sabato 28 novembre 2020

La gestione organizzativa del Covid-19 (III): le carenze del territorio e la ridondanza

La ridondanza è ambigua, perché se non ci sono imprevisti sembra uno spreco. Il punto è che le cose insolite accadono, di solito. Nassim Nicholas Taleb

La campagna mediatica in atto da alcune settimane per trovare un comodo "colpevole" delle carenze e dei limiti della risposta sistemica alla pandemia ha preso di mira la sanità territoriale e in particolare il MMG. Nei precedenti post ho abbozzato un'analisi della risposta organizzativa al Covid-19, focalizzata sulle differenze tra ospedale e territorio, utilizzando la chiave di lettura della difesa del nucleo tecnico ( https://tinyurl.com/y5gln3g4 ) e la cornice concettuale del dilemma della complessità ( https://tinyurl.com/yyancahf ).

1-Negli ultimi 20 anni la gestione delle cure primarie si è progressivamente "ospedalizzata", nel senso che si è passati da un modello assistenziale artigianale, praticamente aperto all’ambiente, ad un sistema organizzativo chiuso a protezione di un embrionale nucleo tecnico. Fino alla prima riforma sanitaria del 1978 non vi era di fatto separazione tra la MG e il suo ambiente in quanto il “generico” vi era completamente immerso: o meglio il rapporto con l’ambiente era caratterizzato da una porosità fatta di H24, visite in studio senza appuntamento, assenza di collaboratori, conoscenza e legame stretto tra medico l’ambiente sociale e la comunità di cui era parte, scarsi vincoli prescrittivi ed ampia autonomia professionale per una sorta di delega in bianco alla professione della sanità sul territorio. Erano gli anni del tramonto del mutualista e del condotto che, specie nelle realtà rurali, era un punto di riferimento per la salute di tutto il paese, della culla al letto di morte.

A partire dagli anni ottanta e con un’accelerazione sul finire del secolo, a seguito dell’entrata in servizio dei MMG “specializzati” al Corso di formazione specifica, anche la medicina del territorio ha iniziato il processo di evoluzione organizzativa che è sfociato dapprima nelle medicine di gruppo e nella fase più recente nella diffusione delle case della salute, per iniziativa della parte pubblica nelle regioni più attente al territorio. Si è avviato un processo di differenziazione funzionale e dei compiti, affidati a diverse figure professionali, parzialmente autonome dal MMG, con un crescente complessità gestionale in una doppia direzione: da un lato con diversificazione dell’offerta, per venire incontro alla varietà della domanda e, dall’altro, con una maggiore selettività dei rapporti con l’ambiente. La spinta al cambiamento della gestionale è venuta sia dall’interno (necessità di rispondere all’aumento dei carichi di lavoro per la prevalenza delle patologie croniche su quelle acute) sia dall’esterno (parallelo incremento della componente burocratico-amministrativa e dei vincoli prescrittivi).

La diversificazione organizzativa è passata da un radicale cambiamento dei rapporti con l’ambiante, nel senso della regolazione dell’accesso al “nucleo tecnico”, ovvero alla consultazione medica. Fino a pochi decenni prima gli unici servizi che garantivano ai cittadini un'accessibilità incondizionata, senza alcun filtro al contatto, erano il PS in ospedale e sul territorio la MG. Con la progressiva introduzione degli appuntamenti per migliorare l’appropriatezza gestionale, clinica e temporale anche la MG si è allineata alle modalità di consultazione tipicamente ospedaliere, con due effetti collaterali empirici: allungamento dei tempi d’attesa per le visite su appuntamento e difficoltà di gestione delle urgenze e soprattutto delle pseudo-urgenze ambulatoriali e domiciliari, da sempre il tallone d’Achille della MG per via di richieste spesso inappropriate (le cosiddette “prestazioni non rinviabili”).

Di fatto in modo tacito e progressivo la mission professionale delle cure primarie si è spostata dalla risposta alle situazioni acute ed pseudo-emergenziali alla presa in carico e alla gestione della cronicità, sia a livello ambulatoriale sia domiciliare in caso di non-autosufficienza, disabilità, invalidità. Parallelamente la domanda per problematiche urgenti o percepite come tali si è spostata sulle strutture di PS, tecnologicamente attrezzare per valutare e rispondere alle condizioni di rischio, mentre il territorio, per un incolmabile dislivello di strumentazione tecnologico-specialistica, si è sempre più indirizzato verso la cronicità.

