lunedì 23 novembre 2015

Il ruolo del MMG nella riforma lombarda tra realtà, percezione ed opinione dei cittadini (II° parte)


Da tempo immemorabile uno spettro si aggira nella comunità professionale dei medici di MG, perlopiù sotto traccia anche se periodicamente affiora in modo eclatante, specie alla vigilia di un rinnovo contrattuale: la messa in liquidazione della medicina di famiglia e la sua sostituzione con altri “erogatori accreditati di prestazioni”, come vengono definiti burocraticamente i competitor del “medico di base”. Pare proprio che questa volta, dopo svariati “al pupo, al pupo” lanciati dai sindacati medici, sia arrivato il dunque perlomeno in Lombardia.

Sembrerebbe proprio questo il proposito, più o meno esplicito, degli estensori delle riforma Lombarda, ribadito pubblicamente in un incontro di presentazione della recente legge regionale, tenutosi a Bergamo, in cui un alto esponente della maggioranza di governo ha testualmente affermato : “Abbiamo disegnato un meccanismo istituzionale che può fare a meno di loro, e credo comunque che ci siano molti medici di medicina generale contenti di questa soluzione”.  Il proposito manifestato pubblicamente appare peraltro abbastanza generico, non è stato fin ora smentito o rettificato, anche se potrebbe essere interpretato in modo vario e non necessariamente in modo liquidatorio per la MG convenzionata.

Ad ogni buon conto l’idea di “fare a meno” dei MMG deve dribblare alcuni ostacoli formali e sostanziali, normativi e procedurali non di poco conto. Proviamo a riassumerli schematicamente.
  • In primo luogo la regione dovrà by-passare la normativa nazionale di riferimento, ovvero la riforma Balduzzi che ha fissato alcuni paletti, ad esempio le articolazioni organizzative della medicina convenzionata (Aggregazioni Funzionali territoriali e Unità Complesse) e la cornice normativa di riferimento per il rinnovo dell’ACN e soprattutto degli AIR; non sarà un’operazione facile dal punto di vista legale, dato che le delibere regionali sono gerarchicamente subordinate alla Legge nazionale vigente;
  • in secondo luogo, finchè resta in vigore il principio della libera scelta del medico, ripetutamente sbandierato dall’amministrazione lombarda, saranno i cittadini stessi a decidere se fare a meno del loro medico di MG, per rivolgersi ad eventuali altri operatori presenti sul territorio (a meno di ipotizzare una sorta di deportazione forzata di assistiti dall’attuale MG ad altri soggetti erogatori); dalle scelte dei cittadini/utenti si potrà verificare l’effettivo radicamento sociale della MG, per ora testimoniato dalle ricerche sociologiche che attestano il gradimento del MMG presso gli assistiti;
  • in terzo luogo in regione dovranno trovare soggetti disposti a sostituire i MMG nell’erogazione della  quantità e qualità di prestazioni  attualmente garantite dalla rete degli studi medici in tutto il territorio regionale, sia singoli che associati;  in particolare appare problematico il compito di monitorare e gestire le patologie croniche sul territorio, in modo omogeneo e coordinato, in sostituzione di iniziative ormai consolidate e capillarmente diffuse, come il governo clinico delle malattie croniche dell’SL di Brescia, progetto arrivato al decimo anno di attività documentata da report annuali (www.aslbrescia.it);
  • Infine il proposito di “fare a meno” dei MMG contrasta con la tendenza in atto in molte altre regioni, in cui le amministrazioni locali hanno da tempo investito proprio nel rafforzamento della medicina del territorio, con l’incentivazione delle varie forme associative (case della salute, UTAP, associazioni etc..) per rispondere alla crescente domanda di servizi territoriali alternativi al nosocomio.
 A proposto del radicamento sociale della MG, l’ultima indagine demoscopica, relativa alla ricerca di informazioni in rete da parte dei cittadini, dimostra che la consultazione del MMG da parte della gente resta un momento chiave, anche dopo la consultazione di siti internet e forum dedicati ai problemi sanitari, specie tra la popolazione anziana, polipatologica, a bassa scolarità e/o reddito.  La cosa non stupisce chi abbia esperienza di medicina pratica sul territorio. La sovrabbondanza di dati grezzi, non filtrati da un sapere di sfondo e dall’esperienza professionale, genera nel cittadino più incertezza e confusione che non certezze e rassicurazioni. 

