giovedì 31 dicembre 2020

Bilancio 2020 Covid-19: evoluzione mensile da marzo e settimanale da settembre

 Confronto tra il periodo marzo-giugno e settembre-dicembre




A grandi linee è possibile un confronto tra la prima ondata (marzo-giugno) e la seconda (settembre-dicembre) con l'avvertenza circa la sottostima dei casi registrati nella prima fase della pandemia, che inficia il raffronto statistico tra i principali parametri.

  • incidenza: è aumentata in modo considerevole in autunno (da 60 mila a 460 mila in media al mese) per la possibilità di eseguire il tampone in sede extra ospedaliera, era preclusa in primavera ai MMG, con la conseguente sottostima dei casi gestiti a domicilio e/o non denunciati, emersi nella seconda fase
  • tamponi: nonostante siano più che triplicati (da 1.347.000 a 4.488.000 in media al mese) la percentuale dei positivi è più del doppio (dal 4,4 al 10,2%), aumento parallelo all'incremento di nuovi casi
  • ricoveri: in rapporto all'incidenza i ricoveri sono notevolmente ridotti in autunno rispetto alla primavera mentre di riflesso sono aumentati i dimessi guariti e i soggetti in isolamento domiciliare: in primavera il picco si è avuto all'inizio di aprile con circa 29.010 e nella seconda ondata alla fine di novembre con 34.577.
  • terapie intensive: nonostante l'aumento dei nuovi casi il picco si è avuto in aprile con 3848 degenti e, nella seconda ondata, con quasi 4053 ricoveri all'ultima decade di novembre
  • dimessi guariti: passano da quasi 200 mila della primavera a 1.255.458 in autunno
  • isolamento domiciliare: l'elevatissimo numero di soggetti rimasti in isolamento domiciliare- con un picco di 800 mila in autunno rispetto agli 83 mila della primavera- dimostra la minor gravità dell'infezione e la prevalente gestione sul territorio dei nuovi casi rispetto al ricorso alla degenza
  • decessi e letalità: in numero assoluto i decessi delle seconda fase eguagliano quelli della prima ma sempre per l'elevato numero di nuovi casi si abbatte in maniera drastica la letalità che passa dal 14,4 al 2,1%.

Nel complesso, nonostante le critiche rivolte alla gestione territoriale del Covid-19, la medicina extra-ospedaliera ha diagnosticato e gestito, seppur in modo disomogeneo e poco coordinato, un numero considerevole di casi, mentre il sistema ospedaliero ha retto un impatto che, in termini di ricoveri e di degenze in terapia intensiva, è stato di poco superiore rispetto alla primavera. Grazie alla prescrizione dei tamponi i medici del territorio (MMG, CA e medici USCA) hanno fatto emergere la stragrande maggioranza dei casi e hanno seguito in prima persona la parte sommersa dell'incidenza, che in primavera era rimasta sotto-diagnosticata. In primavera le stime sui casi sommersi variavano a 5 a 10 volte rispetto a quelli intercettati a livello ospedaliero. Il numero dei casi diagnosticati in autunno si colloca a metà circa di questa stima, con un andamento temporale dell'incidenza "piatto" rispetto al picco di marzo-aprile.

Andamento mensile e settimanale

2-I dati settimanali e mensili confermano la decrescita dell'incidenza dei nuovi casi, quasi dimezzati rispetto rispetto ai 920 mila di novembre, iniziata a fine novembre, con il continuo calo di ricoverati, dei degenti in terapia intensiva e dei soggetti in isolamento domiciliare a fronte di un consistente aumento dei guariti; la percentuale di positivi si è stabilizzata attorno al 10% e il numero dei decessi purtroppo è sempre elevato e in ritardo rispetto la picco dell'incidenza. Nel complesso la curva della seconda fase è più "piatta" rispetto al picco primavera ma temporalmente più ampia e con un numero assai più consistente di casi.

Rimane elevata l'incidenza di dicembre in Veneto che è diventato una caso nazionale in quanto da un mese supera giornalmente la Lombardia. Nel mese di dicembre il Veneto registra oltre 100 mila nuovi casi, a fronte di quasi 70 mila della Lombardia, per una media giornaliera sui 3mila, quasi doppia rispetto a quella lombarda. Le ipotesi di spiegazione del fenomeno puntano sul combinato disposto di due fattori: il fatto che il Veneto non sia stata dichiarata zona rossa e il massiccio uso dei test rapidi per screening tra operatori sanitari e delle RSA, noti per la bassa sensibilità e il rischio di falsi negativi:

https://tg.la7.it/cronaca/preoccupa-il-veneto-dove-lindice-di-diffusione-del-virus-sopra-l1-25-12-2020-156612?fbclid=IwAR0QIr3S2mPkuePL5EwPxrgIIAzaquSRx91AWtwT2jG5E29ILg9TYgioIi0





Evoluzione settimanale da ottobre



I parametri monitorati dalla PC si dividono in due gruppi: statici, come il numero di nuovi casi, i decessi o i dimessi/guariti, e dinamici, come i degenti in terapia intensiva o nei reparti ordinari. Il dati delle presenze registrati quotidianamente in questo secondo gruppo sono la risultante dei flussi in entrata e in uscita.  Dal mese di dicembre sono cambiati alcuni parametri del prospetto giornaliero della protezione civile: sono stati eliminati i dati dei nuovi casi suddivisi tra positivi individuati per sospetto clinico (sintomatici) e per screening (asintomatici), che erano stati introdotti a giugno, e sono comparsi i nuovi ingressi giornalieri nelle terapie intensive, accanto al numero totale dei ricoverati. 

3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni
(aggiornati al 30 dicembre)





mercoledì 30 dicembre 2020

Sintesi e criticità del rapporto Agenas di revisione della Riforma del SSR lombardo

Gli esperti della scuola S.Anna di Pisa, assieme ai tecnici Agenas, hanno stilato il rapporto che analizza i 5 anni di riforma Lombarda e suggerisce le linee generali per la revisione a beve termine della Legge 23 del 2015 dopo il quinquennio di sperimentazione (le conclusioni al link: https://curprim.blogspot.com/2020/12/documento-ministeriale-analisi-del.html ).