In pratica l’evoluzione organizzativa della MG ha tentato di ricomporre i due corni del dilemma della complessità, nel segno della difesa del nucleo tecnico: è aumentata la differenziazione dell’offerta organizzativa (visite su appuntamento, ambulatori dedicati, collaboratori di studio, ambulatorio infermieristico etc..) e in parallelo è stata accompagnata da una maggiore selezione della domanda, per indirizzarla verso il percorso organizzativo più appropriato tra quelli proposti, a scapito dell’accessibilità.

2-Di fronte allo shock pandemico questo modello organizzativo ha avuto maggiori difficoltà a mobilitarsi rispetto a quello ospedaliero, più diversificato ed appropriato nella gestione tecno-specialistica delle emergenze. Tuttavia la risposta ospedaliera è andata a scapito delle altre prestazioni rivolte a patologie acute non urgenti e soprattutto a quelle croniche ambulatoriali (rinvio di esami, visite specialistiche, accertamenti strumentali, day-hospital, ricoveri ed interventi programmati). Al contrario la medicina territoriale ha continuato a seguire questa fetta di popolazione, oltre a garantire un approccio diagnostico e terapeutico per i casi di Covid-19 meno impegnativi, seppure a distanza o con la delega alle USCA, “specializzate” e meglio attrezzate per affrontare l’elevato rischio infettivo domiciliare.

Riguardo alle forme organizzative più evolute e complesse, come le case della salute, il ritardo è evidente in molte regioni come la Lombardia; le scelte di policy hanno privilegiato il quasi mercato concorrenziale tra I° e II° livello, come leva di un cambiamento radicale, che tuttavia non si è concretizzato specie sul versante ospedaliero. Cionondimeno in passato la MG ha sempre gestito le epidemie influenzali facendo leva sulle proprie risorse e sulla riserva di ridondanza organizzativa, grazie all’approccio generalista trasversale e “toti potente”, per usare il gergo dell’eritropoiesi.  Ma con il Covid le cose si sono complicate a causa di un virus ben più insidioso e potenzialmente letale rispetto a quello influenzale ( https://tinyurl.com/y5arrejz ), come dimostrano i numeri dei colleghi caduti sul campo affrontando a mani nude il Sars-Cov 2 nella prima ondata. Era necessario un salto di qualità organizzativo per minimizzare l'elevatissimo rischio infettivo, che anche nella seconda fase è costato la vita di numerosi MMG pur dotati di adeguati DPI; solo in ospedale è stato possibile affrontare con maggiore sicurezza tale rischio a prezzo però di abbandonare buona parte delle attività cliniche e della domanda di prestazioni diagnostico-strumentali esterne.

Proprio per questi motivi solo strutture ben organizzate, poste in una posizione strategica di mediazione tra ospedale e studi dei MMG come la rete di distretti sanitari, potevano garantire quella riserva di ridondanza sistemica necessaria per mobilitare sul territorio risorse di resilienza e adattamento allo stress test pandemico. E’ pur vero che con le USCA si è tentato di correre ai ripari, proponendo un servizio dedicato al Covid-19 e non a caso di impronta specialistica ospedaliera centralizzata. Tuttavia la risposta operativa è stata inferiore alle necessità in molte regioni in quanto è mancato il supporto organizzativo della rete distrettuale territoriale, indebolita dai tagli dei servizi se non deliberatamente smantellata per precise scelte policy regionali come in Lombardia. In sostanza alla gestione extra-ospedaliera del Covid-19 è mancato soprattutto il coordinamento e il collante integrativo di una efficiente rete di presidi sanitari distrettuali sul territorio.

3-Da più parti per riformare la sanità territoriale viene proposta la traslazione del modello organizzativo ospedaliero sulle cure primarie, con la formula del poliambulatorio multiprofessionale, sul modello delle “case della salute” o delle Unità Complesse delle cure primarie, peraltro già previste dalla riforma Balduzzi ma rimaste sulla carta in molte zone. Questa soluzione è sicuramente adatta ai contesti urbani ad alta densità abitativa ma, per cause di forza maggiore, non si può estendere a tutte le aree geo-demografiche. Infatti il 30% circa degli italiani vive in comuni con meno di 10 mila abitanti e quasi il 20 sotto i 5 mila, dove lavorano da 1 a 6 MMG, spesso in zone disagiate, con popolazione sparsa in piccole frazioni dove è improponibile il modello della casa della salute urbana, per evidenti problemi logistico-infrastrutturali, di costi fissi e di economia di scala. Bisogna sottolineare che si tratta di aree già abbandonate dalla razionalizzazione della sanità pubblica, a base di chiusura di piccoli ospedali, lontane dai maggiori centri abitati e dai grandi nosocomi, con difficoltà di spostamenti e logistici, che favoriscono ancora di più lo spopolamento e l'abbandono del territorio, specie montano ed appenninico.

