martedì 28 febbraio 2017

Appropriatezza endoscopica, facile con il senno di poi!

Come abbiamo visto nel precedente post la conoscenza a priori delle casistiche cliniche, a cui fanno riferimento i criteri di appropriatezza delle endoscopie, non esaurisce tutta la gamma delle situazioni in cui invece è opportuno un accertamento diagnostico, per una deformazione "statistica": i criteri di appropriatezza sono tarati sul caso medio, sul paziente tipo più rappresentativo della categoria di portatori di una certa patologia.

Nella realtà lo spettro delle presentazioni è invece più variegato e multiforme della rappresentazione schematica e, solo apparentemente, oggettiva che ne danno le linee guida. Questo argomento ci porta a considerare le basi concettuali delle raccomandazioni e del loro utilizzo pratico per valutare l'appropriatezza delle decisioni. In questo campo si realizza una sorta di cortocircuito metodologico e temporale tra un'impostazione a priori e quella complementare ex post, tra indicazioni generali e specificità di ogni caso.

L'appropriatezza di un esame, come pure di un accesso in PS, dovrebbe essere giudicata ex ante nel singolo assistito, e non a posteriori tra quanti hanno eseguito il test, come invece fanno i gastroenterologi che giudicano l'appropriatezza su ampie coorti. Lo stesso discorso vale per i codici cromatici del PS, che dovrebbero essere attribuiti all'inizio dell'iter e non alla fine delle procedure diagnostiche, spesso complesse ed articolate, espletate in PS.

Il giudizio di appropriatezza emerge generalmente dal confronto statistico su grandi numeri tra esami negativi ed esami che invece hanno dato un esito patologico, a dimostrazione che l'accertamento era stato prescritto correttamente. Questo modello presuppone che la prescrizione dell'esame miri sempre a confermare un sospetto diagnostico ben definito, mentre nella realtà spesso i test vengono prescritti per confutare un'ipotesi di malattia; è il caso di condizioni pauci- o asintomatiche, di disturbi vaghi ed aspecifici ma soprattutto di soggetti portatori di fattori di rischio privi di sintomi soggettivi (basta pensare agli assistiti con familiarità per neoplasia gastrica o colica, per i quali ad esempio è prevista una colonscopia periodica ed una specifica esenzione, per non parlare dei test di suscettibilità genetica).

Come afferma Marco Bobbio nel suo recente libro "Troppa medicina" (Einaudi, Torino 20017: http://www.troppamedicina.it/ ) "se alimentiamo l'idea che esiste una sola scelta giusta a priori, qualunque risultato sfavorevole presupporrà un errore" (pag. 29). Ovvero se i criteri di appropriatezza ex ante sono considerati in modo assoluto, acontestuale ed avulsi da una valutazione globale del singolo caso ogni scostamento rispetto al dato atteso sarà segno di inappropriatezza, specie se questa conclusione viene emessa ex post rispetto al percorso diagnostico.

Il giudizio di appropriatezza dovrebbe valere solo se chi lo formula è soggetto al cosiddetto "velo di ignoranza", definito dal filosofo della politica John Rawls riprendendo una nozione sviluppata da Kant. Il concetto di Rawls fa riferimento al principio cardine della sua "teoria della giustizia", in cui i singoli individui scelgono essendo privi di informazioni relative alla propria condizione futura nella società.

Applicato al campo medico il velo di ignoranza corrisponde alla condizione di incertezza che caratterizza chi osserva una situazione clinica all'esordio, prima di poter acquisite informazioni diagnostiche rilevanti sulla natura del disturbo che, dissolvendo l'incertezza e squarciando il velo, consentiranno un giudizio esauriente solo a posteriori. Detto in altri termini, con il senno di poi tutti sono in grado di valutare l'appropriatezzza di un accertamento, tent'è che esiste uno specifica euristica/bias per descrivere situazioni di questo tipo (indsight bias: http://www.dif.unige.it/epi/networks/05/motterrlini.pdf ).

A detta del filosofo della scienza Matteo Motterlini l'esperienza ci insegna che "c’è una grossa differenza fra predire gli sviluppi  futuri di una situazione e spiegare il corso di eventi già accaduti. Col senno di poi, infatti, siamo tutti più bravi". Questa "distorsione retrospettiva del giudizio" è dovuta alla propensione degli umani "a dare senso agli eventi passati, descrivendoli come conseguenze inevitabili (o quasi) di condizioni che erano presenti fin dall’inizio". Il "velo di ignoranza" è l'opposto dell'insight bias perchè costringe a giudicare e valutare la situazione ex ante e non ex post, cioè prima di aver acquisito informazioni significative, spesso dirimenti, sulla natura del problema e sull'epilogo della vicenda.

Conclude Motterlini: "uno sguardo retrospettivo può avere un’influenza fuorviante sul modo in cui valutiamo non solo i giudizi, ma anche le decisioni". Nel caso dell'appropriatezza delle endoscopie le decisioni di una popolazione di medici, alle prese con casi multiformi e spesso fonte di incertezza, vengono valutate ex post (grazie al senno di poi) e sulla base di criteri generali a priori, astratti rispetto alla varietà della casistica.

sabato 25 febbraio 2017

Appropriatezza diagnostica, prototipi ed aderenza al modello

Il precedente post si concludeva con una puntualizzazione sul concetto di appropriatezza, che attiene alle caratteristiche del singolo caso clinico, da valutare in rapporto alle linee guida o alle buone pratiche cliniche, e non può essere esteso meccanicamente alle prescrizioni aggregate per valutare le decisioni diagnostico-terapeutiche di un'intera popolazione di professionisti. Il salto metodologico dal livello individuale del singolo caso alla coorte di assistiti o di medici è insomma "inappropriato" da diversi punti di vista: in questo post propongo alcune considerazioni metodologiche e di psicologia cognitiva, mentre nel successivo gli aspetti epistemologici.

Le indicazioni comportamentali delle Linee Guida, ad esempio i criteri per prescrivere un'endoscopia digestiva, partono da una conoscenza accumulata "a priori", frutto di indagini clinico-epidemiologiche, che devono essere applicate nel singolo assistito portatore di un sintomo, ad esempio suggestivo di RGE.

