giovedì 12 novembre 2020

Sensibilità dei test rapidi antigenici, ovvero come contenere i falsi negativi

A proposito di test rapidi antigenici c'è un accordo generale sulla loro utilità negli screening, ma meno per la diagnosi vista la loro sensibilità non proprio ottimale, come ha sottolineato il prof. Crisanti.

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/o4oGR9qmvUz9/content/diagnosticare-covid-19-gli-strumenti-a-disposizione.-il-punto-dell-iss

Il recente ACN ha definito le seguenti indicazioni al test rapido per i propri assistiti:

a) i contatti stretti asintomatici individuati dal medico di medicina generale oppure individuati e segnalati dal Dipartimento di Prevenzione in attesa di tampone rapido;
b) caso sospetto di contatto che il medico di medicina generale si trova a dover visitare e che decide di sottoporre a test rapido;

Nel caso b quindi il test è consigliato in presenza di un sospetto clinico in soggetto che ha avuto un contatto stretto con un malato, quindi a fini diagnostici. Ora non serve un master in statistica medica ad Oxford per sapere quanto sia insidioso un test con una bassa sensibilità diagnostica, in presenza di sintomi sospetti, per il rischio di considerare sani soggetti in realtà malati, ma risultati falsamente negativi al test, che circoleranno inconsapevoli di essere contagiosi.

Nel caso del Covid-19 un 30% di portatori del virus potrebbero avere un test falsamente negativo e quindi andarsene tranquillamente in giro a contagiare il prossimo. In linea generale un test con sensibilità elevata è utile per escludere una diagnosi quando i risultati sono negativi, ma se la sensibilità è bassa il rischio è di prendere per sani soggetti affetti, con intuibili risvolti prognostici, per l'incolumità del soggetto e medico-legali per la diffusione del virus.

Generalmente quando si sospetta di essere incappati in un falso negativo si ripete il test oppure, più razionalmente, ci si affida ad un esame alternativo con sensibilità più elevata per confermare/smentire il risultato dubbio del primo. E' inutile sottolineare quanto sia rischioso dare per affidabile un esito falsamente negativo, ad esempio una radiografia del torace negativa in presenza di tosse persistente in un forte fumatore piuttosto che un ECG normale in un soggetto con dolore toracico sospetto (i PDTA per la gestione del dolore toracico in PS sono indirizzati a minimizzare il rischio di falsi negativi per un'eventuale dimissione accettabile).

Il fatto è che le indicazioni circa l'interpretazione clinica dei test antigenici indicano di sottoporre a tampone molecolare di conferma solo i soggetti POSITIVI al test rapito, per il rischio di positività crociata con altri Coronavirus, MA non quelli risultati NEGATIVI, come ci si potrebbe aspettare in base alle considerazioni precedenti; invece anche l'esito negativo dovrebbero essere confermato da un test più sensibile, come il tampone molecolare.

Quindi ci troviamo di fronte ad un test con un doppio esito potenzialmente incerto, sia sul fronte della sensibilità che su quello della specificità, ma ovviamente il rischio clinico e soprattutto epidemiologico associato al falso negativo (far circolare un positivo potenzialmente contagioso) è superiore a quello dell'ipotetico falso positivo (mettere in quarantena un soggetto non infetto). Per scongiurare entrambe le eventualità servirebbe quindi un tampone molecolare di conferma per i due esiti, ovvero per i soggetti positivi ma (soprattutto) per quelli negativi.....

Insomma le linee guida contrastano con le decisioni razionali e le buone pratiche che ogni medico mette in atto di fronte a test con bassa sensibilità.

P.S. I criteri inseriti nell'ACN per i tamponi non hanno a che fare con lo screening - situazione di uso elettivo dei test rapidi - ma danno indicazioni sostanzialmente diagnostiche, al fine di individuare positivi sintomatici o asintomatici in cui il falso negativo sarebbe da evitare accuratamente, specie in presenza di una clinica significativa per il rischio di lasciare a piede libero un positivo giudicato "falsamente sano".

Nel caso a) tra l'altro le attuali disposizioni prevedono il tampone molecolare al 10° giorno per poter finire la quarantena: che senso ha quindi fare prima di quella data un tampone rapido a scadente sensibilità se poi cmq serve quello molecolare per decretare la fine della quarantena? E' solo un'inutile doppione, per giunta inaffidabile.

Quanto al caso b) se il contatto stretto sviluppa una sintomatologia è assai probabile che sia un Covid. In caso di tampone rapido negativo, si chiude l'iter diagnostico e si da il via libera ad un sintomatico?

In questa situazione il rischio di avere falsi negativi, specie nelle prime fasi dell'infezione, non è indifferente e consiglierebbe di fare il test molecolare per una conferma della negatività, che invece è prevista solo per l'esito positivo, esattamente il contrario di ciò che si fa normalmente nel dubbio di un falso negativo secondo elementari regole di prudenza e di prevenzione della malapratica. E' come se in presenza di una precordialgia in PS ci si fidasse ciecamente di un ECG negativo, spedendo a casa il paziente, o in caso di emoftoe ci si accontentasse di un Rx torace normale per risolvere il caso. La bassa sensibilità di un test è la trappola in cui si può cadere se ci si fida troppo della tecnologia rispetto al fiuto/occhio clinico, all'esperienza o all'anamnesi.

Sono esempi classici di 2 bias complementari che potrebbe evitare anche un neo-laureato: quello di ricerca soddisfatta e quello di chiusura anticipata del processo diagnostico. Insomma in quanto a metodologia clinica siamo alle elementari per quella che appare una sorta di induzione collettiva di bias cognitivi.

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