Il fatto è che nei piccoli comuni o in quelli un po' più grandi ma frazionati su un vasto territorio l’organizzazione dei cosiddetti "punti di cura" attrezzati con strumentazione tecnologica (ECG, ecografia, spirometria etc..) è impossibile per le limitate risorse professionali e ambientali; senza contare che per gestire la diagnostica con la dovuta garanzia di qualità e affidabilità servono MMG adeguatamente formati, con consolidata esperienza pratica, ovvero generalisti con "special interest" che non sono attualmente presenti su un "mercato" già gravemente deficitario per un ricambio generazionale incompleto. Insomma quello delle case della salute è destinato a restare un modello prettamente cittadino improponibile in aree a bassa densità abitativa, salvo garantire nelle zone disagiate il supporto di un'adeguata rete di teleconsulti specialistici, ormai è alla portata di ogni amministrazione regionale. Per queste popolazioni le cure primarie resteranno l'unico punto di riferimento sanitario e il MMG non potrà che mantenere il profilo artigianale e solitario che, per necessità ambientali, ha ricoperto socialmente fin dalla seconda metà dell'ottecento la figura del medico condotto.

giovedì 26 novembre 2020

COVID-19. Confronto tra 25 e 26 novembre, dati settimanali e mensili

   Confronto tra 25 e 26 novembre (tra parentesi i dati del giorno precedente)  

Numero

Percentuale

Totale nuovi casi

29003 (25853)

12,4 % (11,2%)

Positivi sintomatici

18235 (13917)

63% (55%)

Positivi asintomatici

10766 (11953)

37% (46%)

Ricoverati

-265 (-264)

Terapia intensiva

-2 (32)

Deceduti

+822 (722)

  • Casi totali 1509875
  • Tamponi 232711 (230007)
  • Dimessi guariti 661180 (-24031)
  • Deceduti 52850
  • I dati della settimana segnano una netta svolta nella seconda fase pandemica: calano vistosamente i nuovi casi, la percentuale dei tamponi positivi sul totale, i ricoveri ordinari e anche quelli in TI, anche se aumentano i decessi per via del ritardo rispetto al picco. Anche i dimessi guariti aumentano in modo significativo a dimostrazione delle osservazioni di chi lavora sul territorio e diagnostica in maggioranza forme cliniche paucisintomatiche, con sintomi sfumati, nuovi (dalla cefalea alle mialgie) o spesso asintomatici. Tutti gli indicatori convergono a dimostrare gli effetti positivi dell'ultimo DPCM.
  • I dati parziali del mese di novembre sono impressionanti, sia rispetto all'andamento estivo sia a quello della primavera: in pratica nei 26 giorni di questo mese tutti gli indicatori sono più che raddoppiati rispetto ai dati di ottobre, sia degli indicatori dinamici (ricoverati) che di quelli cumulativi (nuovi casi e in minor misura decessi). In particolare da marzo a fine ottobre erano stati registrati 679430 casi che al 26 novembre sono diventati oltre 1,5 milioni, i decessi sono passati da 38618 a 52850, i dimessi guariti erano 289426 e al 26 novembre sono 661880.
  • I dati odierni confermano la tendenza degli ultimi giorni: i tamponi positivi sul totale sono  aumentati dell'1% e la percentuale dei sintomatici è arrivata al 63; i degenti per il secondo giorno diminuiscono di 260 e di 2 quelli in terapia intensiva, ma sono più di 800 i decessi.
  • I dati delle regioni sono in linea con quelli di ieri: la Lombardia supera i 5 mila casi, seguita dalla Campania dal Veneto con oltre 3 mila (nessuna regione a 0 casi) e in 12 regioni si registrano meno di 1000 nuovi casi.
2-Andamento settimanale e mensile









3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni




domenica 22 novembre 2020

COVID-19- Dati mensili al 21 novembre e confronto 21-22 novembre

  Confronto tra 21 e 22 novembre (tra parentesi i dati del giorno precedente)  

Numero

Percentuale

Totale nuovi casi

 28377 (34767)

15% (14,6%)

Positivi sintomatici

 14780 (18760)

52% (54%)

Positivi asintomatici

 13557 (16004)

48% (46%)

Ricoverati

 +216 (105)

Terapia intensiva

 +43 (10)

Deceduti

 +562 (692)