La prestigiosa Scuola pisana si era già segnalata per ricerche valutative poco aderenti al contesto delle cure primarie, come quella del 2018 sulle performances dei SSR (https://curprim.blogspot.com/2018/10/piccola-quida-per-la-valutazione-delle.html) ed anche in questa occasione il report ha fatto riferimento al set di indicatori utilizzati nel 2017 per comprare i risultati ottenuti dai vari SSR.

La sezione dedicata all’analisi della riforma della PiC si chiude con un giudizio tutto sommato positivo, a dispetto di altre evidenze di segno contrario non prese in considerazione, a partire dal numero di pazienti arruolati dopo tre anni dal suo varo. Di seguito si può trovare uno schema sintetico a punti del rapporto, comprensivo di alcune criticità in relazione agli esiti della Presa in Carico nel primo triennio di applicazione. 

VALUTAZINE DELLA PIC

· L'analisi dei risultati della PiC propone il confronto tra due gruppi di pazienti numericamente sbilanciati: la valutazione statistica è stata condotta su un campione di 190.450 pazienti in PiC a confronto con un gruppo di controllo di ben 940.023 No PiC , rispetto alla popolazione di 3.461.728 cronici censiti in Lombardia. Perchè questo rapporto cosi asimmetrico, di 1 a 5, tra le due coorti? Non sarebbe più corretto un rapporto 1 a 1 per il raffronto statistico? Peraltro per la valutazione dei risultati  complessivi della riforma è stato scelto il macro confronto con due regioni, Veneto e Toscana, per "la relativa comparabilità con la Regione Lombardia in termini di dimensione geografica, complessità
organizzativa e performance storiche".

· Nella relazione non sono stati presi in considerazione specifici indicatori di processo/esito nella gestione delle principali patologie croniche, come la prevalenza, il numero e regolarità dei controlli, il valore target della PA, emoglobina glicata, lipidi ematici, farmaci ed esami prescritti etc… Il motivo è semplice: questi dati non sono stati raccolti e/o non sono disponibili.

· Nella valutazione dell’efficacia della PiC non è stato considerata l’entità dei pazienti presi in carico e seguiti dai Gestori ospedalieri, che ammontano ad un esiguo 5% del 10% di soggetti arruolati su quasi 3,5 milioni di cronici. Eppure l’introduzione dei Gestori ospedalieri, in alternativa al MMG, era la novità sostanziale e qualificante della PiC.

· Nel campione di arruolati, per il confronto con i No PiC, sono stati esclusi i pazienti seguiti dai Gestori ospedalieri, per evidente inconsistenza statistica, e considerati solo quelli seguiti dai MMG, a ulteriore riprova della latitanza dei Gestori nosocomiali.

· La (presunta) efficacia della PiC viene dimostrata dal miglioramento di indicatori che hanno poco a che fare con la gestione della cronicità, vale a dire il tasso di ospedalizzazione e gli accessi in PS. Solo la riduzione dei ricoveri evitabili può essere correlata ad una migliore cura dei pazienti, sebbene riguardi l’intero spettro clinico, gli eventi acuti e non la gestione della cronicità. Non si capisce la relazione tra una modesta riduzione di parametri aspecifici con la gestione delle patologie croniche, valutabile in termini di processi o esiti specifici. Si tratta di indicatori generici che probabilmente segnalano una maggiore attenzione verso tutta la popolazione, e non necessariamente verso la fetta dei cronici, probabilmente attribuibile ad una sorta di bias di selezione dei medici che hanno deciso di impegnarsi nella riforma più dei colleghi che ne sono rimasti estranei.

VALUTAZINE GENERALE DELLA RIFORMA

· Dei 34 indicatori compresi nel Sistema di valutazione delle performance dei sistemi sanitari Regionali (Network regionale) solo 4 hanno dimostrato un miglioramento nel confronto con le altre regioni esaminate nel report (Toscana e Veneto), in riferimento alla popolazione generale e non ai cronici: tasso di ospedalizzazione per 1.000 residenti per età e sesso, tasso di ospedalizzazione (ricoveri ordinari acuti) per 1.000 residenti, tasso di ospedalizzazione per DRG Medici acuti (0-64 anni) per 1.000 residenti e tasso di ospedalizzazione per diabete globale per 100.000 residenti (35-74 anni). Quest’ultimo parametro, visto il suo andamento positivo in tutta la popolazione, poteva essere valutato anche nei due gruppi di cronici considerati, cioè PiC versus No Pic. 

· Nella sezione di analisi dei risultati della riforma vengono presi in considerazione tre indicatori tratti dalla BDA, relativi proprio alla cura di una condizione cronica come lo scompenso nella popolazione generale, vale a dire la continuità nell’assunzione di beta bloccanti, ace inibitori o sartani e l'esecuzione di un ecocardiogramma durante l’anno. Peraltro nella gestione dello scompenso le performances regionali sono complessivamente stabili e allineate a quelle della Toscana. Questi indicatori di processo sarebbero stati adatti alla valutazione delle performances dei pazienti PiC rispetto ai No Pic: per quale motivo non sono stati utilizzati come sarebbe logico attendersi da una valutazione in itinere della riforma? 

· La riforma risulta associata ad un peggioramento di un parametro, come la Percentuale di anziani in Cure Domiciliari con valutazione per l’ADI, che non sembra aver contribuito alla riduzione del tasso di ospedalizzazione, ma anzi è l’indicatore che registra un effetto riforma in senso peggiorativo. Proprio il miglioramento dell’assistenza ai pazienti polipatologici, fragili e non autosufficienti a domicilio era uno degli obiettivi qualificanti della riforma, in particolare per l’apporto e il ruolo prioritario dei Gestori ospedalieri.