Da queste ricerche emerge il "profilo" medio dell'assistito che può essere sottoposto con appropriatezza alla gastroscopia e di riflesso di quello che invece non ne avrebbe alcun beneficio, ovvero che farebbe l'esame inutilmente (ad esempio il soggetto con disturbi gastrici che lamenta anche dimagrimento, anemia, vomito persistente, sanguinamento in atto etc..). Tra i criteri di elegibilità mancano diverse variabili che rientrano in una valutazione globale del disturbo e che orientano la decisione: le comorbilità, le terapie in atto, i precedenti anamnestici, la qualità e l'entità del sintomo soggettivo riferito, che spazia dalle forme più vistose a quelle pauci- o addirittura asintomatiche, com'è di regola la presentazione del tumore gastrico, nelle fasi iniziali, o dell'ulcera "silente".

I criteri "oggettivi" per la prescrizione dell'endoscopia fanno riferimento al concetto di "prototipo" elaborato della psicologia cognitiva, ovvero il soggetto medio più rappresentativo della categoria di coloro per i quali la gastroscopia è indicata. Ma tra il candidato ideale e quello per il quale la gastroscopia è inutile non vi è mai un confine netto, nel segno della dicotomia tutto-o-nulla, ma invece una gamma, un continuum di situazioni intermedie e "sfumate" (fuzzy) che si distribuiscono più o meno lungo la classica curva gaussiana della varietà, senza considerare la componente soggettiva. Ad esempio, in quanto tempo e quanti Kg di peso deve aver perso un assistito per essere giudicato idoneo alla gastroscopia? Le stesse considerazioni valgono per il limite anagrafico che solitamente viene posto come cut-of tra un'endoscopia appropria e una non, per non parlare della soggettività dell'assistito.

Ora se ci si fissa troppo sull'immagine del prototipo per prendere le decisioni si rischia di incorrere nella cosiddetta euristica della rappresentatività e nel conseguente bias ( http://www.pensierocritico.eu/intelligenza-euristica.html ). Vale a dire nel mancato riconoscimento di una delle situazioni intermedie e sfumate della distribuzione gaussiana di cui sopra, perchè si ha come riferimento solo l'esemplare medio più rappresentativo di una categoria, tanto da diventare uno stereotipo. In realtà tra chi non presenta i tratti tipici ed oggettivi, ovvero non soddisfa i criteri di appropriatezza, si può annidare un soggetto che effettivamente potrebbe giovarsi di un esame, per quanto appaia inappropriato poichè non rientra perfettamente nelle indicazioni delle linee guida. L'euristica della rappresentatività funziona bene, nel senso che porta ad un rapido riconoscimento, quando ci si trova dinnanzi a casi da manuale, ma rappresenta un potenziale trabocchetto quando invece si incappa in sintomi atipici o d'esordio, presentazioni paucisintomatiche, bizzarre ed "eccentriche" rispetto al modello idealtipico, per usare il termine introdotto dal sociologo Max Weber.

La trappola della rappresentatività è più sottile perchè uno dei precetti della diagnostica differenziale va proprio in suo sostegno. Infatti di fronte ad un caso di incertezza tra più diagnosi la regola dell'aderenza al modello suggerisce di preferire la descrizione tipica che più somiglia alla situazione in esame; dato che la diagnosi si basa sulla possibilità di ricondurre i dati rilevati al modello più rappresentativo di una determinata categoria nosologica, nel singolo caso si propenderà per il "prototipo" di malattia a cui può essere assimilato il profilo del paziente. L'euristica della rappresentatività si converte in una bias quando funziona in negativo, nel senso che ostacola il riconoscimento di un caso atipico o anomalo, proprio perchè prevale l'immagine mentale dell'idealtipo clinico nel processo di riconoscimento a scapito delle presentazioni atipiche o sfumate.

Lo stesso fenomeno può accadere quindi anche nell'applicazione dei criteri di eleggibilità di un accertamento diagnostico, quando predomina il riferimento acritico al profilo medio ideale del paziente candidato all'esame in modo (apparentemente) appropriato, perchè aderente alle indicazioni schematiche delle Linee Guida, a prescindere dalla varietà delle storie di malattia e delle situazioni concrete. Come ha osservato Marco Bobbio "nessuno però è un persona media e il suo destino può discostarsi da quello più probabile" (Troppa Medicina, Einaudi, Torino 2017).

giovedì 23 febbraio 2017

Gastroscopie, inibitori di pompa e ingiunzioni paradossali

Tutti ricordano la teoria del "doppio legame", formulata negli anni settanta come tentativo di interpretazione della schizofrenia dallo psichiatra ed antropologo Gregory Bateson, studioso delle comunicazione umana. Il punto di partenza erano le ingiunzioni paradossali - del tipo "sii spontaneo" o "sii autonomo" - che secondo Bateson ponevano il soggetto in una posizione di indecedibilità e di paralisi decisionale, per il loro contenuto auto-contraddittorio. In MG capita di osservare simili dinamiche comunicative, ad esempio quando il depresso viene incitato dai parenti a reagire alla malattia o facendo appello ad uno sforzo di volontà per guarire in modo autonomo. Ebbene oggi si aggiunge una nuova formula al catalogo delle ingiunzioni paradossali, come vedremo più avanti.

Per l’anno 2017 Regione Lombardia ha indicato come obiettivi formativi per i MMG l’appropriatezza prescrittiva di Inibitpri di Pompa Protonica (IPP) e statine. L'ATS (ex ASL provinciale) ha avviato al riguardo una raccolta dati sull'utilizzo degli IPP, attingendoli da fonti essenzialmente amministrative e quindi a rischio di bias. Ad esempio per valutare l’appropriatezza degli IPP nella malattia da reflusso sono state considerate le diagnosi alla dimissione  ospedaliera e/o dei referti endoscopici, senza tenere conto che la diagnosi di malattia da reflusso può essere anche solo clinica (in questo caso manca il riscontro amministrativo in quanto vi sarà solo una diagnosi nella cartella informatizzata del medico). Inoltre pur in presenza di un referto gastroscopico nei limiti della norma, ovvero senza segni di esofagite, è possibile porre diagnosi di MRGE, più precisamente di NERD.

Per una strana combinazione capita che, in contemporanea all'iniziativa della regione Lombardia, venga lanciato l'ennesimo allarme appropriatezza diagnostica, dopo quello dei radiologi di qualche mese fa, da parte degli endoscopisti digestivi:

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=48095&fr=n

Si prescrivono troppe gastro- o colonscopie inappropriate, ammoniscono gli endoscopisti, sia su prenotazione telefonica per iniziativa autonoma dei pazienti (evenienza peraltro impossibile in Lombardia senza la richiesta del medico curante) sia richieste in modo inproprio dal MMG stesso. La soluzione escogitata dall'endoscopista è presto detta: una visita gastroenterologica per tutti, propedeutica all'esecuzione dell'esame, in quanto (sottinteso) il MMG è inidoneo a prescrivere correttamente l'endoscopia, poco importa se così si allungheranno a dismisura i tempi di attesa per la relativa consulenza specialistica.

