sabato 21 maggio 2016

L'irresistibile differenziazione normativa ed organizzativa del SSN (II° parte)

Vediamo schematicamente le tappe del processo di differenziazione normativa ed organizzativa del sistema sanitario, che parte dal varo della riforma sanitaria, riguarda dapprima i soli farmaci per poi investire la specialistica ambulatoriale, fino al recente Decreto Lorenzin dei giorni nostri, nell'ambito di quella che il sociologo sanitario Ivan Cavicchi ha definito “medicina amministrata”, standardizzata e burocratizzata. Va da se che il nodo dell'equilibrio finanziario e della sostenibilità economica del sistema fa da motivazione implicita e da spinta all'evoluzione normativa delineata, in cui la struttura finanziaria prevale sulla sovrastruttura medico-professionale (ancora Cavicchi).

1-Il periodo che va dall'avvio della Riforma Sanitaria, la 833 della fine del 1978, fino ai primi ani novanta può essere definito l'età dell'oro della sanità italiana, caratterizzata dalla sostanziale sovrapposizione tra mercato e SSN, in continuità con la precedente era mutualistica: il prontuario terapeutico comprendeva praticamente tutti i prodotti immessi in commercio, senza distinzioni tra molecole “rimborsabili” e non, senza classi terapeutiche, Note limitative, Piani Terapeutici specialistici e così via. Era l'epoca d'oro per le più varie categorie di farmaci “mutabili” - dagli epatoprotettori ai polivitamici, dai mucolotici ai neurotrofici fino a celebri ricostituenti - e per molecole di grande successo commerciale, ma dubbia efficacia, come gangliosidi, carnitina, coenzima Q10, calcitonine spary etc.. Anche a livello ospedaliero mancavano particolari limitazioni ai ricoveri, economicamente convenienti ed incentivati dal pagamento a giornate di degenza. Spesso il medico ospedaliero a tempo parziale era anche convenzionato con il SSN, con massimale limitato a 500 scelte, a dimostrazione dell'intercambiabilità dei ruoli. Insomma esisteva una sostanziale sovrapposizione tra SSN e mercato sanitario puro, senza discrasie tra ospedale e territorio, e senza particolari vincoli normativi alle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche.

2-A partire dai primi anni novanta il panorama cambia radicalmente grazie a due “rivoluzioni” che danno il via alla separazione tra libero mercato e area del SSN: il varo del primo prontuario terapeutico nazionale (PTN) da parte della neonata Commissione Unica del Farmaco (CUF) e, in misura minore, l'introduzione con la seconda riforma sanitaria del sistema di pagamento della degenza ospedaliera a DRG. A partire dal primo gennaio del 1994 decine di molecole vendono “espulse” dal PTN e abbandonate al loro destino nel libero mercato, per molte equivalente ad un irreversibile declino commerciale. Nel corso degli anni successivi si si rafforza la tendenza verso una stratificazione gerarchica sia dei criteri di concedibilità dei farmaci (Note CUF, registri ASL) sia della titolarità della prescrizione (Piani terapeutici specialistici, File F, fornitura diretta). In questa fase la valutazione di efficacia e la diversificazione dei criteri di prescrivibilità, sempre più articolati e puntigliosi, riguarda i farmaci via via immessi in commercio e dimostra indirettamente quanto i decisori pubblici si siano ispirati, forse in modo inconsapevole, alla legge di Ashby per la regolazione del mercato farmaceutico “interno” al SSN.

Le discrasie conseguenti alla ristrutturazione del PTN non tardano ad emergere e riguardano in particolare la difformità di applicazione delle Note CUF tra ospedale e territorio, come primo segno di una differenziazione sistemica “patologica”, perché priva del contrappeso dell'integrazione. Medici ospedalieri e specialisti ambulatoriali prescrivono alla dimissione o al termine della consulenza farmaci senza tenere conto le Note limitative della CUF, con inevitabili incomprensioni e ripercussioni sulla relazione tra assistito, ignaro dei vincoli prescrittivi, e MMG, tenuto invece all'osservanza delle Note CUF, pena il rischio di subire sanzioni amministrative o procedimenti per danno erariale.

