mercoledì 21 settembre 2016

Confronto tra CReG lombardi e Governo Clinico dell'ATS di Brescia

Attorno alle patologie croniche, da una quindicina di anni, si affollano progetti per affrontare quella sorta di pandemia che ormai interessa non solo le nazioni più ricche e sviluppate del pianeta. L’area delle cure primarie è investita da una varietà di proposte gestionali e modelli organizzativi, contrassegnati da altrettanti strani acronimi: CCR (Cronic Care Model), DM (Disease Management), CReG (Cronic Realted Group), GC (Governo Clinico) etc..

Gli ultimi due riguardano specificatamente la regione Lombardia, in cui si sono sviluppati nell’ultimo decennio: l’uno, il Governo Clinico, a livello provinciale dal 2005 (ASL ora ATS di Brescia: https://reteunire.wordpress.com/info/la-rete-unire-alla-prova-del-governo-clinico/ ) e l’altro invece a dimensione regionale dal 2010, seppur in un primo tempo in forma sperimentale solo in alcune ASL ( http://tinyurl.com/hxk95vp, http://tinyurl.com/gvlo5oz ).

Se si confrontano l'impianto "teorico", il metodo e gli esiti dei CReG con il razionale e i risultati dell'esperienza decennale di GC le differenze appaiono evidenti.  In comune hanno il medesimo oggetto (la gestione delle patologie croniche) ma per il resto le differenze di impostazione, metodo ed obiettivi non mancano. Proviamo a confrontare schematicamente il profilo "diagnostico" differenziale dei due modelli.

   Progetto bottom-up versus top-down e poco condiviso. E' stato osservato che nessuno degli ideatori dei CReG si è preoccupato di consultare i diretti interessati nel momento di progettare l'apparato organizzativo proposto alla Medicina Generale; la normativa è stata calata dall'alto, a prescindere dalle condizioni del contesto e dalle pratiche della medicina del territorio. Esattamente l'opposto del GC, nato dall'esperienza di gestione del diabete mellito, cresciuto elettivamente dal basso, supportato da una formazione continua in piccoli gruppi distrettuali, sottoposto ad aggiustamenti delle procedure sulla base dei risultati, con correzioni e revisioni dei PDTA, l'architrave clinica del progetto etc... Insomma da un lato una gestione concertata e condivisa dal basso, sebbene "alla buona", a fronte di un progetto astratto rispetto al contesto e calato dall'alto senza adeguata condivisione.

   Gestione informale versus formale. L'informalità della gestione dei singoli casi e dell'applicazione dei PDTA nel setting della MG è la cifra dell'esperienza del CG, in continuità con il progetto di Disease managment; al contrario i CReG scontano una tendenza alla formalizzazione, un'impostazione contabile e logiche prevalentemente finanziarie, sul modello dei DRG nosocomiali per l'acuzie. Come ho cercato di dimostrare nel post precedente, i DRG per le loro caratteristiche non possono essere meccanicamente trasferiti al territorio e alla cronicità, ma devono per forza adattarsi alle caratteristiche del contesto, in cui prevale l'informalità della relazione fiduciaria e della presa in carico.  
                                                                                                   
   Procedure semplificate versus burocratizzazione. L'apparato burocratico-amministrativo previsto dai CReG è farraginoso e barocco - in stridente contrasto con la retorica della semplificazione delle procedure - specie se confrontato con la semplicità e linearità del GC, rispettoso delle pratiche e adattato al contesto operativo delle cure primarie; con il passare degli anni il GC si mimetizzato nell'attività routinaria, tanto da passare ormai inosservato, ed è diventato patrimonio comunitario ed identitario della MG bresciana (a parte il problema della registrazione degli esami, che resta il punto più critico della gestione informatica).