· Per numerosi indicatori, attinenti alle condizioni croniche, non sono stati registrati scostamenti rispetto alle altre regioni: percentuale di abbandono di pazienti in terapia con antidepressivi e in terapia con statine, consumo di SSRI sul territorio, Tasso di ospedalizzazione per Scompenso Cardiaco per 100.000 res. (50-74 anni), Tasso di amputazioni maggiori per Diabete per milione di res. (triennale), Tasso di osped. per BPCO e per angioplastica coronarica, Percentuale di anziani in Cure Domiciliari. Alcuni di questi parametri sono correlabili alla gestione della cronicità e ci si poteva aspettare un loro utilizzo per valutare i pazienti PiC rispetto ai No PiC.

· A tale riguardo nel report si osserva che la PiC potrebbe aver supportato una migliore gestione del percorso assistenziale con conseguente minor accesso alle strutture ospedaliere, ma questa ipotesi per quanto riguarda le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, BPCO e amputazioni maggiori in diabetici, non ha fatto emergere un effetto riforma statisticamente significativo.

· La variabilità intraregionale, in riferimento ai 28 indicatori selezionati a tale scopo, evidenzia esiti diversificati e per quanto non possano essere tratte conclusive per il loro numero limitato, l’esame dei dati indica:
a) un trend di miglioramento strutturale per quanto concerne alcuni indicatori di sistema, quali i tassi di ospedalizzazione complessivi;
b) un trend di miglioramento, eterogeneo, per quegli indicatori indirettamente correlati alle patologie croniche, rispetto ai quali pare essere l’associazione con la PiC (la disomogeneità sul territorio)
c) l’esigenza di una più forte regia regionale nella gestione dell’offerta territoriale, segnatamente nella sua declinazione specifica dell’assistenza domiciliare.

CONCLUSIONI. Nel complesso si registra un effetto riforma statisticamente significativo solo su un numero piuttosto ristretto di indicatori (4 dei 34 analizzati) e solo di tre indicatori “spuri” per quanto riguarda la PiC. Per valutare una riforma complessiva di gestione della cronicità servono, com’ è intuitivo, tempi lunghi ed indicatori di esito hard, che possono documentare il raggiungimento di obiettivi di efficacia possibilmente definiti ex-ante.

Proprio per questo motivo una valutazione in itinere come quella contenuta nel documento Agenas doveva prendere in esame indicatori di processo più adatti al breve periodo, da quelli epidemiologici alla rilevazione degli stili di vita, dall’appropriatezza e frequenza dei controlli ai parametri di buon compenso funzionale, dalla qualità della vita alla compliance dei pazienti etc..

Tra questi ha un rilievo preponderante, ai fini degli esiti empirici, lo zoccolo duro di avvio della PIC, ovvero il tasso di adesioni degli attuatori e, soprattutto, dei destinatari della riforma stessa; va da sé che senza una percentuale rilevante di arruolamento dei pazienti è difficile immaginare un impatto significativo sul lungo periodo del programma di gestione della cronicità. Nessuno di questi parametri è stato considerato nel report dell’Agenas.

sabato 26 dicembre 2020

Covid-19: confronto mensile tra prima e seconda fase della pandemia

Andamento mensile e settimanale



1-A grandi linee è possibile un confronto tra il trimestre marzo-maggio e ottobre-dicembre con l'avvertenza circa la sottostima dei casi registrati nella prima fase della pandemia, che inficia il raffronto statistico tra i principali parametri.

  • incidenza: è aumentata in modo considerevole in autunno, per la possibilità di eseguire il tampone in sede extra ospedaliera che era preclusa in primavera, con la conseguente sottostima dei casi gestiti a domicilio e/o non denunciati emersi nella seconda fase
  • tamponi: cala invece la percentuale di tamponi postivi rispetto ai soggetti testati per l'aumento considerevole del numero di tamponi processati quotidianamente, che è parallelo all'incremento di nuovi casi
  • ricoveri: in rapporto all'incidenza i ricoveri sono notevolmente ridotti in autunno rispetto alla primavera mentre di riflesso sono aumentati i dimessi guariti e i soggetti in isolamento domiciliare: in primavera il picco si è avuto all'inizio di aprile con circa 29000 e nella seconda ondata alla fine di novembre con 34500 circa.
  • terapie intensive: il picco si è avuto all'inizio di aprile con poco più di 4000 degenti e, nella seconda ondata, all'ultima decade di novembre con quasi 3500 ricoveri 
  • isolamento domiciliare: l'elevatissimo numero di soggetti rimasti in isolamento domiciliare, rispetto ai ricoveri, dimostra la minora gravità dell'infezione e la prevalente gestione sul territorio dei nuovi casi
  • decessi: in numero assoluto i decessi delle seconda fase eguagliano quelli della prima ma sempre per l'elevato numero di nuovi casi si abbatte in maniera drastica la letalità

Nel complesso, nonostante le critiche ricolte da più parti alla gestione territoriale del Covid-19, la medicina extra-ospedaliera ha diagnosticato, seppur in modo disomogeneo e poco coordinato, un numero considerevole di casi mentre il sistema ospedaliero ha retto un impatto che, in termini di ricoveri e di degenze in terapia intensiva, è stato solo lievemente superiore rispetto alla primavera. Grazie alla prescrizione dei tamponi i medici del territorio hanno fatto emergere la stragrande maggioranza dei casi e hanno gestito in prima persona la parte sommersa dell'incidenza, che in primavera era rimasta sotto-diagnosticata. 

2-I dati settimanali confermano la stabilità nell'andamento della pandemia, in particolare per la percentuale di positivi e il numero dei decessi mentre continua il calo di ricoverati, dei degenti in terapia intensiva e dei soggetti in isolamento domiciliare. La percentuale dei tamponi positivi sul totale ha invece un modesto ma significativo incremento segno della persistenza dell'infezione in alcune aree. 