3-La riforma sanitaria ter del 1999 inaugura la terza fase della differenziazione normativa e regolatoria, in nome dell'appropriatezza, che avrà un'accelerazione nella seconda decade del nuovo millennio. La riforma “Bindi”, dall'allora ministro della sanità, al fine di ricomporre le contraddizioni tra prescrizioni specialistiche e del MMG, introduce il cosiddetto obbligo di appropriatezza, in base al quale i mediciquando prescrivono o consigliano medicinali o accertamenti diagnostici a pazienti all'atto della dimissione o in occasione di visite ambulatoriali, sono tenuti a specificare i farmaci e le prestazioni erogabili con onere a carico del Servizio sanitario nazionale. Il predetto obbligo si estende anche ai medici specialisti che abbiano comunque titolo per prescrivere medicinali e accertamenti diagnostici a carico del Servizio sanitario nazionale”. Si tratta di un tardivo tentativo di integrazione normativa tra i due comparti, che non modifica abitudini prescrittive scorrette ormai consolidate e di difficile revisione.

Nonostante i propositi programmatici, più volte espressi da documenti ministeriali, la regolazione delle prestazioni diagnostiche, sul modello delle Note CUF/AIFA, rimane per quasi un decennio sulla carta, ad eccezione di alcune iniziative regionali, come quelle relative ai LEA per la densitometria ossea. Sarà a partire dalla seconda decade degli anni 2000 che prende avvio anche la revisione normativa delle prescrizioni diagnostiche ambulatoriali, che culminerà all'inizio del 2016 con la pubblicazione del cosiddetto Decreto Lorenzin sull'appropriatezza prescrittiva. Sul fronte diagnostico si muovono dapprima le regioni in ordine sparso, con iniziative tutto sommato “neutre” a monte della prescrizione ad personam del MMG, attinenti alle procedure analitiche di laboratorio per l'effettuazione sequenziale di alcuni test in modalità “reflex” (TSH, PSA, Bilirubina, Autoanticorpi etc..) o subordinati a specifiche condizioni cliniche (markers tumorali).

In una seconda fase si aggiungono norme più stringenti, ma non ancora vincolanti, riguardo ad accertamenti per immagine o endoscopici, come quelle introdotte tra il 2004 e il 2006 dalla regione Lombardia, riguardanti TAC e RMN dell'apparato locomotore, ECODOPPLER venosi e arteriosi, esami endoscopici etc.. Infine all'inizio del 2016 dopo lunga gestazione è calata la “mannaia” del Decreto Lorenzin, che ha sollevato generali reazioni critiche da parte delle varie categorie interessate, fino alla parziale retromarcia della circolare esplicativa del mese scorso e alla promessa di una revisione complessiva della normativa da poco introdotta. Il decreto appropriatezza applica la logica lineare e deterministica della scelta terapeutica (se il paziente è portatore della condizione X allora può essere prescritto il farmaco Y) ad un ambito, come quello diagnostico, in cui allignano incertezza, variabilità, complessità e unicità clinica, per loro natura non riducibili a procedure standardizzate e burocratiche.

Il processo delineato segnala la sovrapposizione di normative e vincoli che condizionano le prescrizioni ed inceppano la fluidità e la finalità integrativa dei percorsi diagnostico-terapeutici: nel passaggio dall'ospedale al territorio emergono una serie ormai consistente di inciampi, discrasie e veri e propri incidenti critici per la difformità dei comportamenti dei diversi attori, in quelli che appaiono ormai come tre compartimenti stagni (ospedale, territorio e libero mercato) tra di loro scarsamente comunicanti e “dis-integrati” (vedasi il PS). A poco valgono le norme nazionali e le reiterate delibere regionali che, per migliorare l'integrazione sistemica, impongono a tutti gli specialisti operanti nell'ambito del SSN l'utilizzo del ricettario unico nazionale per la prescrizione di ulteriori accertamenti in risposta al questo diagnostico del MMG.

Così farmaci ed accertamenti prescritti regolarmente e senza alcuna limitazione all'interno del nosocomio o ai suoi confini, come nel PS, diventano nel passaggio al territorio, per una sorta di maleficio, oggetto di vincoli e criteri prescrittivi di presunta appropriatezza, rigidi ed astratti dalle condizioni della loro applicabilità pratica, come quelli introdotti dal decreto Lorenzin. Alla discrasia normativa e regolatoria che affligge i medici del territorio, rispetto agli specialisti ospedalieri, si aggiunge il gap ancor più profondo che separa il territorio dalla libera-professionale, svincolata da ogni norma limitativa delle prescrizioni. Ne fanno le spese prima di tutto gli assisti, costretti ad esercitare in prima persona quella funzione di integrazione e mediazione, che manca ad un sistema ormai avviato verso quella stabile tripartizione descritta all'inizio.