Per ultimo alcune considerazioni sul PAI, il compito più  impegnativo dei GReG. La definizione a priori del fabbisogno diagnostico-terapeutico dei singoli assistiti risponde ad una logica previsionale, ancora di matrice amministrativa e contabile, a mo' di bilancio preventivo e consuntivo nel singolo caso, non correlato con gli esiti clinici nella popolazione. Nella realtà quotidiana del GC il PAI coincide con il PDTA nel suo complesso, che stabilisce i paletti piuttosto laschi delle buone pratiche da applicare caso per caso e al variare dell’evoluzione del quadro clinico. Il GC in sostanza realizza un adattamento, negoziato e situato, delle indicazioni generali del PDT, sulla base delle esigenze individuali e della variabilità dei casi, che è proprio del contesto delle cure primarie, a fronte della rigida definizione a priori dei PAI.

In conclusione il CG è il prodotto “storico” ed originale di un progetto aperto, situato e adattato al contesto della MG, perché cresciuto dal basso, in armonia con le pratiche clinico-assistenziali, informatiche, organizzative e sociorelazionali del territorio. Sarebbe un peccato disperdere il valore aggiunto di queste esperienza, riconducendola alle mere logiche finanziarie e contabili dei CReG. 

giovedì 15 settembre 2016

La gestione della cronicità tra DRG e CReG

A distanza di quasi vent'anni dall'introduzione dei DRG nella legislazione nazionale la Regione Lombardia, a partire dalla seconda decade del nuovo secolo, ha avviato una sperimentazione per  trasferire il modello dei DRG sul territorio alla gestione delle patologie croniche ad elevata prevalenza, segnatamente cardiovascolari (ipertensione, vasculopatie, scompenso cardiaco) metaboliche (diabete mellito e dislipidemie) e respiratorie (BPCO ed asma bronchiale). Sono stati così varati i CReG, ovvero Cronic Related Group, dapprima in alcune ASL in modo sperimentale e poi via via al resto della regione ( http://tinyurl.com/hxk95vp, http://tinyurl.com/gvlo5oz ).

Vediamo innanzi tutto quali sono le differenze tra DRG ospedaliero e CReG territoriale. Il DRG nasce, per importazione dagli USA, all'inizio degli anni novanta, per superare il precedente pagamento per giornate di degenza; il modello gestionale si è subito adattato al contesto organizzativo ospedaliero, in particolare a tutte le branche chirurgiche che si prestano ad un'organizzazione a tipo catena di montaggio fordista, con un uso intensivo dei posti letto e delle sale chirurgiche (vedi l'imponente offerta chirurgica protesica, cardiovascolare ed ortopedica, del privato accreditato, a ciclo continuo: pre-ricovero, ricovero ed intervento, dimissione precoce e visita di controllo).

In chirurgia infatti è possibile attuare una concentrazione spazio-temporale dei processi organizzativi, delle risoree umane, professionali e tecnologiche e quindi garantire la programmazione del turn-over dei pazienti ed esiti clinici prevedibili, che è alla base della convenienza economica del DRG per l’attore privato. La prevedibilità organizzativa è più aleatoria nei reparti di medicina, dove prevalgono le polipatologie e la complessità clinica, seppur filtrata dalla condizione acuta o di scompenso d'organo; nei reparti medici è meno garantita la prevedibilità dei tempi di ospedalizzazione per la variabilità dell'evoluzione dei quadri sindromici complessi (complicazioni, infezioni nosocomiali, tempi di attesa degli esami, dimissioni protette etc..) e dell'incertezza circa gli esiti clinici della degenza.

Per le patologie croniche sul territorio vale lo stesso discorso, ma con un'ulteriore dose di variabilità e sfaccettatura epidemiologica, per l'ampio ventaglio del casemix ambulatoriale, ma soprattutto perchè alla concentrazione spazio-temporale dei processi clinico-organizzativi nosocomiali si sostituisce una rete assistenziale dispersa, composta da una pluralità di attori, distribuita a vari livelli e "diluita" nello spazio e nel tempo.