Rimane elevata l'incidenza dei nuovi casi in Veneto che supera giornalmente la Lombardia. Nel mese di dicembre sono stati rilevati 89200 nuovi casi per una media giornaliera di quasi 3600, doppia rispetto a quella lombarda. Le ipotesi di spiegazione del fenomeno puntano sul combinato disposto di due fattori: il fatto che il Veneto non sia stata dichiarata zona rossa e il massiccio uso dei test rapidi per screening tra operatori sanitari e delle RSA, noti per comportare un elevato rischio di falsi negativi:

https://tg.la7.it/cronaca/preoccupa-il-veneto-dove-lindice-di-diffusione-del-virus-sopra-l1-25-12-2020-156612?fbclid=IwAR0QIr3S2mPkuePL5EwPxrgIIAzaquSRx91AWtwT2jG5E29ILg9TYgioIi0

I parametri monitorati dalla PC si dividono in due gruppi: statici, come il numero di nuovi casi, i decessi o i dimessi/guariti, e dinamici, come i degenti in terapia intensiva o nei reparti ordinari. Il dati delle presenze registrati quotidianamente in questo secondo gruppo sono la risultante dei flussi in entrata e in uscita.  Dal mese di dicembre sono cambiati alcuni parametri del prospetto giornaliero della protezione civile: sono stati eliminati i dati dei nuovi casi suddivisi tra positivi individuati per sospetto clinico (sintomatici) e per screening (asintomatici), che erano stati introdotti a giugno, e sono comparsi i nuovi ingressi giornalieri nelle terapie intensive, accanto al numero totale dei ricoverati. 










3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni







venerdì 25 dicembre 2020

Covid-19: dati settimanali al 23 dicembre

1- Andamento settimanale e mensile

I dati settimanali confermano la stabilità nell'andamento della pandemia, in particolare per la percentuale di positivi e il numero dei decessi mentre continua il calo di ricoverati, dei degenti in terapia intensiva e dei soggetti in isolamento domiciliare. La percentuale dei tamponi positivi sul totale ha invece un modesto ma significativo incremento segno della persistenza dell'infezione in alcune aree. 

Rimane elevata l'incidenza dei nuovi casi in Veneto che supera giornalmente la Lombardia. Nel mese di dicembre sono stati rilevati 89200 nuovi casi per una media giornaliera di quasi 3600, doppia rispetto a quella lombarda. Le ipotesi di spiegazione del fenomeno puntano sul combinato disposto di due fattori: il fatto che il Veneto non sia stata dichiarata zona rossa e il massiccio uso dei test rapidi per screening tra operatori sanitari e delle RSA, noti per comportare un elevato rischio di falsi negativi:

https://tg.la7.it/cronaca/preoccupa-il-veneto-dove-lindice-di-diffusione-del-virus-sopra-l1-25-12-2020-156612?fbclid=IwAR0QIr3S2mPkuePL5EwPxrgIIAzaquSRx91AWtwT2jG5E29ILg9TYgioIi0

I parametri monitorati dalla PC si dividono in due gruppi: statici, come il numero di nuovi casi, i decessi o i dimessi/guariti, e dinamici, come i degenti in terapia intensiva o nei reparti ordinari. Il dati delle presenze registrati quotidianamente in questo secondo gruppo sono la risultante dei flussi in entrata e in uscita.  Dal mese di dicembre sono cambiati alcuni parametri del prospetto giornaliero della protezione civile: sono stati eliminati i dati dei nuovi casi suddivisi tra positivi individuati per sospetto clinico (sintomatici) e per screening (asintomatici), che erano stati introdotti a giugno, e sono comparsi i nuovi ingressi giornalieri nelle terapie intensive, accanto al numero totale dei ricoverati. 









3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni







lunedì 21 dicembre 2020

Covid-19: dati settimanali al 16 dicembre

  1- Andamento settimanale e mensile

I parametri monitorati dalla PC si dividono in due gruppi: statici, come il numero di nuovi casi, i decessi o i dimessi/guariti, e dinamici, come i degenti in terapia intensiva o nei reparti ordinari. Il dati delle presenze registrati quotidianamente in questo secondo gruppo sono la risultante dei flussi in entrata e in uscita, che però non sono mai stati precisati, mentre le "uscite" possono essere dovute sia ai decessi sia al ritorno del paziente in un'unità sub-intensiva. Per quanto riguarda le "uscite" i dati dei ricoveri e delle TI nelle prime due settimane di dicembre sono in negativo proprio per la prevalenza dei malati dimessi rispetto ai nuovi ingressi.

Dal mese di dicembre sono cambiati alcuni parametri del prospetto giornaliero della protezione civile: sono stati eliminati i dati dei nuovi casi suddivisi tra positivi individuati per sospetto clinico (sintomatici) e per screening (asintomatici), che erano stati introdotti a giugno, e sono comparsi i nuovi ingressi giornalieri nelle terapie intensive, accanto al numero totale dei ricoverati. Peraltro la suddivisione dei positivi nei due gruppi è stata disomogenea da una regione all'altra: ad esempio nelle Marche e nelle provincia di Bolzano spesso non veniva segnalato giornalmente alcun caso positivo per screening.

La scorsa settimana tutti gli indicatori dimostrano una sostanziale stabilità dell'andamento della pandemia, in particolare la percentuale di positivi e il numero dei decessi mentre continua il calo di ricoverati, dei degenti in terapia intensiva e dei soggetti in isolamento domiciliare.