Dunque, su questo argomento si profila un inedito fuoco incrociato all'indirizzo del generalista, impreparato e inappropriato, tipico bersaglio facile a mo' del proverbiale convoglio della Croce Rossa. Questa convergenza di critiche configura una classica ingiunzione paradossale:
  • se il generalista prescrive un ciclo di farmaci, ad esempio un IPP test in caso di RGE, rischia l'accusa di inappropriatezza prescrittiva di farmaci mentre;
  • se viceversa prescrive l'esame endoscopico, nel sospetto di un RGE/esofagite, ricade nel reato di inappropriatezza diagnostica.
Insomma non si scappa, in un caso o nell'altro, si ricasca in un'ingiunzione paradossale: "sii appropriato"! Peccato che il concetto di appropriatezza riguardi le caratteristiche del singolo caso clinico, da valutare in rapporto alle linee guida o alle buone pratiche cliniche, e non possa essere esteso meccanicamente alle prescrizioni aggregate e ai comportamenti di un'intera popolazione di professionisti. Il tema merita peraltro ulteriori considerazioni, di carattere metodologico ed epistemologico, da sviluppare in un post successivo.

sabato 18 febbraio 2017

Presa in carico, considerazioni epidemiologiche e valutazione clinica

Il primo passo previsto dalla delibera della Regione Lombardia sulla "presa in carico" dei cronici è la qualificazione della domanda di salute della popolazione, che viene articolata in 5 livelli, sulla base delle informazioni della Banca dati Assistito. Di questi 3 sono composti da assisti affetti da una o piu delle 11 patologie croniche individuate, per un totale di 2 milioni di assistiti: Insufficienza respiratoria/ossigenoterapia, scompenso cardiaco, diabete tipo I e tipo II, cardiopatia ischemica, BPCO, ipertensione arteriosa, vasculopatia arteriosa, vasculopatia cerebrale, miocardiopatia aritmica, insufficienza renale cronica. I tre Livelli sono individuati in relazione al numero di patologie associate (il primo e il secondo) o singole (il terzo).
  1. Livello. Fragilità clinica e/o funzionale con bisogni prevalenti di tipo ospedaliero, residenziale, assistenziale a domicilio (150.000 assistiti lombardi con 3 o più patologie, ovvero il 4,5% della popolazione). Si tratta in genere di pochi assisti complessi e pluripatologici, che richiedono un complesso intervento di tipo socio-assistenziale, parallelo a quello medico-sanitario, che afferiscono quindi a strutture residenziali o sono seguiti in ADP dal MMG o in ADI multiprofessionale, come terminali o soggetti in stadio avanzati di demenza, ospiti di RSA, RSA aperta, centri integrati etc..
  2. Livello. Cronicità polipatologica con prevalenti bisogni extra- ospedalieri, ad alta richiesta di accessi ambulatoriali integrati/ frequent users e fragilità sociosanitarie di grado moderato (1.300.000 cittadini con due condizioni croniche per il 39%). In questa categoria si possono inserire gli assistiti polipatologici, generalmente geriatrici, seguiti sia in ambulatorio che in ADP, solitamente ben compensati, autosufficienti o in caso di disabilità assistiti a domicilio da badante e/o caregiver familiare. Il prototipo di questa categoria è il diabetico tipo II, iperteso e/o con complicanze cardio-vascolari (coronaropatia, vasculopatia cerebrale o periferica, neuropatia, retinopatia, nefropatia etc..).
  3. Livello. Cronicità in fase iniziale prevalentemente monopatologica e fragilità sociosanitarie in fase iniziale a richiesta medio-bassa di accessi ambulatoriali integrati e/o domiciliari /frequent users (1.900.000, il 56,5%). In questa categoria rientrerebbe la maggioranza dei cronici, geriatrici o non, “puri” (diabetici, ipertesi, BPCO, scompensati, vasculopatici etc..) che possono accedere autonomamente allo studio del MMG e che continueranno ad essere seguiti come accade ora dal proprio MMG “proattivo”, come recita la Delibera.
Per quanto riguarda la categorizzazione nei tre livelli di complessità crescente, in funzione delle patologie associate e dei conseguenti bisogni assistenziali, appare riduttivo i criterio puramente statistico dell'associazione tra patologie, individuate nei data base amministrativi, come esenzioni per patologia, SDO, prescrizioni farmaceutiche etc.. Bisogna anche considerare che le 11 patologie inserite nella delibera non esauriscono tutte le possibili comorbilità o combinazioni tra condizioni croniche. Mancano all'appello patologie frequenti (artropatie degenerative ed infiammatorie, neoplasie, disturbi psichiatrici, gastroenterici, prostatici, ematologici etc..) che spesso si associano ad una patologia principale come diabete, ipertensione, IRC etc.. Per di più la stragrande maggioranza dei diabetici sono ipertesi e così pure gli assistiti affetti da coronaropatia, insufficienza renale cronica, scompenso e/o fibrillazione atriale, arteriopatia sono quasi sempre portatori da una o più patologie croniche. Ciò fa ritenere che il livello I° sia più numeroso di quanto ipotizzato dalla delibera, perlomeno il doppio del 4,5% dei lombardi.
L'associazione statistica appare troppo schematica e deve quindi essere affiancata da una valutazione clinico-funzionale che tenga conto dell'impatto di tutte le possibili comorbilità sul singolo. Le possibili varianti sono numerose; i casi più frequenti sono due e si riferiscono alle categorie estreme dello spettro:
  • da una lato anche il soggetto portatore di una sola condizioni cronica, a cui si possono associare patologie non comprese nell'elenco della Delibera, può richiedere un numero elevato di contatti ambulatoriali o domiciliari, per una complessità assistenziale e una fragilità sociosanitaria di grado medio-alto;
  • dall'altro non è affatto detto che il portatore di tre condizioni croniche - come il "tipico" iperteso e/o diabetico con iniziale IRC, scompenso cardiaco o rivascolarizzazione miocardica - appartenga necessariamente alla classe 1 e debba essere seguito a domicilio o dai servizi in alternativa al MMG.
E' frequente il caso del giovane diabetico tipo II, portatore di una o più complicanze d'organo in fase iniziale come nefropatia o arteriopatia, che svolge una normale vita lavorativa e di relazione ed accede normalmente all'ambulatorio del MMG. In sostanza non è tanto la pura somma algebrica delle patologie a determinare il grado di complessità clinica e di fragilità, che deriva invece da una valutazione globale che tiene conto dell'interazione tra le comorbilità e della situazione complessiva. 