  • Casi totali 1408868
  • Tamponi  188747 (237225)
  • Dimessi guariti 533098
  • Deceduti 49823
  • I dati parziali del mese di novembre sono impressionanti, sia rispetto all'andamento estivo sia a quello della primavera: in pratica nei 21 giorni di questo mese tutti gli indicatori sono raddoppiati rispetto ai dati di fine ottobre, che aveva già registrato un notevole incremento sia degli indicatori dinamici (ricoverati) che di quelli cumulativi (nuovi casi e in minor misura decessi).
  • In particolare da marzo a fine ottobre erano stati registrati 679430 casi che al 21 novembre sono diventati 1380521 mentre i decessi sono passati da 38618 a 49261.
  • Nella settimana la media dei positivi supera il 16% rispetto al 13 della settimana precedente mentre si registra una significativa riduzione dei ricoveri ed anche della percentuale di sintomatici (52%) rispetto agli asintomatici (48%).
  • I dati odierni segnalano alcune tendenze positive: si riducono dell'0,5% i tamponi positivi sul totale con il 52% di sintomatici, i degenti in terapia intensiva aumentano di una quarantina, ma sono quasi 562 i decessi, e i ricoveri ordinari superano di poco i 200.
  • I dati delle regioni non si discostano da quelli di ieri: la Lombardia supera i 5 mila casi, seguita dalla Campania con oltre 30 mila e da Veneto, Emilia, Piemonte e Lazio con oltre 2 mila (nessuna regione a 0 casi) mentre in 12 regioni si registrano meno di 1000 nuovi casi.
2-Andamento settimanale e mensile









3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni

Numero di casi di COVID-19 segnalati in Italia per classe di età e letalità (%) (dato disponibile per 1.039.525 casi)

Curva epidemica dei casi di COVID-19 segnalati in Italia per data di prelievo o diagnosi (verde) e per data di inizio dei sintomi (blu) Nota: il numero dei casi riportato negli ultimi giorni (riquadri grigi) deve essere considerato provvisorio sia per possibili ritardi di segnalazione che di diagnosi.

Proporzione (%) di casi di COVID-19 segnalati in Italia negli ultimi 30 giorni per stato clinico e classe di età (dato disponibile per 427.203 casi)

Proporzione (%) di casi di COVID-19 segnalati in Italia negli ultimi 30 giorni per classe di età (dato disponibile per 639.894 casi)

sabato 21 novembre 2020

La gestione organizzativa del Covid-19 (II): alle prese con il dilemma della complessità

K. Popper: “La consapevolezza non inizia con la cognizione o con la raccolta di dati o fatti, ma con i dilemmi”.

Nel post precedente (http://curprim.blogspot.com/2020/11/gestione-del-covid-19-sul-territorio-e.html) ho cercato di illustrare in modo schematico qual'è la strategia adottata dalle organizzazioni complesse ed alta densità tecnologico-specialistica per affrontare la sfida dell'incertezza e del caos ambientale.

La mission dell'organizzazione è quella di preservare l'integrità funzionale del nucleo tecnico, "sigillandolo" nel cuore della struttura al fine di:

  • mantenere un sistema chiuso a tutela della razionalità tecnica 
  • garantite la massima efficienza procedurale
  • grazie alla selettività delle relazioni con l'esterno
  • possibile per le barriere erette a protezione dalle perturbazioni e dall'incertezza ambientale.

Questa è stata la risposta del sistema ospedaliero all'assalto del Coronavirus, che ha assediato e in parte conquistato la struttura, prima che si mettesse in atto la strategia difensiva di blocco dei servizi  periferici al confine (chiusura dei poliambulatori, annullamento e rinvio delle prestazioni diagnostiche, dei ricoveri, day-hospital etc..).

In questo drammatico frangente le organizzazioni hanno dovuto affrontare il dilemma della complessità che è così sintetizzabile: per affrontare la complessità del proprio ambiente di riferimento conviene aumentare la complessità interna del sistema organizzativo, oppure è meglio selezionare una porzione dell'ambiente a cui rispondere in modo elettivo?

Tra i due corni del dilemma della complessità la gestione ospedaliera ha optato per la soluzione proposta dal sociologo N. Luhman, secondo il quale "un sistema è delimitato da un confine tra sé stesso e il proprio ambiente, caratterizzato da una complessità esterna infinita o caotica. L’interno del sistema è quindi una zona di complessità ridotta. La selezione di una quantità limitata delle informazioni disponibili all’esterno è il processo è chiamato “riduzione della complessità”. Semplificando il sistema, il suo grado di libertà aumenta e migliora l’efficacia della risposta" (https://www.cuoaspace.it/2019/07/il-dilemma-della-complessita.html).

La risposta della gestione ospedaliera alla pandemia è chiaramente riconducibile e questo modello. Vi è però un'alternativa a questo schema di reazione ed è l'altro corno del dilemma della complessità nelle organizzazioni in generale. Si tratta della cosiddetta legge della varietà necessaria, formulata dal neurobiologo e cibernetico W.R. Ashby che recita “per controllare un sistema di una certa varietà è necessario un sistema di controllo avente una necessaria varietà”. La legge di Ashby applicata ai sistemi organizzativi "comporta che all’aumentare della complessità ambientale (espressa in termini di varietà esterna) deve crescere il livello di varietà (diversità) interna. La complessità organizzativa interna è quindi la risposta adattativa alla complessità esterna". 