Questa differenza infrastrutturale e spazio-temporale si riflette sui processi assistenziali (concentrazione ospedaliera versus dispersione territoriale) e sull'aspetto economico: il rimborso del DRG, in presenza di esiti abbastanza certi come quelli chirurgici di routine (la tariffa prefissata, dall'appendicectomia alla protesi d'anca, senza complicazioni) copre abbastanza bene le risorse impiegate; al contrario la cifra media prevista dal CReG per il diabetico deve essere spalmata su una gamma di casi ampia e differenziata, in termini di intensità clinico-assistenziale e di consumi, che nel diabete spazia dal tipo II ben compensato con dieta ed attività fisica fino a quello in politerapia con complicanze, disabilità, seguito dal centro antidiabetico e/o in ADI infermieristica.

Ergo il budget del diabetico complicato in CReG non può essere addebitato al singolo MMG ma va distribuito nella rete assistenziale nel suo insieme, in quanto le decisioni prescrittive e di spesa per farmaci e/o accertamenti sono riconducibili e a carico dei diversi decisori che si alternano all'assistenza del paziente, specie se complesso (ad esempio, il diabetico in terapia con incretine, prescritte dal diabetologo del centro, e/o seguito dall'oculista per retinopatia, con controlli frequenti di FAG e/o OCT, o in terapia con un NAO per una FA etc..).

Ergo l'apparato statistico, contabile e finanziario – finalizzato alla verifica di quanto è effettivamente costato il diabetico rispetto al budget medio attribuito - è prevalente rispetto alla valutazione economica, nel senso della verifica dei risultati conseguiti in termini di processi ed esiti assistenziali a fronte delle risorse attribuite (previste ed effettivamente impiegate nel singolo caso e soprattutto nella popolazione), che è invece il valore aggiunto e distintivo del del GC rispetto ai CreG, in particolare riguardo aglii esiti nell'intera coorte di diabetici.

Perchè la sfera finanziaria non è equivalente a quella economica, come erroneamente si tende a credere. Questa differenza è rilevante ed attiene alla distinzione tra approccio amministrativo/contabile come nei CReG - bilancio tra entrate e uscite, spesa prevista e realizzata per i consumi di farmaci ed esami - versus l'accountability economica correlata al confronto tra spesa effettuata e esiti di salute dedotti dagli i indicatori di processo/esito a livello di report individuali e soprattutto collettivi. La sfera economica attiene al miglior uso delle risorse disponibili, non su base meramente finanziaria, ma in rapporto agli obiettivi attesi ed ai risultati pratci conseguiti, previa valutazione di obiettivi alternativi (rapporto costo/opportunità).

Insomma, non basta un'accurata lista della spesa per ogni malato cronico, nella logica del budget, ma servono valutazioni ben più complesse e sfaccettate, per salvaguardare e gestire al meglio il budget di salute individuale e di popolazione.

martedì 13 settembre 2016

Competenza professionale tra routine, variabilità ed esperienza pratica

La competenza o expertise è la capacità del professionista di adattarsi alla specificità delle condizioni cliniche, tecnologiche ed organizzative e quindi di “accomodare” le indicazioni generali di buona pratica clinica, di necessità astratte e decontestualizzate, alle caratteristiche dei singoli assistiti nella situazione data.

Lo conferma una ricerca pubblicata dal prestigioso BMJ ( http://www.bmj.com/content/354/bmj.i3571 )
che dimostra come gli esiti migliori in chirurgia sono correlati all'esperienza maturata dal professionista in una specifica patologia, vale a dire alla varietà e numerosità del repertorio di casi osservati e curati, da quelli normali e di routine a quelli più strani ed "eccentrici". La competenza professionale si misura soprattutto sulla capacità di affrontare i casi non routinari, ovvero quelli che richiedono un adattamento alla situazione problematica, fondata su abilità tacite nel trovare soluzioni nuove e non predefinite per far fronte all'irriducibile varietà clinica.