martedì 14 febbraio 2017

Quali effetti pratici della Delibera sulla presa in carico dei "cronici"? (II°parte)

Con la discesa in campo del gestore, previsto dalla delibera sulla “presa in carico”, si affaccia sul territorio un nuovo soggetto organizzativo, che si affianca al MMG e con il quale il generalista dovrà fare i conti, nel caso in cui non siano gli stessi MMG associati in cooperativa a proporsi come gestori del percorso. Vediamo quindi di prospettare i possibili effetti della presenza di un nuovo giocatore sugli equilibri organizzativi, professionali ed assistenziali a livello territoriale. La delibera della regione Lombardia dovrebbe favorire l'evoluzione del sistema di gestione dei cronici da un modello “artigianale”, com'è stato fino ad ora quello della MG (si veda il caso del Governo Clinico), ad un modello più strutturato e complesso di matrice ospedaliera, che prevede il trasferimento sul territorio della formula del DRG e delle logiche aziendali alla gestione delle condizioni croniche.

Una sfida per le stesse strutture ospedaliere, che non si sono mai cimentate con i numeri imponenti dei cronici, e che pone anche non pochi problemi alla MG: in particolare non deve essere sottovalutato il rischio di una dicotomia o duplicazione tra gestore e MMG, qual'ora i due ruoli non coincidano, se non di una emarginazione del secondo, relegato ai margini del processo clinico, a vantaggio del primo. L'assistito dovrà scegliere tra la formula familiare e “artigianale” della MG e l'offerta, industriale e standardizzata, della struttura accreditata sbarcata sul territorio.

Va da sé che che le organizzazioni private aderiranno a condizione di intravvedere nella presa in carico un consistente interesse economico, come contropartita dell'assunzione del ruolo di gestore, tenuto conto delle gravose incombenze previste dalla delibera riguardo alla popolazione dei cronici (a parte forse l'occasione per attirare e fidelizzare nuovi “clienti” al fine di erogare altre prestazioni oltre a quelle previste dal PAI). Peraltro dalla Delibera non si evince se l'adesione alla presa in carico e al relativo patto/PAI sia in qualche misura obbligatoria, al di là della scelta dei gestore, mentre in diversi passaggi il Documento ribadisce la cetralità della libertà di scelta del paziente. 

Ad esempio a pagina 5, circa al patto di cura e il PAI, si afferma che "solo il cittadino può dare l’avvio o concludere il percorso di presa in carico, eventualmente facendo richiesta motivata all’ATS per la sostituzione del proprio Gestore". Nel senso che nè il MMG né tanto meno il gestore lo possono fare a suo nome, ma anche che la presa in carico è una libera scelta volontaria, mentre solo dopo la sottoscrizione del patto di cura scatta per l'assistito l'obbligo formale di ottemperare alle prescrizioni previste dal PAI.

Infine "la nuova modalità di gestione non elimina la modalità tradizionale di prescrizione ed erogazione delle prestazioni, ma vi si affianca" e quindi non la sostituisce. Si può immaginare che buona parte degli assistiti autosufficienti, affetti da monopatologia o pluripatologie croniche, in caso di scelta opzionale potrebbero declinare l'invito del gestore ad aderire al patto di cura, dato che la Delibera affida il III° livello proprio al MMG. Specie nelle località lontane dalla sede del gestore e dei punti di erogazione delle prestazioni previste dal PAI i cronici monopatologici potrebbero scegliere di mantenere la relazione esclusiva con il MMG, che da sempre si fa carico, seppur in modo informale ma globale, di gestire la salute dei propri assistiti (vedasi il post precedente).

La presa in carico da parte di un gestire, diverso dal MMG associato, potrebbe quindi sovrapporsi sia al generalista sia ad altri servizi, come quelli specialistici che spesso hanno già in carico assistiti affetti da polipatologie croniche complesse. Mi riferisco, ad esempio, ai diabetici di tipo I con pluricomplicanze d'organo seguiti dai centri diabetologici, ai nefropatici nelle fasi più avanzate di deficit funzionale, ai dializzati e ai trapiantati d'organo, ai cardiopatici con grave scompenso etc.. In questi casi il rischio di una duplicazione inappropriata degli interventi e delle prestazioni non è da sottovalutare. Servirà quindi un forte impulso al “case management” da parte del gestore per un efficace raccordo con le professioni sanitarie, “in termini di responsabilità clinica e di accompagnamento del paziente in relazione alla complessità clinica e ai bisogni assistenziali della classe di appartenenza”.

Un analogo problema di coordinamento e integrazione delle prescrizioni riguarderà i soggetti portatori di una condizione cronica prevalente non compresa nell'elenco stilato dalla delibera (neoplastici in fase di “cronicizzazione”, emopatici, epatopatici cronici, HIV, pre-terminali etc..) che sono abitualmente seguiti dai relativi servizi specialistici in collaborazione con il MMG. Questi assistiti possono essere anche portatori di uno o più comorbilità croniche previste dalla presa in carico e quindi il rischio che vengano “sballottati” tra i tre attori di cui sopra è elevato, con buona pace della riduzione dell'inappropriatezza organizzativa. Non sarebbe stato più semplice ed efficace investire risorse nelle forme organizzative complesse sul territorio e nella formazione degli operatori delle cure primarie, per migliorarne le capacità di integrazione e di coordinamento degli interventi sanitari nei pazienti multiproblematici?


A questo proposito il Piano Nazionale per la Cronicità (vedi allegato) dopo aver rilevato i limiti dei PDTA nei pazienti pluripatologici complessi sottolinea la centralità del concetto di medical generalism, in cui la conoscenza della persona nel suo intero e dei suoi bisogni, la visione continua degli eventi (non solo) sanitari del singolo soggetto - integrate con le conoscenze basate sulle evidenze - determinano scelte più appropriate e fattibili per il singolo paziente (evidence based practice).