3-Report della Protezione Civile: dati mensili e a 30 giorni






domenica 20 dicembre 2020

Falsi negativi ed approccio a soglia nella diagnosi di Covid-19

Il dibattito sul significato e sull’uso appropriato dei test antigenici, cosiddetti rapidi è sempre vivace e induce ad alcune considerazioni metodologiche a partire dal contenuto delle linee guida ministeriali. Ad esempio nel contesto clinico, ovvero di fronte ad un “caso sospetto sintomatico con o senza link epidemiologico” o in un “soggetto in quarantena se compare sintomatologia (es. contatto stretto di caso confermato)” il documento del ministero raccomanda:

·       Prima scelta: Test molecolare su tampone oro/naso faringeo (**)

·       Alternativa: Test rapido antigenico su tampone oro-naso faringeo o nasale + conferma con test molecolare per i casi positivi (*)

·       Commento. Anche se in questo caso il test rapido potrebbe avere una affidabilità maggiore perché il soggetto è sintomatico (con una minore probabilità di falsi negativi), tuttavia il tampone molecolare rimane la prima scelta (si veda anche il PS).

Come già sottolineato mancano indicazioni pratiche sulle decisioni da prendere nel sospetto di un falso negativoQuesto fatto è abbastanza comprensibile in un documento che detta regole generali ed astratte rispetto alle situazioni contingenti e alle circostanze particolari, ovvero di fronte allo spettro di varietà/unicità dei casi clinici reali. Alcuni colleghi hanno giustamente posto il problema pratico così sintetizzabile: quando dobbiamo sospettare un falso negativo?

La questione ha risvolti cognitivi ed epistemici non indifferenti e un po' paradossali, perchè bisogna sospettare un "inganno", si deve smascherare un dato falso, si deve in chiave popperiana distinguere una falsificazione autentica da una ingannevole e "fasulla". Posto che per questioni economiche ed organizzative non si può chiedere a tappeto il test molecolare agli esiti negativi dei tamponi rapidi, che risolverebbe alla radice il dubbio, a quali criteri/indicatori si può ricorrere per orientare la decisione? La questione attiene ad una specifica situazione non rara in clinica, che pone il decisore di fronte ad un dilemma allorquando emerge una discrepanza tra il giudizio clinico e gli accertamenti, ovvero quando una diagnosi data per certa viene smentita dall'esito negativo di un test.

Tamponi negativi e approccio di sanità pubblica

Lo schema proposto dal documento ministeriale è tarato sui diversi contesti decisionali che spaziano dai casi clinici individuali alla dimensione sovraindividuale dell’igiene/prevenzione pubblica per il controllo dell’infezione. La differenza è dirimente in quanto un conto è decidere quale test è più appropriato per una classe di soggetti, ad esempio per lo screening di una categoria di lavoratori asintomatici, e altra cosa è l’obiettivo di arrivare alla diagnosi in un soggetto sintomatico. Vi sono poi le situazioni intermedie in cui l’obiettivo diagnostico individuale si sovrappone a quello collettivo di salute pubblica, come nel caso dei contatti stretti con un caso positivo. Il rischio di incappare in un falso positivo o negativo, con le potenziali e speculari conseguenze, varia in funzione della tipologia del paziente/categoria e dell’obbiettivo che ci si pone con il test diagnostico.

Come sopra accennato le indicazioni ministeriali per i diversi scenari risentono inevitabilmente della priorità preventiva pubblica, di matrice igienico-epidemiologica, anche se si rivolgono inevitabilmente ad attori clinici, ai quali peraltro non sono concessi margini decisionali sulla scelta del test più appropriato, tranne ai MMG e ai medici del PS che possono eseguite i tamponi antigenici.

Ad esempio i probabili falsi negativi presenti in una popolazione generale sottoposta a screening antigenico hanno ben altro significato e conseguenze di quelli ipotizzabili in un gruppo professionale, come quello degli operatori socio-sanitari. Nella valutazione di appropriatezza del test oltre alle caratteristiche di sensibilità/specificità, rientrano anche le diverse probabilità a priori di malattia, la finalità del test, la presenza o meno di sintomi, le diverse fasi dell’infezione e le potenziali conseguenze di un test “falso”, in un senso e nell’altro.

Le conseguenze del falso negativo dei test rapidi utilizzati nello screening dei lavoratori ad alto rischio di contatto attivo o passivo con il Sars-Cov2 (operatori socio-sanitari), sono tali da sconsigliarne l’utilizzo o di adottare provvedimenti cautelativi, come la ripetizione in caso di sospetto falso negativo.

Diagnosi di Covid-19, falsi negativi e approccio a soglia

Come si può immaginare lo spettro del falso negativo condiziona in generale il procedimento diagnostico. Il grande assente nel documento ministeriale è il giudizio clinico dei singoli casi che spetta ai medici pratici quando sorge il sospetto di Covid-19; l'unico accenno alla valutazione clinica si ha nelle note sui test rapidi dove si riporta la raccomandazione dei produttori, secondo i quali "la negatività del campione, a fronte di forte sospetto di COVID-19, dovrebbe essere confermata mediante test molecolare" (si veda anche il PS). Questa carenza è probabilmente inevitabile e l’incertezza diagnostica deve essere gestita dai medici di fronte ad un “caso sospetto sintomatico con o senza link epidemiologico”. Come scongiurare quindi lo spettro del falso negativo e con le sue deleterie conseguenze?

Per affrontare il problema ci viene in aiuto la logica bayesiana applicata alla valutazione probabilistica soggettiva del cosiddetto approccio a soglia di diagnosi e terapia; si tratta di un modo semplice ed elegante di trasferire la complicata formula di Bayes alla pratica clinica. Il treshold approach risale agli anni ottanta ed ipotizza due soglie decisionali collocate lungo un continuum di probabilità soggettiva, che va dalla massima incertezza a priori fino alla “certezza” diagnostica della probabilità a posteriori del 100% (si veda anche la figura). L'incremento della probabilità soggettiva è la risultante delle probabilità condizionali correlate alla sensibilità/specificità dei test diagnostici prescritti.