La direzione che prende l'organizzazione per per far fronte alla complessità ambientale è quella della differenziazione funzionale in sotto-unità specializzate, che in medicina è del tutto tipica ed evidente, tanto che ormai siamo arrivati alla sub-differenziazione all'interno della stessa specializzazione (ad esempio la virologia all'interno della microbiologia piuttosto che l'aritmologia nel contesto della cardiologia o la rinologia nell'ambito dell'ORL e così via).

Tuttavia come conseguenza della pressione pandemica sulle strutture si è assistito contemporaneamente ad una ibridazione dei due corni del dilemma della complessità, in una sintesi virtuosa

1-nella dimensione funzionale della gestione clinica il sistema si è differenziato in 5 sotto-sistemi: zone filtro in PS con percorsi dedicati separati dai percorsi no-covid (dove possibile), reparti Covid-dedicati per i casi meno gravi, degenze sub-intensive e letti in terapia intensiva per i casi più gravi, reparti per post-acuti o di riabilitazione funzionale dopo la degenza.

2-per rispondere più efficacemente, dopo il filtro all'accesso dell'onda d'urto dei malati Covid-19, si è creata una vasta area clinica generalista, a cavallo tra infettivologia, virologia clinica, pneumologia, immunologia, ORL, medicina interna e terapia intensiva, in cui si sono rimescolate le carte rispetto alle tradizionali divisioni e separazioni disciplinari. 

In sostanza per far fronte alla perturbazione virale il sistema si è de-specializzato, mobilitando tutte le risorse di ridondanza adattativa dell'organizzativa, disponibili ma latenti e indispensabili per rafforzare la resilienza all'impatto dello shock pandemico sulla struttura; secondo Taleb le riserve di ridondanza funzionale sono essenziali per aumentare l'antrifraglità/resilienza del sistema, ovvero assorbire senza danni gli stress da impatto di un "cigno nero" sulla gestione dell'organizzazione ( http://www.manifestoantifragile.it/principi-antifragili/ridondanza-adattativa  ). La ridondanza funzionale è stata mobilitata nella misura in cui ogni settore clinico di matrice internistica ha contribuito in modo generalista, e non da specialista o super-specialista, alla gestione dei casi, categorizzati in base alla gravità clinico-assistenziale e non alla tipologia d'organo/apparato interessato (anche perchè i più a rischio sono gli anziani polipatologici). 

Nella gestione del Covid-19 si è realizzata nei fatti, e forse per necessità, quella integrazione tra diverse professioni spesso evocata ma non sempre attuata nelle pratiche organizzative. In sostanza attorno al Covid-19 si creata una nuova forma organizzativa ad hoc, si è ristrutturato un sistema "creato dal problema". La ristrutturazione del sistema ha aumentato la varietà della risposta ad una specifica  situazione emergenziale, seppur a scapito della domanda di prestazioni in altre aree patologiche, per far fronte ad una gamma di intensità clinico-assistenziale.

Tutti gli specialisti coinvolti, in sostanza, sono diventati un po' virologi, pneumologi, internisti, immunologi, intensivisti etc.. rinunciando per un limitato periodo di tempo alla propria identità/differenziazione specialistica, per assumere il ruolo del jolly a protezione del nucleo tecnico intensivistico. Insomma da specialisti garanti di elevate performances in una disciplina clinica sono dovuti "regredire" al ruolo di tuttologi, un po' come accade nell'atletica leggera allo sportivo che decide di gareggiare nel decatlon, dove sono richieste prestazioni medie di buon livello in tutte le gare previste e non serve per vincere una prestazione da finale olimpica in una singola disciplina.

E sul territorio, come sono andate le cose? Come si coniuga questo schema analitico nel contesto delle cure primarie? (2-continua).