La scelta di affiancare la presa in carico del gestore alla gestione dell'assistito da parte del MMG – mi si perdoni il gioco di parole – ha inevitabili riflessi sul monitoraggio degli indicatori di processo e di esito delle patologie. Infatti si rischia una duplicazione dei sistemi di gestione ed elaborazione dei dati clinici che lavoreranno in parallelo, senza occasioni di confronto e integrazione con intuibile pregiudizio per la qualità degli esiti: da un lato il sistema informativo del gestore, che privilegia l'aspetto amministrativo correlato all'esecuzione delle prestazioni periodiche del PAI (numero e frequenza degli esami prescritti ed eseguiti) e dall'altro la raccolta dati del MMG spiccatamente clinica, relativa alla registrazione di parametri biologici (valori di glicemia, glicata, creatinina, lipidi, stadiazioni cliniche, PA, frequenza cardiaca, BMI, abitudini di vita etc..) e al loro raffronto con le terapie croniche in atto (registrazione delle prescrizioni farmacologiche) ai fini della valutazione degli indicatori di processo ed esito clinico.

Infine non si può trascurare l'impatto burocratico-amministrativo delle procedure previste, assai impegnativo se si considerano i numeri delle coorti coinvolte, anche superiori alle 500 unità per medico massimalista. L'impegno necessario per la redazione del PAI e la sottoscrizione del patto di cura potrebbe appesantire la gestione dell'ambulatorio, come dimostra l'esperienza pratica dei CReG, specie per i generalisti singoli senza collaboratori, e soprattutto andare a scapito dell'attività clinico-assistenziale. 

Analogamente anche il gestore, nel caso in cui non dovesse delegare la stesura del PAI al MMG, dovrà mettere nel conto un notevole impegno di mezzi e risorse umane per adempiere alle incombenze previste dalla Delibera, che non brilla certo per linearità e semplificazione procedurale. Si pensi, ad esempio, solo alla necessità di convocare ogni anno presso la sede del gestore, o recandosi al domicilio in caso di grave disabilità, tutti i candidati alla presa in carico per espletare le procedure necessarie ad avviare l'iter del processo di presa in carico (sottoscrizione del patto di cura, del PAI, del consenso al trattamento dei dati etc…). Non a caso la delibera prevede un compenso di “euro 25,00 per ciascun paziente la valorizzazione economica da riconoscere al MMG per la predisposizione del PAI”.

domenica 12 febbraio 2017

Commento e considerazioni sulla delibera lombarda per la "presa in carico" della cronicità (I° parte)

Il concetto di presa in carico non è certo inedito per la MG, ma è parte integrante e qualificante della pratica professionale sul territorio. Già nel momento della scelta del medico di MG l'assistito viene di fatto preso in carico dal generalista, l'unico che può assicurare la continuità dell'assistenza primaria, spesso per decenni. La presa in carico del MMG non è un atto isolato ma equivale all'inizio di una relazione fiduciaria e personalizzata con ogni assistito, e a maggiora ragione con i portatori di una o più condizioni croniche, e ha una doppia valenza “orizzontale”:
  • prima di tutto il generalista si incarica di assistere ogni nuovo iscritto in modo trasversale, globale e a 360 gradi, cioè come persona nella sua interezza bio-psico-sociale e culturale, a prescindere dalla dimensione specialistica, integrando le problematiche cliniche e le patologie d'organo o apparato in una visione non settoriale, interattiva, sistemica e multidimensionale;
  • nella seconda accezione la presa in carico “orizzontale” è connotata in senso temporale, vale a dire nella continuità della gestione sul lungo periodo delle vicende fisio-patologiche che contraddistinguono il ciclo di vita dell'individuo, favorendo l'adattamento del soggetto alle vicissitudini del percorso biologico e psico-sociale individuale e familiare.
La presa in carico, nel senso “olistico” e longitudinale sopra delineato, viene da sempre attuata dalle cure primarie, a differenza dell'approccio verticale ed episodico della tecnomedicina specialistica, e si concretizza in una stabile relazione medico-assistito, nella continuità delle cure, nella personalizzazione dell'approccio clinico, nella proattività comunicativa ed educativa, nella raccolta delle informazioni anamnestiche familiari e personali, nella compilazione e aggiornamento continuo della scheda sanitaria e nella tenuta del diario clinico, atti indispensabili e qualificanti per seguire accuratamente l'evoluzione della storia individuale. 

Questo modello gestionale è la premessa e la conditio sine qua non per assicurare un'efficace ed appropriata gestione clinica e del rapporto con assistiti affetti da una o più condizioni croniche, che si distinguono per il lungo decorso temporale e per la multimorbilità, che fa di ogni “cronico” un caso unico e a sé. La proattività è connaturata nelle pratiche dell'assistenza primaria verso i cronici, nel significato che ne da la psicologia organizzativa: una modalità anticipatoria, orientata al cambiamento e all'auto-iniziativa, per agire in anticipo rispetto ad una situazione futura piuttosto che reagire, per prendere il controllo e far accadere le cose piuttosto che adattarsi a una situazione o attendere che qualcosa accada. 

La naturale “vocazione” della MG alla presa in carico globale e proattiva si realizza da sempre in modo informale ma sostanziale, con l'adattamento delle modalità organizzative dell'assistenza al contesto epidemiologico, con una medicina d'iniziativa che tiene conto delle vicende personali del singolo paziente e del suo nucleo familiare. Insomma è iscritta da sempre nel codice genetico della MG la vocazione e l'attitudine amettersi a “fianco” del paziente, accompagnandolo ed indirizzandolo, in una logica di unica responsabilità di presa in carico rispetto ad una molteplicità di attività e servizi”. Da sempre una certo modello di MG si fa carico programmaticamente di questo compito, in sintonia con le linee guida generali del Piano Nazionale della Cronicita (si veda il PS) mentre chi non lo assolve con tale spirito si auto-condanna alla residualità.

Ciò vale ancor di più per l'assistenza ai portatori di una o più condizioni croniche, che sono oggetto dei Percorsi Diagnostico-Terapeutici ed Assistenziali ormai diffusi in ogni azienda sanitaria locale. Fino ad ora i PDTA sono stati applicati informalmente, adattandoli alle varie situazioni ed ai diversi decorsi grazie all'atteggiamento proattivo del MMG. Le indicazioni generali dei PDTA non sono valide e applicate in modo standardizzato ad ogni assistito, ma vanno interpretate e personalizzate in relazione alle condizioni contingenti e all'evoluzione funzionale della patologa. 

