosidi ai cardiotonici, dai ricostituenti alle creme di ogni tipo, nulla veniva lesinato di un prontuario terapeutico che coincideva di fatto con l’intera offerta del mercato farmaceutico. 

Per non parlare dell’ospedale, dove la componente alberghiera era garantita a tutti indistintamente, con degenze lunghe che potevano sconfinare nella convalescenza. Insomma, un vero e proprio idillio, di cui potevano godere anche i medici, specie quelli “di base”, reduci dalla prima Convenzione nazionale che aveva incrementato la quota capitaria in proporzione inversamente proporzionale alla riduzione del massimale di assistiti. Insomma l’orizzonte ideale del SSN era quello dello stato sociale, della tutela a 360 gradi del bene pubblico salute, della socializzazione dei costi e dei servizi sanitari per tutta la popolazione e per ogni bisogno, condizione ritenuta giustamente necessaria per garantire e salvaguardare della salute per tutti.

2. La crisi. All’inizio degli anni Novanta si profilavano i primi segni di quella crisi di coppia che avrebbe contrappuntato tutto il decennio, complice la crisi finanziaria del 1992; la seconda riforma sanitaria tentava di mettere una pezza ai problemi economici, emersi nel frattempo dopo il periodo di generosità oblativa verso tutto e tutti. Una data in particolare segnava se non una vera e propria rottura perlomeno un momento di insoddisfazione, quasi una crisi coniugale: l’entrata in vigore all’alba del gennaio 1994 del nuovo Prontuario Terapeutico Nazionale (PTN) partorito dalla CUF faceva piazza pulita dell’ampia gamma di (pseudo)farmaci concessi gratuitamente e senza particolari condizioni a tutti. 

Da quel momento in avanti molti bisogni e desideri restavano insoddisfatti, parallelamente all’uscita dal PTN di intere categorie farmaceutiche, mentre si profilava un concorrente pronto a soddisfare le esigenze frustrate da parte di un SSN improvvisamente diventato severo e rigoroso: il mercato. Già la riforma del 1992, sulla spinta della crisi finanziaria, aveva socchiuso la porta al terzo incomodo con la priorità data all’aziendalizzazione delle strutture e con l’introduzione della logica efficientistica dei DRG. Per tornare ad usufruire di tutto ciò che il libero mercato farmaceutico proponeva, dopo la separazione rispetto ad un Prontuario ridotto all’osso, bastava recarsi in farmacia e mettere mano al portafoglio per ottenere ogni rimedio giudicato necessario, a partire dall’ampia gamma di medicine alternative.

3-La separazione. Dopo un terzo tentativo di riforma sul finire del secolo, che con l’obbligo di appropriatezza riduceva formalmente la conflittualità tra medico e paziente per le prescrizioni soggette a Nota, il clima tra i due tornava ad essere pesante, nonostante un certo allentamento sul fronte delle limitazioni dei farmaci con l'ingresso dei generici nel PTN. Nella seconda metà del decennio si inaugurava il capitolo, a lungo rinviato e che arriverà a compimento con il LEA 2016, delle limitazioni prescrittive nel settore della diagnostica per immagine mentre si inasprivano i relativi ticket, complice l’inizio della crisi economica nel 2008. 

La progressiva riduzione dei posti letto segnava l'arroccamento del'ospedale rispetto al territorio con alcune prevedibili conseguenze: allungamento ulteriore dei tempi d'attesa per i ricoveri, intasamento del PS per l'effetto collo di bottiglia e per il mancanza di strutture ambulatoriali alternative su cui far confluire lo squilibrio tra domanda inevasa ed offerta "razionata".  Insomma si accentuava ancora la divaricazione tra le attese, ipertrofizzate dall’apparato industrial-comunicativo e assecondate dalla politica, e ciò che era in grado di passare il convento, con conseguente frustrazione e insoddisfazione per la delusione patita dopo le reiterate promesse di salute/felicità per tutti.  