COVID-19. Confronto tra 20 e 21 novembre, evoluzione settimanale e mensile

 Confronto tra 20 e 21 novembre (tra parentesi i dati del giorno precedente)  

Numero

Percentuale

Totale nuovi casi

  34767 (37242)

14,6% (15,9%)

Positivi sintomatici

  18760 (22565)

54% (61%)

Positivi asintomatici

 16004 (14674)

48% (39%)

Ricoverati

 +105 (347)

Terapia intensiva

 +10 (72)

Deceduti

 +692 (699)

  • Casi totali 1380531
  • Tamponi 237225 (ieri 238000)
  • Dimessi guariti 41
  • Deceduti 49261
  • I dati odierni segnalano alcune tendenze positive: si riducono dell'1,5% i tamponi positivi sul totale con il 52% di sintomatici, i degenti in terapia intensiva aumentano di una sola decina, ma sono quasi 700 i decessi, e i ricoveri ordinari sono poco più di 100.
  • La Lombardia supera gli 8 mila casi, seguita dal Veneto e dalla Campania con oltre 3 mila (nessuna regione a 0 casi) mentre in 11 regioni si registrano meno di 1000 nuovi casi.
  • Nella settimana la media dei positivi supera il 16% rispetto al 13 della settimana precedente mentre si registra una significativa riduzione dei ricoveri ed anche della percentuale di sintomatici (52%) rispetto agli asintomatici (48%).
2-Andamento settimanale e mensile









3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni

Numero di casi di COVID-19 segnalati in Italia per classe di età e letalità (%) (dato disponibile per 1.039.525 casi)

Curva epidemica dei casi di COVID-19 segnalati in Italia per data di prelievo o diagnosi (verde) e per data di inizio dei sintomi (blu) Nota: il numero dei casi riportato negli ultimi giorni (riquadri grigi) deve essere considerato provvisorio sia per possibili ritardi di segnalazione che di diagnosi.

Proporzione (%) di casi di COVID-19 segnalati in Italia negli ultimi 30 giorni per stato clinico e classe di età (dato disponibile per 427.203 casi)

Proporzione (%) di casi di COVID-19 segnalati in Italia negli ultimi 30 giorni per classe di età (dato disponibile per 639.894 casi)

giovedì 19 novembre 2020

La gestione organizzativa del Covid-19 (I): le carenze della medicina territoriale

Si sente dire che la medicina del territorio si è dimostrata impreparata a fronteggiare la pandemia, che i MMG non fanno abbastanza sul fronte del Coronavirus, che la medicina territoriale è arretrata e sostanzialmente fallimentare. Questa vulgata viene ripetuta con enfasi retorica da settimane sui media, tanto da aver fatto breccia presso l'opinione pubblica ed essere diventata atto di accusa pubblico verso la MG. Le cose stanno proprio così? In realtà da una indagine sociologica pubblicata a giugno 2020 sembra emergere un'opinione degli italiani per nulla critica verso la "sanità di base", seppur con variegate sfumature regionali.

https://inapp.org/it/inapp-comunica/sala-stampa/comunicati-stampa/fase-3-inapp-“6-italiani-su-10-promuovono-ssn-ora-rilanciare-i-servizi-territoriali”

Per quanto riguarda le presunte carenze della medicina del territorio è bene ricordare alcuni dati di fatto, che sembrano sfuggire ai più. Dal mese di marzo i MMG hanno continuato a seguire i malati cronici in studio ed in assistenza domiciliare, rispondono giornalmente a decine di telefonate della gente spaventata e disorientata, dando informazioni, appuntamenti, prescrivendo farmaci ed accertamenti mentre per mesi è stato praticamente impossibile comunicare con molte strutture sanitarie; inoltre poliambulatori e distretti sanitari sono rimasti chiuse al pubblico, mentre ricoveri, visite specialistiche ed accertamenti diagnostici già programmati sono stati rinviati sine die, anche nei mesi estivi quando il coronavirus era in letargo. 

Peraltro il MMG fino a poche settimane fa aveva il mandato di evitare i contatti con i pazienti sospetti o affetti, onde evitare ciò che è accaduto in primavera quando quasi un centinaio di colleghi sono stati contagiati e non sono più tra noi. Basta fare quattro conti per calcolare quanto tempo e impegno serve per diagnosticare, denunciare, prescrivere farmaci o accertamenti, mantenere i contatti, monitorare, certificare ed ricontrollare al termine della quarantena con i tamponi tutte le centinaia di migliaia di nuovi casi che settimanalmente si sono aggiunti dalla meta di ottobre fino alla metà di dicembre.

Mediamente ogni nuovo caso di Covid viene gestito con questi tempi e modi:

Per seguire tutti questi malati a domicilio i medici di famiglia dovrebbero distogliere tempo ed energia indirizzate alle cure di tutti gli assistiti con problematiche croniche ed acute, che continuano ad afferenti agli studi sul territorio rimasti sempre aperti e disponibili, per focalizzare il proprio intervento esclusivamente sulla gestione dell'emergenza infettiva. Peraltro la terapia e la gestione domiciliare dei pazienti Covid-19 più impegnativi dal mese di marzo è garantita dalle USCA, appositamente create e formate per queste specifiche funzioni, dotate di idonei DPI e formate per tali compiti, compresi i tamponi a domicilio e le ecografie polmonari. Con le USCA si è scelta la strada della "specializzazione" funzionale per differenziazione dei compiti professionali. La risposta organizzativa delle USCA è di matrice ospedaliera, estranea alla cultura e alle pratiche territoriale, perchè risponde alle nuove esigenze epidemiche con una gestione di tipo nosocomiale. 