Il PDTA fornisce una gamma di scenari clinici e decisionali che non possono essere applicati a priori a tutti i pazienti, ma rappresentano delle cornici decisionali a cui fare riferimento per affrontare la variabilità individuale e del decorso della patologia, in risposta e complicanze, comorbilità intercorrenti, sovrapposizioni di altre patologie, instabilità clinica, variazioni fisiologiche etc.. La presa in carico non quindi è un'azione puntiforme, che si esaurisce con la definizione a priori di un pacchetto di prestazioni ad hoc, ma un processo continuo di reciproco adattamento e co-evoluzione tra medico e assistito, per prevenire complicanze e ridurre l'impatto della patologia sulla vita.

L'esempio paradigmatico è quello del diabete mellito tipo II scompensato, ad esempio come conseguenza di un'infezione: a seguito di episodio acuto, dall'influenza alla pielite, può essere necessaria l'intensificazione della terapia, ad esempio introducendo l'insulinica, e del monitoraggio clinico-laboratoristico per alcune settimane o mesi, fino al recupero dell'equilibrio metabolico, eventualmente ricorrendo anche alla consulenza specialistica o al momentaneo passaggio in cura presso il centro diabetologico. La presa in carico consiste in un atto prescrittivo isolato a priori, ma è percorso di adattamento e personalizzazione delle cure, in particolare per quanto riguarda i suggerimenti comportamentali ed educazionali, gli stili e le abitudini di vita, le prescrizioni di accertamenti e di terapie, segnatamente farmacologiche etc.

Grazie all'applicazione flessibile e proattiva dei PDTA è stato possibile documentare quantità e qualità degli interventi clinici attuati dai medici di MG che hanno aderito, a partire dal 2005, al progetto di Governo Clinico delle patologie croniche dell'ATS (ex ASL) di Brescia, a cui partecipa stabilmente oltre l'80% dei circa 700 generalisti della provincia ( https://www.ats-brescia.it/bin/index.php?id=317 ). Questi risultati sono stati raggiunti in modo informale, senza la necessità di particolari incombenze burocratiche, semplicemente applicando in modo personalizzato i PDTA e registrando sistematicamente le informazioni generate durante la quotidiana attività assistenziale; il processo avviato una dozzina di anni fa ha consentito di raccogliere, in modo coordinato e collettivo, una notevole mole di dati sull'evoluzione delle coorti di pazienti cronici, esempio unico del suo genere nel panorama sanitario nazionale.

Infine per quanto riguarda la categorizzazione dei cronici in tre livelli di complessità in funzione delle patologie associate e dei conseguenti bisogni assistenziali, appare riduttivo i criterio dell'abbinamento di 2 o più patologie, individuate con metodi statistici e non con una valutazione clinico-funzionale globale. Nella pratica anche il soggetto portatore di una singola condizione cronica, a cui si associano altre condizioni non comprese nell'elenco delle 11 patologie previste dalla Delibera, può richiedere un numero elevato di accessi ambulatoriali o domiciliari, per una complessità e una condizione di fragilità sociosanitaria di grado medio-alto. Ma soprattutto non è affatto detto che il portatore di tre condizioni croniche - come il "tipico" iperteso, diabetico tipo II con iniziale IRC o scompenso cardiaco/rivascolarizzazione miocardica - appartenga necessariamente alla classe 1 o debba essere seguito a domicilio.


COMMENTO E CONCLUSIONI. Il documento sulla presa in carico propone un obiettivo programmatico: superare la logica della mera razionalizzazione e regolamentazione dell'offerta verso una maggiore proattività dei servizi integrati nel percorso di presa in carico e gestione della cronicità, nel senso della medicina di iniziativa. Questa esigenza presuppone una rappresentazione rigida della relazione tra domanda ed offerta in sanità, tipica della prospettiva ospedaliera, per cui l'offerta “risponde” in modo specifico e specializzato ad una domanda, dopo averla filtrata e codificata, secondo schemi standard e routine organizzative. In realtà sul territorio la relazione domanda-offerta di prestazioni è da sempre più dinamica, interattiva e sfaccettata. 

Così l'assisto può indurre direttamente una prestazione con una richiesta esplicita di accertamenti a prescindere da un disturbo (la tipica esigenza di “fare tutti gli esami”) e così pure il medico, indipenden-temente dalla domanda esplicita o da un disturbo lamentato dall'assistito, può proporre e prescrivere accertamenti in presenza di una condizione di rischio o di una patologia cronica conclamata (i follow-up periodici previsti dai PDTA), ad esempio durante una visita ambulatoriale per una certificazione od in occasione di una prescrizione ripetitiva di farmaci. Questa diversa configurazione della dinamica tra domanda ed offerta caratterizza da sempre le cure primarie ed è il presupposto della medicina di iniziativa ed opportunità e della puntuale applicazione proattiva dei PDTA in MG.


Piano Nazionale per la CronicitàELEMENTI COMUNI AI MODELLI REGIONALI PER LA PRESA IN CARICO DEI SOGGETTI CRONICI

1)La necessità di superare la frammentazione dell’assistenza sanitaria nel territorio. Da questo punto di vista, uno degli aspetti su cui ricercatori, operatori e decisori nel settore della sanità hanno posto molta attenzione nel corso degli ultimi anni è la continuità dell’assistenza, che permette una risposta adeguata, in termini di efficacia dell’assistenza, efficienza gestionale e appropriatezza, soprattutto per il trattamento di tutti quei pazienti affetti da patologie in cui la presenza di situazioni di comorbilità, fragilità e non autosufficienza richiede l’adozione di un approccio integrato e multidisciplinare.

2) L’adozione di modalità operative per favorire il passaggio da un’assistenza “reattiva” a un’assistenza “proattiva” da parte della medicina generale, quale modalità operativa in cui le consuete attività cliniche ed assistenziali sono integrate e rafforzate da interventi programmati di follow-up sulla base del percorso previsto per una determinata patologia.

3) Una assistenza basata sulla popolazione, sulla stratificazione del rischio e su differenti livelli di intensità assistenzialeriprendendo anche le indicazioni sulla caratterizzazione delle cure che sono alla base dei flussi dell’assistenza territoriale e, ove utilizzabili, dell’assistenza socio-assistenziale

4) Il riconoscimento che l’assistenza primaria rappresenta il punto centrale (hub) dei processi assistenziali con forti collegamenti con il resto del sistema, con un ruolo cardine svolto dal distrettoIl distretto rappresenta l’ambito ove si valuta il fabbisogno e la domanda di salute della popolazione di riferimento rilevata dai professionisti, e riveste un ruolo di tutela e programmazione. Importante è che ci sia un ruolo di governance, intesa come cornice organizzativa e gestionale, chiaro ed esplicito, sia a livello regionale che aziendale.