4-Il divorzio(?). A partire dalla fine del primo decennio del nuovo secolo, all’acme della recessione economica, la crisi di coppia sfociava nel prevedibile divorzio, sebbene non ancora formalizzato, con code di recriminazioni, dispute e insoddisfazione reciproca. Il cahier de dolenaces alla base della rottura è presto redatto  

  • lo sfondo resta quello della crisi economico-finanziaria epocale e dei perduranti i vincoli di bilancio per un debito pubblico inarrestabile su cui si innestano
  • il sottofinanziamento della sanità pubblica e la prevedibile carenza di medici per il pensionamento della generazione 833, spesso anticipato per "sfinimento", senza un'adeguata programmazione del ricambio generazionale
  • l’allungamento delle liste e dei tempi di d’attesa per prestazioni specialistiche ambulatoriali, ipertrofizzate dalla medicina difensiva, nonostante un tentativo razionalizzazione con l'introduzione dei codici di priorità
  • un'offerta di prestazioni cash, da parte del privato "puro", sempre pronta e abbondante 
  • nuovi balzelli per moderare i consumi, a partire dai tickett farmaceutici e soprattutto dai super-ticket per le prestazioni diagnostiche
  • l’esplosione di internet con conseguente attenuazione dell’asimmetria informativa tra medico e paziente che alimentava la disintermediazione rispetto alla “dominanza” professionale di un tempo
  • la diversificazione dell'offerta privata per soddisfare la richiesta di quel mitico “stato di completo benessere” promesso 50 anni prima dall’OMS
  • la rivalsa legale per le aspettative frustrate, alimentate da episodi di presunta malasanità ed ipotetici errori medici enfatizzati dai media
  • l’epidemia di malattie croniche, polipatologie, disabilità, invalidità, fragilità a fronte di un ritiro delle strutture nosocomiali nella sfera dell’acuzie
  • il continuo rilancio delle attese da parte dell’apparato tecnologico-industriale, in sinergia con le èlites professionali, oggetto peraltro della contestazione populista verso l’establishement
  • il rinvio sine die del rinnovo dei contratti e delle convenzioni che, con il nuovo anno, è arrivato ad uno storico record decennale, non certo invidiabile e da inserire a pieno titolo nel Guinnes dei primati
  • una riforma delle cure primarie, la Balduzzi del 2012, rimasta sulla carta per il disinteresse di alcune regioni a fronte di politiche sanitarie periferiche disomogenee e contraddittorie, specie sul fronte della Presa in Carico della cronicità.
Per rintracciare il filo conduttore dell'evoluzione quarantennale del sistema ci si deve rivolgere prima ancora del mercato o del "secondo pilatro", come suo sostituto, alla tecnologia, principale motore del cambiamento strisciante che ha investito il rapporto tra SSN e cittadini e causa prima della rottura relazionale; la ricerca biomedica d'avanguardia e la tecnologia applicata alla clinica hanno dettato l'agenda del cambiamento ed impresso il loro marchio sull'intero sistema, facendo da sponsor al supermarket della salute e comandando le danze con la sua formidabile spinta propulsiva per tutto il sistema. 

Dalla socializzazione dei costi per la salute della 833 si è via via scivolati verso il predominio culturale del mercato grazie alla sinergia con le innovazioni tecnologiche: basta osservare il gap di incremento della spesa farmaceutica ospedaliera, per farmaci biologici innovativi di nicchia, rispetto a quella territoriale, ormai "genericata" per l'80% e quindi sotto controllo. Per non parlare della telemedicina, della robotica, dell'informatica medica, dei trapianti d'organo o di staminali, della farmacogenomica, dell'immunoterapia oncologica, della bioingegneria, dell'editing genetico, delle protesi e della medicina rigenerativa, dell'IA applicata alla clinica, della nanomedicina etc.. Chi poteva immaginare, solo 15 anni fa, tutti questi sviluppi tecnologici e le loro ricadute sulla pratica?

C'è poco da fare, il grimaldello per aggirare i vincoli di bilancio pubblico sta nelle ricadute diagnostico-terapeutiche del tecno-medicale, a cui prima o poi il SSN si deve "arrendere" ed adattare, con l'inevitabile lievitazione dei costi e la riduzione della copertura sociale. Come rifiutare l'introduzione di un nuovo farmaco biologico/oncologico o dell'ultimo robot chirurgico se possono documentare riduzione di rischi e delle degenze, miglioramento di esiti clinici, qualità della vita e sopravvivenza?  

Il fattore tecno entra in sinergia con quello umano, indotto dal bisogno di benessere totale promesso della definizione di salute del 1948; il mercato si candida a vicariare le carenze del servizio pubblico per una piena tutela della "salute completa", grazie alle suadenti proposte del marketing e del disease mongering, in un circolo virtuoso (o vizioso a seconda dei punti di vista) difficile da scardinare. La tecnologia biomedica ed informatica hanno avuto un impatto determinante e fatto la differenza tra il panorama culturale degli anni settanta e l'odierna prevalenza del mercato. 

Insomma, è la tecnologia (più che il mercato) bellezza!