A nessuno viene in mente, ad esempio, di chiedere ai colleghi della USCA di gestire anche gli altri  problemi di salute dei pazienti polipatologici che visitano a domicilio: il loro mandato è chiaro e ben delimitato! Alla MG invece si chiede di fare l'uno e l'altro, ovvero continuare seguire tutti i pazienti acuti e cronici in studio come sempre, con visite ambulatoriali e domiciliari, gestire diagnosi e contatti telefonici con i sospetti covid, con tutte le annesse procedure informatiche e certificative, visitare e gestire i pazienti Covid a domicilio, fare tamponi rapidi e le vaccinanzioni etc.. Il tutto con le stesse risorse organizzative ed umane che già prima della pandemia erano deficitarie, in particolare in alcuni contesti socioeconomici.

In primavera tutte le risorse interne all'ospedale sono state deviate sulla gestione dell'emergenza pandemica, ad esempio spostando impersonale medico ed infermieristico nei reparti di medicina e pneumologia riconvertiti a Covid, con l'effetto di paralizzare di fatto le altre attività assistenziali rivolte all'ambiente esterno al nosocomio, dalle visite specialistiche agli accertamenti diagnostici, dagli interventi chirurgici alle prestazioni in day-hospital etc... L'ospedale si rinchiuso in se stesso, ha eretto nuove barriere per contenere l'influenza ambientale, si è protetto dall'incertezza e dalle perturbazioni provenienti dalla società, ha reindirizzato tutte le risorse umane, infrastrutturali e tecnologiche per preservare il nucleo tecnologico e specialistico dal subdolo assalto del virus, che si insinuava in ogni stanza, in ogni servizio. Cosa sarebbe accaduto sul territorio se le cure primarie avessero adottato la stessa soluzione organizzativa? A nessuno ovviamente viene in mente di biasimare internisti, immunologi e pneumologici perchè hanno tralasciato le attività ambulatoriali privilegiando il Covid-19 e abbandonando a loro stessi i pazienti!

Questa sorta di riflesso condizionato manageriale è stato definito negli sessanta da J.D. Thompson che per primo ha descritto l'obiettivo primario della gestione razionale delle organizzazioni complesse, tecnologicamente differenziate e specializzate (si veda il PS): la difesa del proprio nucleo tecnico dalle influenze perturbanti dell'ambiente, compito attribuito alle strutture di confine che hanno relazioni con l'esterno e possono svolgere la funzione di filtro all'accesso, come ad esempio il PS. Nel nucleo tecnico si può esprimere la massima efficienza e la razionalità dei processi seriali ad alta densità tecnologica, in quanto sistema chiuso e "sigillato" rispetto all'imprevedibilità e all'incertezza provenienti dall'ambiente.

In sostanza il coronavirus ha avuto un impatto destabilizzante sulle strutture a più elevata concentrazione tecno-specialistica, che si sono dovute riconvertire e ristrutturare in poche settimane per fare fronte all'emergenza infettiva, preservando il nucleo tecnico delle Terapie Intensive dalla saturazione per l' "assedio" del Covid-19. La chiusura ha avuto una duplice valenza: prima di tutto per evitare il più possibile l'accesso del virus alla struttura (percorsi covid dedicati in PS, intere strutture covid-free etc..) e secondariamente per proteggere il più possibile le TI dalla saturazione (aree sub-intensive, riconversione dei reparti di medicina e pneumologia etc.). Insomma il modello di Thompson della chiusura a riccio è scattato in modo automatico e spontaneo in tutte le strutture per far fronte all'emergenza tagliando i ponti con l'ambiente.

Al contrario la medicina del territorio più distribuita, meno organizzate e meno "tecnologica" ha potuto continuare la propria attività clinico-assistenziale rivolta a 360 gradi alle patologie acute e croniche sul territorio, fronteggiando nel contempo a distanza anche i casi di Covid-19 paucisintomatici e meno impegnati sul piano respiratorio, pur con i propri limitati mezzi diagnostico-terapeutici ed organizzativi. Per rispondere ancor più efficacemente al Covid-19 la MG doveva costituirsi a "nucleo tecnico" infettivologico territoriale, erigendo una barriera invalicabile per tutte le altre patologie che afferiscono normalmente agli ambulatori, per dedicarsi alla sola pandemia sul modello delle USCA. Si provi ad immaginare gli effetti di una simile chiusura degli studi dei MMG, così come sono stati inaccessibili al pubblico i poliambulatori e servizi diagnostici ospedalieri e territoriali. 