5) Una maggiore caratterizzazione e definizione delle funzioni delle diverse figure professionali, mediche e non, a partire dalla figura centrale del Medico di medicina generale (MMG).

6) La possibilità di definire sedi fisiche di prossimità sul territorio per l’accesso e l’erogazione dei servizi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali rivolti alla popolazione di pazienti cronici.

7) La presenza di sistemi informativi evoluti in grado di leggere i percorsi diagnostico terapeutici
assistenziali (PDTA) al fine di monitorare e valutare l’assistenza erogata al paziente cronico.

8) L’utilizzo di linee guida in grado di tener conto della comorbilità e della complessità assistenziale. Risulta fondamentale, infatti: integrare le linee guida basate sull’evidenza con le attività cliniche quotidiane; condividere le linee guida basate sull’evidenza e le informazioni con i pazienti per incoraggiare la loro partecipazione; utilizzare metodi di insegnamento efficaci.

9) L’integrazione socio-sanitaria e team multiprofessionali che puntano al miglioramento continuo,
mediante integrazione tra MMG, infermieri, specialisti, altre professioni sanitarie e sociali in grado di
prendersi carico di gruppi di popolazione e di garantire loro una continuità assistenziale integrata. Ciò
comporta una diversa organizzazione della medicina generale, basata su modelli che privilegiano l’attività in associazione (Aggregazioni Funzionali Territoriali – AFT – e Unità Complesse di Cure Primarie – UCCP – come previste dalla Legge n.189 del 2012 e dal Patto per la Salute 2014-2016);

10) L’investimento su auto-gestione ed empowerment in modo da aiutare i pazienti e le loro famiglie ad acquisire abilità e fiducia nella gestione della malattia, procurando gli strumenti necessari e valutando regolarmente i risultati e i problemi. Le evidenze scientifiche dimostrano che i malati cronici, quando ricevono un trattamento integrato e un supporto al self-management e al follow-up, migliorano e ricorrono meno all’assistenza ospedaliera.

11) L’uniformità ed equità di assistenza ai cittadiniIl punto è di particolare rilievo in quanto i diversi modelli organizzativi regionali dovrebbero tenere conto della difficoltà di accesso alle cure da parte dei cittadini. Si tratta di un sistema in evoluzione che richiede una forte integrazione tra i diversi setting assistenziali.

giovedì 9 febbraio 2017

La Delibera lombarda sulla presa in carico della cronicità in pillole

Tre sono i pilastri della delibera della Regione Lombardia sulla “presa in carico” della cronicità (N. 6164 del 30 gennaio 2017: https://reteunire.wordpress.com/2017/01/31/la-delibera-della-regione-lombardia-sulla-presa-in-carico-della-cronicita/ ) che prosegue e supera la sperimentazione dei CReG:
  • stratificazione della popolazione in base ai bisogni di salute e all'intensità di cura
  • ruolo e compiti del gestore e del MMG
  • patto di cura con l'assistito e piano assistenziale individuale (PAI)
1-Individuazione della popolazione target, criteri e procedure della stratificazione
Il primo passo previsto dalla delibera è la qualificazione della domanda di salute della popolazione, che viene articolata in 5 livelli, compito affidato all'ATS sulla base delle informazioni aggregate della Banca dati Assistito. Di questi 3 sono composti da assisti affetti da una o piu delle 11 patologie croniche individuate, per un totale di 2 milioni di assistiti: Insufficienza respiratoria/ossigenoterapia, scompenso cardiaco, diabete tipo I e tipo II, cardiopatia ischemica, BPCO, ipertensione arteriosa, vasculopatia arteriosa, vasculopatia cerebrale, miocardiopatia aritmica, insufficienza renale cronica. Vediamo in dettaglio questi livelli di stratificazione, comprendenti le coorti dei pazienti cronici di pertinenza del MMG, cercando di quantificare la popolazione interessata sulla base dell'esperienza pratica.
*Livello 1. Fragilità clinica e/o funzionale con bisogni prevalenti di tipo ospedaliero, residenziale, assistenziale a domicilio (150000 assistiti). Si tratta in genere di pochi assisti complessi e pluripatologici, che richiedono un complesso intervento di tipo socio-assistenziale, parallelo a quello medico-sanitario, che afferiscono quindi a strutture residenziali o sono seguiti in ADI multiprofessionale, come terminali o soggetti in stadio avanzati di demenza, ospiti di RSA, RSA aperta, centri integrati etc..
*Livello 2. Cronicità polipatologica con prevalenti bisogni extra- ospedalieri, ad alta richiesta di accessi ambulatoriali integrati/ frequent users e fragilità sociosanitarie di grado moderato (1.300.000 cittadini). In questa categoria si possono inserire gli assistiti polipatologici, generalmente geriatrici, ad intensità socio-assistenziale medio-alta, seguiti sia in ambulatorio (un centinaio circa) che in ADP (10-20 per massimalista) con una frequenza di accessi del MMG da mensile a settimanale, solitamente ben compensati, autosufficienti o in caso di disabilità assistiti a domicilio da badante e/o caregiver familiare. Il prototipo di questa categoria è il diabetico tipo II, iperteso e/o con complicanze cardio-vascolari (coronaropatia, vasculopatia cerebrale o periferica, neuropatia, retinopatia, nefropatia etc..). In questo gruppo il bisogno è sia sul versante socio-assistenziale (assistiti in ADP con importante disabilità) che medico-sanitario: si tratta di un'ampia gamma di assistiti che sporadicamente accedono alle strutture ospedaliere per esami e controlli specialistici (in genere per gli esami di laboratorio, ad esempio in caso di TAO, basta il prelievo domiciliare). Alcuni di questi pazienti a causa delle difficoltà di spostamento potrebbero beneficiare di accessi domiciliari da parte di specialisti, che nell'attuale assetto organizzativo non sono troppo agevoli, o di periodici follow-up presso strutture ospedaliere per eseguire pacchetti di prestazioni previste dal PAI. Per questa categoria è prevista la presa in carico sia da parte della MG che delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private accreditate.
*Livello 3. Cronicità in fase iniziale prevalentemente monopatologica e fragilità sociosanitarie in fase iniziale a richiesta medio-bassa di accessi ambulatoriali integrati e/o domiciliari /frequent users (1.900.000). In questa categoria rientra la stragrande maggioranza dei cronici, geriatrici o non, autonomi (diabetici, ipertesi, BPCO, scompensati, vasculopatici etc.. per un totale 4-500 assistiti per MMG) che possono accedere autonomamente allo studio del MMG e che continueranno ad essere seguiti come accade ora, con il riferimento delle buone pratiche dei PDTA e con iniziative di Governo Clinico come quelle dell'ATS di Brescia. Grazie alla presa in carico potranno eseguire in un sol giorno alcuni pacchetti di accertamenti previsti dal PAI (ad esempio esami ematici+ECG+FO in caso di diabete tipo 2) che ora devono prenotare singolarmente e portare a termine in diverse sedute. Ma al di fuori di questi follow-up periodici, continueranno ad accedere la proprio MMG per la prescrizione dei farmaci, i controlli clinici periodici, il monitoraggio delle terapie e il loro aggiustamento, la gestione delle eventuali complicanze, co-morbilità, scompensi momentanei o riacutizzazioni etc… Il terzo livello viene elettivamente affidato al territorio, ovvero al MMG “proattivo”, come recita la Delibera.
2-Compiti e ruolo del Gestore della presa in carico e del MMG
Il nuovo modello organizzativo individua nel ‘gestore’ il responsabile della presa in carico, oltre a definire nuove modalità di remunerazione dell’intero percorso, alternative al tradizionale pagamento a singola prestazione occasionale.
Ruolo e funzioni dei Gestori
I soggetti responsabili della presa in carico dovranno essere accreditati e/o a contratto per garantire, in funzione dei livelli di stratificazione della domanda, le seguenti funzioni:
  • Sottoscrizione del patto di cura con il paziente previa definizione del piano di assistenza individuale (PAI) comprensivo di tutte le prescrizioni necessarie al percorso;
  • Coordinamento e attivazione dei nodi della rete erogativa dei servizi sanitari e sociosanitari,
    tenuto conto dei bisogni individuali;
  • Erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie per i diversi livelli essenziali di assistenza,
    direttamente o tramite partner di rete accreditati e/o a contratto;
  • Monitoraggio dell’aderenza al percorso, anche attraverso la prenotazione delle prestazioni e il coordinamento dei diversi partner di rete, per assicurare le prestazioni/servizi previste nel PAI, anche in telemedicina;
  • Case management, sia in termini di responsabilità clinica che di accompagnamento del paziente, rispetto ai bisogni assistenziali e alla complessità clinica della classe di appartenenza;
  • Assicurare al cittadino un’ampia gamma di punti di offerta, per garantire la libertà di scelta in relazione alle attività previste dal PAI.
In sintesi il gestore coordina tutto il percorso gestionale della condizione cronica, che inizia con l'arruolamento e la formalizzazione della presa in carico (PAI e patto di cura) e si concretizza con l'attivazione della rete degli erogatori, la fornitura delle prestazioni, la verifica dell'aderenza alle varie tappe del percorso da parte del soggetto “arruolato” e il monitoraggio degli indicatori di processo/esito.