Le informazioni anamnestiche abbinate a quelle cliniche incrementano progressivamente la probabilità di malattia che in due punti del continuum può superare altrettante soglie decisionali

  • quella diagnostica, quando oltrepassa un valore minimo di probabilità che fa scattare la prescrizione di test diagnostici con l’obiettivo di confermare o smentire l’ipotesi formulata (la probabilità condizionale del test)
  • quella terapeutica, quando i dati raccolti hanno un significativo "peso" informativo tanto da superare la seconda soglia che sfocia nella prescrizione della terapia appropriata saltando la conferma diagnostica.

Il modello può essere applicato anche alla diagnosi del Covid-19 con alcune precauzioni in rapporto alla significatività e alla gran varietà dei sintomi dell’infezione. Ad esempio la rilevazione del sintomo più specifico del Covid-19, ovvero l’abbinamento anosmia + ageusia, consente di superare di slancio sia la soglia diagnostica sia quella terapeutica, sebbene manchi una cura specifica ed efficace; anche dopo l'osservazione del binomio polmonite interstiziale bilaterale+ipossemia arteriosa si supera abbondantemente la soglia terapeutica, con la conseguente messa in atto di tutti i provvedimenti del caso fino al ricovero e all’intubazione.

Al polo opposto si colloca la gamma di sintomi minori e aspecifici che si sono aggiunti nella seconda fase della pandemia a quelli simil influenzali codificati nella prima ondata primaverile: cefalea, mialgie, artralgie, spossatezza, disturbi gastrici, febbre<37,5° etc.. Essendo poco specifici sono anche fonte di incertezza ed in presenza di un’elevata circolazione del virus nelle zone ad elevata prevalenza di Covid-19 faranno comunque superare la soglia diagnostica imponendo di fatto la prescrizione del tampone molecolare o di quello antigenico per discriminare, ad esempio, una sindrome influenza dal Covid-19. Al contrario la tipica triade sintomatologica influenzale (febbre>37,5°, tosse e rinorrea) imporranno la prescrizione a tutti dell'indagine eziologica, molecolare o antigenica.

In caso di "dissonanza cognitiva" tra il test antigenico negativo (nel dubbio di un "falso") e il sospetto diagnostico si possono configurare tre casi

  • quando si prescrive il test antigenico per sintomi aspecifici al limite della soglia diagnostica, l’esito negativo smentisce l'ipotesi di Covid-19 e prevale sul giudizio clinico
  • di fronte ai quadri più specifici, come anosmia/ageusia o polmonite interstiziale, che superano la soglia terapeutica prevale invece il giudizio clinico su quello negativo del laboratorio, a conferma della diagnosi di Covid-19
  • nella zona intermedia tra le due soglie l’incertezza potrà essere risolta, in caso di forte sospetto clinico, solo da un secondo test più affidabile, ad esempio il molecolare, oppure dalla ripetizione dell'antigenico. Questa, ad esempio, è la linea di condotta suggerita dalle disposizioni aziendali in alcuni PS, in caso di esito negativo di un tampone antigenico sospetto per essere un "falso".
CONCLUSIONI. Se nel contesto clinico la dissonanza cognitiva tra l'esito del test e la convinzione maturata al termine del processo diagnostico può essere di aiuto per sospettare ed eventualmente smascherare un falso negativo, questa risorsa manca totalmente nell'uso del test come screening in soggetti asintomatici, con conseguenze facilmente intuibili. In tal caso il falso negativo esonda dalla dimensione individuale per straripare in quella epidemica pubblica, moltiplicando a dismisura le catene del contagio con un effetto perverso e paradosso, dato che lo screening aveva proprio l'obiettivo opposto ovvero di spezzare la catena del contagio facendo emergere i positivi asintomatici da isolare.

P.S. OGGETTO: Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica (documento ministeriale aggiornato al 23 ottobre 2020)- 

Test antigenico rapido

Il test può risultare negativo se la concentrazione degli antigeni è inferiore al limite di rilevamento del
test (es. se il prelievo è stato eseguito troppo precocemente rispetto all’ipotetico momento di esposizione) o se il campione è stato prelevato, trasportato o conservato impropriamente. Per questo, i produttori di tali kit evidenziano che un risultato negativo del test non esclude la possibilità di un’infezione da SARS-CoV-2 e la negatività del campione, a fronte di forte sospetto di COVID-19, dovrebbe essere confermata mediante test molecolare

I test molecolari sembrano avere una maggiore sensibilità prima della comparsa dei sintomi, mentre nella fase iniziale immediatamente successiva all’inizio dell’infezione i test rapidi antigenici e quelli molecolari hanno una sensibilità simile, rendendo utile l’uso anche dei primi (2). Inoltre, il test rapido antigenico può essere utilizzato per l’identificazione dei contatti asintomatici dei casi, anche se questo tipo di test non è specificamente autorizzato per questa destinazione d’uso, poiché è stato dimostrato che i casi sintomatici hanno cariche virali simili ai casi sintomatici (10).

sabato 19 dicembre 2020

DOCUMENTO AGENAS DI REVISIONE DEL SSR LOMBARDO: Analisi dei risultati raggiunti a cinque anni dall'avvio della LR 23/2015

La riforma del Sistema Sociosanitario Lombardo (LR 23/2015)

Analisi del modello e risultati raggiunti a cinque anni dall'avvio

Al Link il documento completo

https://app.box.com/file/755471091626?s=2o7a2und7hdvs85sbe1wnjroyr29fni3

Conclusioni

La proposta di riorganizzazione del sistema sociosanitario lombardo, scaturita da una analisi quali-quantitativa delle dimensioni sociosanitarie ad oggetto di una organizzazione regionale, nonché dall’analisi delle criticità rilevate a seguito dell’introduzione del d.lg n. 23/2015, focalizza taluni cambiamenti obbligatori e necessari per armonizzare questo stesso, nonché per allinearlo alle disposizioni normative nazionali (in particolare, il d.lgs. 502/1992).

Il fine è quello di garantire al sistema una capacità di risposta efficiente e coerente con le esigenze socio sanitarie della popolazione di riferimento.