Da qui il bisogno di confrontarsi con un professionista, facilmente accessibile e disponibile, che può filtrare criticamente le informazioni e valutare in modo appropriato il da farsi, senza allarmismi e senza minimizzazione dei disturbi.  Non sarà facile sostituire con un apparato burocratico anonimo, standardizzato, senza scompensi e reazioni sociali, queste ed altre funzioni di supporto, educazione ed advocacy svolte dai medici di MG, specie nei confronti dei cittadini più deboli e bisognosi di cure ed assistenza personalizzata e continuativa. (II continua).

sabato 21 novembre 2015

Il ruolo del MMG nella riforma lombarda tra realtà, percezione ed opinione dei cittadini (I° parte)

Da una quindicina d’anni a questa parte tutte le ricerche demoscopiche svolte, da o per conto di istituzioni pubbliche o agenzie private, attestano il buon nome del medico di MG tra la popolazione: che si tratti di qualità percepita, gradimento o soddisfazione dell’utente per il servizio, livelli di comunicazione o di informazione il medico di famiglia risulta sempre ai vertici dell’apprezzamento della gente, con percentuali che oscillano tra l’80% e il 90%, generalmente superiori a quelle registrate dalle altre categorie professionali.

Naturalmente il dato non è distribuito in modo omogeneo a livello territoriale e tra le categorie anagrafiche e socioeconomiche: la MG è apprezzata ancor di più nelle località di piccole medie dimensioni del centro-nord, mentre è in affanno nei grandi centri urbani del sud e delle isole, dove soffre maggiormente della concorrenza della medicina tecno-specialistica. 

Tra la popolazione sono gli anziani polipatologici con basso reddito e scolarità i più affezionati al proprio medico, al contrario delle categorie giovanili, scolarizzate e di alto tenore economico che tendono a snobbare il MMG a vantaggio dello specialista. A conferma di queste tendenze arriva l’ennesima indagine sociologica, questa volta centrata sulla propensione della gente a ricercare informazioni su internet riguardo alla salute. Ecco in sintesi i dati della ricerca presentata all'Università La Sapienza, alla presenza di esponenti dell’ISS e dell’Aifa, dal titolo "La salute in rete: progresso o pericolo", per iniziativa di Ibsa Foundation.

  • Un italiano su 2 ricerca attivamente sul WEB informazioni sulla salute, con punte di 2/3 nella fascia tra i 25 e i 55 anni, ma il 63% si rivolge comunque dal proprio medico di fiducia per ulteriori notizie o conferme;
  • Le persone in cerca di informazioni si rapportano: al MMG nell’85%, allo specialista nel 68%, subito dopo al web (49% degli intervistati), al farmacista (37%), a parenti e amici (36%) e ai media (24%).
  • I dati si polarizzano considerando il livello culturale: i laureati utilizzano diverse fonti di informazioni anche se comunque si rivolgono al MMG nel 79% a fronte del 73% che ricorre al web, mentre la popolazione a bassa scolarità (licenza elementare) si affida in altissima prevalenza al solo medico curante (91%) a fronte di una minoranza che fa ricorso al web (8%).
  • Riguardo alla gravità dei disturbi o patologie in atto, il 59,3% cerca informazioni sui centri di eccellenza e nell'83,7% sullo specifico problema di salute, mentre tra i sani il 58,2% cerca notizie su corretti stili di vita o comportamenti salutistici.
Com’era facilmente prevedibile lo sviluppo delle nuove tecnologie telematiche e la loro capillare diffusione nella popolazione italiana ha contribuito a cambiare il modo in cui gli assistiti, specie giovani e con più elevati livelli culturali, cercano informazioni sulla propria salute anche se, ciononostante, il medico di MG resta di gran lunga il professionista di riferimento per la maggioranza della popolazione, in particolere tra anziani a bassa scolarità e livello socioeconomico. Come noto è proprio tra questa fetta della popolazione che si registrano i più diffusi problemi di salute, per l’elevata prevalenza delle patologie croniche spesso associate, e  le maggiori difficoltà di accesso ai servizi, con intuibili riflessi sulla salute individuale, anche in ragione delle sosttostanti disuguaglianze socioeconomiche.

Il caso ha voluto che questi dati fossero presentati contestualmente all’ennesima polemica tra sindacati medici ed esponenti politici lombardi. Per infatti che, durante un incontro pubblico di presentazione della riforma in provincia di Bergamo, un alto esponente della maggioranza di governo regionale abbia così commentato i contenuti della legge regionale in relazione al ruolo della MG: “Abbiamo disegnato un meccanismo istituzionale che può fare a meno di loro, credo comunque che ci siano molti medici di medicina generale contenti di questa soluzione”.  