La presa in carico dovrebbe favorire l'evoluzione del sistema da una logica a «silos» a una logica di «processo integrato»in cui i modelli di erogazione e finanziamento devono ridurre l’inappropriatezza clinica ed organizzativa grazie al rimborso non della singola prestazione ma di una tariffa onnicomprensiva relativa ad un set predefinito di prestazioni e servizi previsti dal PAI.

I Soggetti Gestori della presa in carico dovranno essere selezionati dalle ATS sulla base di specifici requisiti di idoneità stabiliti dalla Giunta Regionale, dovranno adeguarsi al livello di domanda e alla natura prevalente del bisogno sanitario e/o sociosanitario, in modo da garantire il percorso di presa in cura.

Patto di Cura e Piano Assistenziale Individuale

Il Patto di cura, con cui gestore e paziente condividono l’avvio e le modalità della nuova presa in carico, è uno strumento:
  • organizzativo di pianificazione di interventi personalizzati;
  • di comunicazione e coordinamento tra tutti coloro che intervengono, a vario titolo, nel percorso di cura all’interno della rete d’offerta (MMG, specialisti, servizi sociali, ecc.);
  • di empowerment del paziente, di monitoraggio e verifica dell’appropriatezza.
Per quanto riguarda il patto di cura e il PAI "solo il cittadino può dare l’avvio o concludere il percorso di
presa in carico, eventualmente facendo richiesta motivata all’ATS per la sostituzione del proprio Gestore" nello spirito della libertà di scelta, mentre la nuova modalità di gestione non elimina la modalità tradizionale di prescrizione ed erogazione delle prestazioni, ma vi si affianca.

Il ruolo del MMG

Rimane il professionista di riferimento del paziente cronico nell'ambito delle funzioni previste dalla convenzione nazionale:

  • Può essere il gestore diretto della presa in carico (il terzo livello, ferma restando la libertà di scelta del cittadino, è riservato in via preferenziale ai MMG in forma associata, che possono anche candidarsi per gli altri livelli);
  • Può avere un ruolo di raccordo con gli altri titolari della presa in carico del paziente (prevalentemente per i livelli 1 e 2) prendendo atto, condividendo e integrando le informazioni presenti nel PAI, potendo bene-ficiare, in quest’ultimo caso, di un eventuale remunerazione in accordo con i singoli gestori. Nel caso la persona necessiti di ulteriori prescrizioni non ricomprese nel PAI, queste dovranno essere condivise tra il MMG e il Gestore.
Tappe del processo di arruolamento e di presa in carico

  1. Valutazione del paziente da parte del gestore per l'idoneità (in caso di inidoneità invio alla commissione di valutazione ATS)
  2. Arruolamento in carico al gestore
  3. Sottoscrizione del patto di cura
  4. Predisposizione del PAI in carico al gestore con pubblicazione sul FSE
  5. Registrazione dell'arruolamento
Organizzazione del percorso di cura in capo al gestore
  • Gestione AMMINISTRATIVA: accesso gratuito alle prestazioni, supporto alle richieste del paziente e dei care-giver, gestione dell'agenda sanitaria
  • Gestione CLINICA: erogazione delle prestazioni previste dal PAI, supposto ai servizi di telemedicina e fornitura di presidi a domicilio, visite di follow-up (ridefinizione eventuali problematiche cliniche, modifiche/conferma del PAI, presa in carico da parte di altro nodo della rete ed invio ad altro percorso)
  • MONITORAGGIO: indicatori di processo e indicatori di esito.