In particolare si rende necessario porre in atto le seguenti prescrizioni:

  • Istituire i Dipartimenti di Prevenzione, costituiti quali articolazioni delle ASST, con funzioni di governo ed erogazione delle prestazioni per la tutela della salute della popolazione.
  • Istituire i Distretti, costituiti quali articolazioni delle ASST, con funzioni di governo ed erogazione delle prestazioni distrettuali, prevedendo un adeguato coinvolgimento dei sindaci.
  • Istituire i Dipartimenti di Salute Mentale, costituiti quali articolazioni delle ASST, con il compito di gestire la domanda legata alla cura, all'assistenza e alla tutela della salute mentale nell'ambito del territorio di riferimento.
  • Istituire la figura del Direttore di Distretto, selezionato ai sensi della normativa vigente.
  • Assegnare alle ASST l’attuazione degli atti di indirizzo, di pianificazione e di programmazione regionali con le connesse attività di programmazione ed organizzazione dei servizi a livello locale, sulla base della popolazione di riferimento.
  • Attribuire alla Regione la funzione di accreditamento istituzionale delle strutture pubbliche, private e dei professionisti che ne facciano richiesta.
  • Assegnare alla Regione (tramite l’Agenzia di controllo), oppure all’ATS unica, funzioni di vigilanza e controllo degli erogatori privati accreditati di valenza regionale o extraregionale con cui ha stipulato gli Accordi Contrattuali e assegnare alle ASST la funzione di controllo degli erogatori privati accreditati: ospedalieri, ambulatoriali e sociosanitari, con valenza locale, con cui hanno stipulato gli Accordi Contrattuali. Vi sono poi talune indicazioni che rappresentano un suggerimento migliorativo utile per coadiuvare al nuovo modello organizzativo del Sistema Sociosanitario Lombardo, tra le quali:
  • Costituire un'ATS unica con funzioni tecnico amministrative specialistiche a livello accentrato, con il compito di coordinamento delle ASST e supporto nel miglioramento dei processi tecnico amministrativi e di organizzazione sanitaria e sociosanitaria ed infine con l’incarico tecnico di supporto alla programmazione regionale (valutazione epidemiologica, analisi, dati, informazioni, supporto tecnico per l'adozione di provvedimenti regionali).
  • Assegnare all’ATS unica, o in alternativa alla Regione secondo il modello rappresentato, la negoziazione e la contrattazione con gli erogatori privati di profilo regionale e extraregionale.
  • Assegnare all’ATS unica, o in alternativa alla Regione secondo il modello rappresentato, le attività di controllo sul rispetto degli Accordi Contrattuali con gli erogatori privati accreditati di valenza regionale o extraregionale, ferme restando le attività di controllo sul rispetto degli Accordi Contrattuali con gli erogatori privati accreditati di valenza locale alle ASST.
  • Assegnare alla Regione, oppure all’ATS unica, l’incarico di stipula degli Accordi Contrattuali con gli erogatori privati accreditati per attività di ambito regionale o extraregionale, ed assegnare alle ASST, previa valutazione del fabbisogno locale, l’incarico di stipula degli Accordi Contrattuali con gli erogatori privati accreditati di prestazioni ospedaliere, ambulatoriali e sociosanitarie per attività in ambito locale.
  • Attribuire all’Agenzia di controllo (quale organismo regionale terzo tecnico scientifico) compiti di programmazione, analisi, vigilanza e supervisione dell’attività di controllo svolta sul sistema di erogazione delle prestazioni da parte di aziende pubbliche ed erogatori privati accreditati.
  • Attribuire alla Agenzia di Controllo la competenza all'emanazione di direttive, di analisi sui risultati dell'attività di controllo, di risoluzione delle contestazioni sorte a seguito dei controlli svolti.
  • Valutare la possibilità di ridefinire le dimensioni delle ASST al fine di renderle maggiormente funzionali all’organizzazione dei servizi sanitari della popolazione di riferimento ed efficienti nell’erogazione delle prestazioni ai cittadini.
  • Sarebbe opportuno porre in atto tali interventi con tempestività al fine di rendere operative le indicazioni fornite, scaturite dall’analisi quali-quantitativa rappresentata, con diretta incidenza sulla modifica della legge regionale n. 23 dell’11 agosto 2015.

La lettera di accompagnamento del ministro Speranza al Governatore Fontana detta i tempi dell'allineamento del SSR lombardo alle norme nazionali, da attuare entro 120 giorni con "l'impegno di iniziare il percorso di riforma entro 30 giorni". 

https://app.box.com/file/755452869739?s=fns860i6rb2g4agmxypymbgu7rzzzkzy

mercoledì 16 dicembre 2020

Sui rischi epidemiologici dei test antigenici falsamente negativi

L'orientamento delle prossime linee guida ministeriali sui tamponi rapidi- che rivedono quelle precedenti come anticipa un esperto dell'ISS nell'intervista a La Repubblica al PS - è di eliminare la raccomandazione del tampone molecolare in caso di test rapido positivo in sintomatici o asintomatici. 

Tuttavia ancora non si modifica l'omissione più rilevante della versione ancora in vigore, in cui non si raccomandava DI VERIFICARE SEMPRE CON IL TEST MOLECOLARE i tamponi rapidi risultati negativi, come indica chiaramente il documento dell’ECDC europeo, onde evitare i potenziali rischi dei falsi negativi. La situazione è assai delicata se si pensa che in certe regioni come il Veneto si fanno più tamponi rapidi che molecolari, dove peraltro da 2 settimane si registra un picco anomalo di contagi che ha destato non pochi sospetti. Dalla seconda metà di novembre il Veneto ha fatto una media di 25mila test antigenici al giorno a fronte di 16mila tamponi molecolari ( https://www.ilpost.it/2020/12/17/veneto-coronavirus-zona-gialla/?fbclid=IwAR26vQSdaxt_GSrwQ1uAVuYPx4co2Hy2dW6lwgmuvAUkeY9AZbf6gf7bd9g )

D’altra parte era stato il Professor Crisanti alla fine di ottobre a mettere in guardia le autorità dai rischi della bassa sensibilità di alcuni tamponi antigenici, poi confermata da una specifica ricerca valutativa condotta dallo Spallanzani per validare il test di un’azienda coreana acquistato dal Commissario per l’emergenza e distribuito a tutte le regioni (https://www.open.online/2020/10/24/coronavirus-crisanti-test-rapidi-hanno-problemi-giganteschi/). Crisanti aveva commentato"vanno bene solo per quelli che hanno carica virale alta, utili per gli screening di massa ma non per il tracciamento dei contatti. Sarà un boomerang".