Invece grazie alle sue caratteristiche organizzative (distribuzione a rete non gerarchica, frammentazione territoriale, approccio informale e personalizzato, scarsa dotazione tecnologica e di personale, compensata da flessibilità gestionale etc..) la MG ha continuato ad operare, seppur regolamentando l'acceso con gli appuntamenti onde evitare affollamento delle sale d'attesa. Certamente si poteva fare di più anche sul territorio, specie se le cure primarie fossero state supportate da un'organizzazione distrettuale articolata e solida e non lasciate a se stesse da tempo, senza una governance e adeguati investimenti come dimostra la decennale vacanza contrattuale. 

Sempre da una decina di anni si attende in Lombardia l’applicazione della Riforma Balduzzi, che doveva incentivare le aggregazioni dei medici di MG o AFT e le strutture multiprofessionali della medicina territoriali. In compenso nella nostra regione la rete dei distretti sanitari è stata dismessa all’inizio del secolo, in nome della concorrenza tra aziende e gestori sul mercato sanitario, che invece potevano costituire assieme alle AFT un valido supporto organizzativo per far fronte alla pandemia, coordinare la rete territoriale facendone emergere risorse e potenzialità. Di questo vuoto organizzativo stiamo pagando tutti, per un verso o per un'altro, le conseguenze.

PS. Principali proposizioni del modello di Thompson (da l' "Azione organizzativa", Ed Isedi)

  • Secondo razionalità, le organizzazioni cercano di chiudere ermeticamente i loro nuclei tecnologici alle influenze ambientali
  • Secondo razionalità, le organizzazioni cercano di costituire protezioni per ridurre l'impatto delle influenze ambientali circondando i loro nuclei tecnici con componenti di input e  di output,
  • Secondo razionalità, le organizzazioni cercano di anticipare e di adattarsi a quei mutamenti ambientali che non si possono evitare o attenuare;
  • Quando protezione, attenuazione e previsione non salvaguardano i loro nuclei tecnici dalle fluttuazioni ambientali, le organizzazioni sottoposte a norme di razionalità ricorrono al razionamento. Si tratta di espedienti di manovra che forniscono all'organizzazione una certa capacità di autoregolazione nonostante l'interdipendenza con l'ambiente. 

sabato 14 novembre 2020

COVID-19. Confronto tra 13 e 14 novembre e andamento settimanale

Confronto tra 13 e 14 novembre (tra parentesi i dati del giorno precedente)  

Numero

Percentuale

Totale nuovi casi

 37255 (40902)

16%(16%)

Positivi sintomatici

 21170 (22721)

57%(56%)

Positivi asintomatici

16079 (18181)

43%(44%)

Ricoverati

 +484 (1041)

Terapia intensiva

 +76 (60)

Deceduti

 +544 (550)

  • Casi totali 1144552
  • Tamponi 227695 (ieri 254908)
  • Dimessi guariti 414434
  • Deceduti 44683
  • La Lombardia supera gli 8 mila casi seguita dal Piemonte con 4473 e dalla Campania con quasi 3500 (nessuna regione a 0 casi) mentre 11 regioni registrano meno di 1000 nuovi casi.
  • La percentuale settimanale di positivi arriva al 13,2 rispetto al 10,5 della settimana precedente mentre restano stabili i ricoveri.
  • I sintomatici si stabilizzano al 57% contro il 43% degli asintomatici.
2-Andamento settimanale e mensile

Percentuale settimanale di positivi sul totale di tamponi eseguiti (in migliaia) e ricoverati.





Andamento mensile dei nuovi casi da marzo: dal 25 giugno i nuovi casi sono differenziati in nuovi casi dal sospetto diagnostico (sintomatici) e casi individuati con screening (asintomatici). 





3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni

Numero di casi di COVID-19 segnalati in Italia per classe di età e letalità (%) (dato disponibile per 1.039.525 casi)

Curva epidemica dei casi di COVID-19 segnalati in Italia per data di prelievo o diagnosi (verde) e per data di inizio dei sintomi (blu) Nota: il numero dei casi riportato negli ultimi giorni (riquadri grigi) deve essere considerato provvisorio sia per possibili ritardi di segnalazione che di diagnosi.

Proporzione (%) di casi di COVID-19 segnalati in Italia negli ultimi 30 giorni per stato clinico e classe di età (dato disponibile per 427.203 casi)

Proporzione (%) di casi di COVID-19 segnalati in Italia negli ultimi 30 giorni per classe di età (dato disponibile per 639.894 casi)