Una delle principali motivazioni che spinge ricercatori e clinici ad elaborare protocolli, linee guida, percorsi, check list, flow-chart etc.. è l'”lotta” alla variabilità patologica nel tentativo di contenerla entro limiti fisiologici. La variabilità comportamentale dei medici pratici viene abitualmente considerata una criticità, un'anomalia da controllare grazie alla diffusione ed implementazione degli strumenti sopra elencati, affinché di fronte alla medesima condizione clinica tutti si comportino in modo omogeneo e standardizzato, tale da garantire il medesimo esito atteso. In teoria quindi qualsiasi chirurgo, previa adeguata formazione e un congruo periodo di apprendistato, è nelle condizioni di applicare la tecnica chirurgica standard e le procedure previste per una determinata patologia, raggiungendo quindi gli stessi risultati di qualsiasi altro collega. Pare che nella realtà fattuale le cose non stiano propriamente così, come dimostra la ricerca del BMJ: l'intercambiabilità dell'operatore non garantisce il raggiungimento di esiti omogenei e definiti a priori.

Il professionista competente invece è quello che sa adattarsi alla varietà, unicità e complessità dei casi che non sono contemplati nella routine delle procedure standardizzate. Grazie all'esperienza riesce ad accumulare numerosi "esemplari" di situazioni non ordinarie, che vanno a costituire un bagaglio di soluzioni pratiche ed originali: solo la varietà degli schemi e dei “trucchi” del mestiere può controllare la gamma delle situazioni problematiche. Per le patologie ad elevata incidenza e bassa complessità qualsiasi chirurgo raggiungerà facilmente quel pool di casi che rappresentano lo zoccolo duro della competenza acquisita. Ben diverso è il caso delle malattie a bassa prevalenza ed elevata complessità tecnica, con indicazioni e tecniche chirurgiche specifiche, che vengono generalmente gestite in centri dedicati ,dove è possibile accumulare un numero sufficiente di casi che consente al professionista di fare un'adeguata esperienza della variabilità dei casi clinici.

I dati del BMJ dimostrano che l'apprendimento è correlato alle pratiche e all'esperienza sul campo e meno all'acquisizione individuale delle specifiche tecniche esplicite, nella sola sfera cognitiva, il che per un'attività come la chirurgia può apparire scontato e banale. Per di più nella chirurgia la componente tacita della competenza è intuitivamente prevalente sulla cognizione astratta e decontestualizzata, perchè impossibile da rendere compiutamente a parole, tramite descrizioni scritte o lezioni, in quanto legata ai gesti, all'uso di strumenti e alle abilità manuali.

La stessa conclusione è un po' meno "triviale" se viene estesa alle discipline mediche, in cui la componente teorica, delle nozioni generali e specifiche sembrerebbe prevalente sulle pratiche, considerate una semplice e meccanica derivazione della teoria, secondo il modello della razionalità tecnica. Ma nella realtà anche la competenza internistica o del MMG si fonda sulle esperienze pratiche intese in senso multidimensionale, ovvero sulle abilità relazionali, comunicative e decisionali, condizionate dal vissuto personale, emotivo e corporeo, dal contesto socio-organizzativo ed epidemiologico dell'attività professionale. Insomma, come sottolineano gli psicologi sociali, apprendimento, conoscenza e competenza professionale sono irriducibilmente "dense", distribuite e mediate da artefatti/strumenti tecnologici, situate nelle pratiche, radicate nell'esperienza corporea e nella riflessione nel corso dell'azione.

Certo, in situazioni particolari come l'emergenza il protocollo è necessariamente rigido e tarato sulle condizioni potenzialmente più gravi ed "estreme". Tuttavia è sempre necessaria una dose di adattamento alla situazione contingente, che spesso evolve in pochi minuti, e quindi richiede provvedimenti specifici e locali; il processo comporta sempre un fase di osservazione, ragionamento, valutazione e la conseguente presa di decisione sul corso d'azione razionale e più adatto, che può non essere pre-definito in ogni dettaglio o previsto a priori dal protocollo. Anche il più minuzioso protocollo o la check list più dettagliata possono avere dei "buchi" rispetto ad una realtà variegata, sfumata e “sorprendente”, che non di rado eccede rispetto alla vagheggiata routinizzazione e standardizzazione delle pratiche, sul modello della catena di montaggio fordista. Proprio nelle situazioni non routinarie emerge la professionalità, che si manifesta nel trovare soluzioni "improvvisate" ed originali, necessariamente situate e non tecnicamente astratte rispetto al contesto.