Anche uno studente del 6° anno di medicina dovrebbe sapere che l’esito falsamente negativo di un test è una trappola dagli esiti potenzialmente nefasti. Le conseguenze pratiche dei due falsi sono opposte e speculari: il soggetto falsamente positivo al test inizierà una terapia inutile o potenzialmente a rischio di effetti collaterali mentre l'esito falsamente negativo comporterà un ritardo diagnostico o una omissione della diagnosi e della terapia e, nel caso del Covid, il mancato isolamento di un portatore con ulteriore diffusione del virus tra la popolazione, come forse è accaduto in Veneto, per giunta tra gli operatori sanitari e sociosanitari sottoposti al tampone rapido invece che al molecolare, come denunciato dal sindacato ANAAO ( http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=89884 ). Peraltro nelle stesse attuali linee guida ministeriali si ricorda che "i produttori di tali  kit evidenziano che un risultato negativo del test non esclude la possibilità di un’infezione da SARS-CoV-2 e la negatività del campione, a fronte di forte sospetto di COVID-19, dovrebbe essere confermata mediante test molecolare". Inoltre già a metà novembre il CTS del veneto aveva chiesto un parere all'ISS circa la validità dei test antigenici, introdotti autonomamente nella regione, e richiesto di eseguire solo il tampone molecolare al personale sanitario ( http://www.regioni.it/sanita/2020/11/19/covid-zaia-su-test-rapidi-veneto-ha-chiesto-parere-a-cts-622911/ )

Ciononostante le linee guida ministeriali in vigore ignorano i rischi dei falsi negativi; ma non è detto che nelle nuove linee guida, di prossima pubblicazione, sia prevista la RACCOMANDAZIONE di FARE SEMPRE il test molecolare in caso di tampone rapido NEGATIVO, come consiglia esplicitamente anche l'ECDC (si veda il PS) e come è prassi comune in alcuni PS. Com'è possibile che tra gli esperti del CTS manchi la competenza clinica per valutare RAZIONALMENTE i potenziali rischi del falsi negativi per la diffusione della pandemia? 

La vicenda ha dell’incredibile e supera anche l’immaginabile. Al Link il commento del prof. Crisanti sul boom di contagi in Veneto dall'inizio di dicembre mentre nelle altre regioni diminuiscono:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/17/crisanti-in-veneto-uso-inappropriato-dei-test-rapidi-non-da-barriera-ma-da-gruviera-natale-si-a-zona-rossa-in-tutta-italia-ma-con-negozi-aperti/6040232/?utm_content=fattoquotidiano&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR1bFx_QkqafZ40YAPzxpyWiqUQA7haxrW9Rjc-s3MHLqE32dGJfls5ysg4#Echobox=1608216039

Per approfondire si veda anche

nota tecnica del Ministero della salute n. 0035324-30/10/2020-DGPRE-DGPRE-P

http://curprim.blogspot.com/2020/11/sensibilita-dei-test-rapidi-antigenici.html

http://curprim.blogspot.com/2020/11/tamponi-rapidi-affidabilita-sicurezza-e.htm

Al link la ricerca sulla validazione del test rapido coreano, condotta allo Spallanzani, bocciato già ad ottobre dal prof. Crisanti: https://app.box.com/s/5fvi85p76wgyfpjxht5e4iklxpkbq2rc

P.S. Stralcio dell''intervista a La Repubblica del 15 dicembre di Paolo D’Ancona dell’Istituto superiore di sanità.

Quando è meglio fare questi test?

Di nuovo l’Ecdc, suggerisce di usarli entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi o 7 giorni dall’esposizione, cioè del contatto a rischio. «Se il momento dell’esposizione non è noto, vanno realizzati il prima possibile», scrivono gli esperti del Centro europeo, anche se il risultato ovviamente non è ottimale.

A chi vengono fatti oggi?

Possono essere usati sia come screening su casi asintomatici che su casi sintomatici, spiega D’Ancona. Bisogna però tenere conto delle loro caratteristiche. Se una persona ha la febbre o altri sintomi del Covid, fa il tampone rapido e risulta positiva, c’è un’altissima possibilità che lo sia davvero. Se invece viene negativa sarebbe meglio cercare la conferma del molecolare. Lo dice anche l’Ecdc: in una situazione di alta prevalenza della malattia come quella attuale da noi, se qualcuno ha i sintomi è meglio non fidarsi del risultato negativo. Se invece una persona è asintomatica e fa il test rapido, è meglio non fidarsi del risultato positivo e cercare una conferma con il molecolare.

Che novità introdurrà la circolare del ministero?

Dovrebbe semplificare quanto riportato nei tanti documenti sugli strumenti diagnostici. L’idea è di togliere l’obbligo di fare il tampone molecolare di conferma quando c’è un test rapido positivo, sia nei sintomatici che negli asintomatici (anche se sui secondi bisogna ancora valutare bene il da farsi). L’atto porterà al conteggio anche dei test rapidi, che finirebbero nel report quotidiano della Protezione civile. L’aumento degli esami potrebbe provocare una riduzione della percentuale dei positivi rispetto ai test. La circolare dovrebbe anche mettere ordine sulla sorveglianza e la fine del periodo di malattia, anche se in quel caso cambierebbe le disposizioni di un decreto. Un problema di fonti legislative che deve essere risolto.