La reazione della FIMMG lombarda è stata immediata in risposta alle “gravissime affermazioni comparse sulla stampa” specie "in questo momento di enorme carico di lavoro nel pieno di una campagna vaccinale impegnativa, dove oltre 300.000 persone passano quotidianamente negli studi del proprio medico di famiglia; ci sentiamo offesi e non possiamo che respingere con forza quelle affermazioni. “Ho convocato con urgenza un Consiglio Regionale – conclude il segretario regionale FIMMG Fiorenzo Corti – e per il momento sospendiamo la partecipazione a qualsiasi incontro in Regione”.

Possibile che i responsabili della salute pubblica regionale si propongano di rinunciare alla rete capillare e radicata sul territorio da decenni costituita dalle migliaia di professionisti che quotidianamente intercettano la domanda di salute della stragrande maggioranza dei cittadini lombardi, specie quelli più fragili, socialmente svantaggiati e bisognosi di un’assistenza continua e personalizzata in rapporto alle molteplici patologie croniche di cui sono portatori?  Come spiegare la dissonanza tra i propositi politico-amministrativi e la concreta realtà assistenziale, testimoniata dal gap tra percezione dei servizi e dati delle ricerche sociologiche su qualità dell’assistenza, soddisfazione e informazione dei cittadini che si rivolgono al proprio MMG? Queste domande richiedono risposte troppo lunghe e complesse per un singolo post….. (1-continua)

domenica 8 novembre 2015

I paradossi del tirocinio valutativo per l'esame di stato

Ogni anno a novembre e aprile inizia il ciclo trimestrale del tirocinio valutativo per l’esame di stato, che prevede un mese di frequenza in un reparto di medicina, uno in chirurgia ed uno presso uno studio di MG. E’ difficile valutare le persone quando, come spesso accade, non hanno avuto esperienze pratiche di medicina ambulatoriale sul territorio. Anche perché il sistema di valutazione è estremamente ampio e puntiglioso: il libretto per la certificazione finale, dopo il mese di tirocinio, prevede decine di parametri di valutazione nelle aree clinica, relazionale, comunicativa, diagnostica, comportamentale, etica etc..
  
Come posso valutare le abilità informatiche del tirocinante se non ha mai avuto l’occasione di utilizzare il mio programma? E che dire delle competenze nella raccolta e gestione dei dati se non ha mai utilizzato la carella clinica informatizzata orientata per problemi, specie cronici, ma ha compilato solo classica cartella ospedaliera per degenze in acuto? Ed ancora, come posso valutare le competenze diagnostiche se il tirocinante ha solo una vaga idea dell’epidemiologia del territorio rispetto a quella ospedaliera? Come testare le abilità relazionali, se ha visto solo degenti ospedalieri e non si è mai cimentato con una famiglia intera che viene in studio per sottoporre i problemi di un o più dei suoi componente? 

E che dire delle differenze tra processo diagnostico ospedaliero, con le sue innumerevoli risorse tecnologiche e specialiste, a fronte della pratica “a mani nude” delle cure primarie, che obbliga a tollerare un surplus di incertezza rispetto a quella della corsia. Oppure dell’approccio per problemi, tipico delle cure primarie, non certo prioritario nella didattica universitaria. Come saggiare la competenza educativa nelle gestione dei cronici, se il neo-laureato ha avuto solo esperienze di reparti per acuti? Quali abilità cliniche valutare nella gestione delle infezioni prevalenti sul territorio, dalle affezioni delle prime vie aeree all’influenza vera e propria, se queste malattie non hanno spazio nell’insegnamento universitario? 

Insomma esiste un unico modello di medicina, trasmesso a 360 gradi dalla formazione curricolare, indipendentemente dal contesto operativo? Oppure le caratteristiche peculiari di organizzazione, di contesto sociorelazionale ed epidemiologico richiedono un approccio clinico e culturale diversificato e specifiche modalità di formazione alla diagnosi, terapia e alla gestione dei problemi? Devo confessare un certo imbarazzato quando, al termine del tirocinio, si tratta di compilare il libretto per la valutazione del tirocinante! Il numero di parametri di valutazione e la loro complessità costituirebbe un ostacolo non indifferente per lo stesso valutatore. 

Ma questa è solo una componente del paradosso del tutor: ancor più stridente è la discrasia tra le modalità e i contenuti del sapere (prevalentemente teorico) trasmessi dalla formazione di base e il modello di sapere pratico, di apprendimento dall’esperienza, di riflessione durante e sull’azione che caratterizza le cure primarie.  Al lato pratico, perlomeno nell’ esperienza personale, il tirocinio si trasforma più che altro in un apprendimento sul campo, grazie a quella pratica che i neolaureati non hanno quasi mai avuto l’occasione di sperimentare durante gli ultimi anni di formazione universitaria.
  
Ma probabilmente è un mio limite e mi piacerebbe sapere che ne pensano altri tutor....