P.S. Ecco il cahier de doleances della (mancata) integrazione ospedale-territorio.
  • Rilascio degli attestati per esenzioni e certificati INPS di malattia alla dimissione
  • Procedure per le dimissioni protette e attivazione ADI
  • Utilizzo del ricettario per esami di approfondimento diagnostico
  • Rispetto delle Note e dei piani terapeutici AIFA
  • Regole per la prescrizione dei farmaci off-label
  • Applicazione del PTN e del prontuario delle dimissioni, dove presente
  • Fornitura diretta dei farmaci alla dimissione previsti dalle convenzioni locali
  • Utilizzo delle esenzioni per patologia, status, reddito, età etc..
  • Rispetto dei LEA regionali (densitometria ossea, Eco TSA, TAC/RMN osteoarticolare, endoscopie etc...)
  • Osservanza del decreto appropriatezza Lorenzin

L'irresistibile differenziazione normativa ed organizzativa del SSN (I° parte)

Tutti i sistemi devono fare i conti con il proprio ambiente, che pone loro richieste, sfide, domande, bisogni, aspetttive ed esigenze da soddisfare o concreti problemi da risolvere, che non di rado comportano tensioni e squilibri di varia entità per il sistema stesso, specie se organizzativo. Per far fronte a tali “perturbazioni” il sistema ricorre ad una sorta di legge ferrea, enunciata dal neurologo e cibernetico inglese Ron Ashby negli anni Cinquanta: la legge della varietà necessaria o richiesta. Essa afferma che i meccanismi regolatori interni di un sistema devono essere tanto variegati quanto lo è l’ambiente a cui si rivolgono. Infatti, soltanto sviluppando la varietà dei propri sistemi di controllo, un'organizzazione è in grado di gestire con successo la varietà e le sfide che provengono dall'ambiente.

Afferma testualmente Ashby: “Solo la molteplicità può distruggere la molteplicità”, mentre un altro cibernetico (Stafford Beer) così sintetizza il problema pratico: “Spesso un ottimista ci chiede: datemi un sistema di regolazione semplice, un sistema che non possa sbagliare. Il guaio, con queste regolazioni semplici, è che esse hanno una varietà insufficiente per far fronte alla varietà dell’ambiente. Così, ben lungi dal non sbagliare, non possono andar bene. Solo una grande varietà del meccanismo di regolazione può affrontare con successo la grande varietà che si trova nel sistema regolato”.

Un esempio tipico di regolazione dei rapporti con l'ambiente, in ambito sanitario, è quello codici cromatici di accesso/filtro al P.S., che seleziona e regola il contatto con l'offerta di prestazioni in base ad una preliminare valutazione di potenziale gravità delle condizioni cliniche del soggetto, il cosiddetto triage infermieristico. In MG la legge di Ashby si manifesta con la diversificazione organizzativa dei contatti: ambulatorio ad accesso libero, su appuntamento, ambulatori per problemi, assistenza domiciliare programmata e ADI, contatti tra assistiti e personale di segretaria, infermieristico etc..

La legge della varietà necessaria riguarda non solo singoli servizi, ospedalieri o territoriali, ma anche il sistema sanitario nel complesso e in particolare il SSN nelle sue varie articolazioni organizzative e soprattutto normativo/regolatorie. Il sistema sanitario fronteggia le sfide ambientali ricorrendo a due processi: una progressiva differenziazione funzionale al suo interno, per una sempre maggiore specificità della risposta alle richieste poste dall'ambiente. La vicenda storica della medicina interna testimonia l'irreversibile tendenza alla differenziazione: dal tronco comune internistico si sono via via separati all'inizio del novecento i diversi rami specialistici, dalla gastroenterologia alla pneumologia, dalla nefrologia all'ematologia etc.., a loro volta investiti da tendenze alla sub-specializzazione parcellare. Tuttavia per un buon equilibrio organizzativo i processi di differenziazione, per certi versi spontanei e autonomi, devono essere accompagnati da complementari interventi di integrazione e coordinamento dei diversi sotto-sistemi, a cura dei vertici aziendali.

Oltre alla differenziazione specialistica classica, di stampo ospedaliero ed organico, il sistema sanitario è andato incontro ad un'ulteriore processo di differenziazione complessiva, in cui prevalgono le componenti organizzative e normativo-regolatorie. Mi riferisco alla suddivisione, da un lato, tra medicina specialistico/ospedaliera e cure primarie/MG e, dall'altro, alla distinzione tra SSN e libero mercato sanitario. La progressiva separazione tra le tre sfere (libero mercato, ospedale e territorio) è iniziata nei primi anni novanta del secolo scorso, a partire dalla farmaceutica, per poi investire la specialistica ambulatoriale, in un lento processo di sovrapposizione di norme regolatorie, in certa misura inintenzionale ma dagli esiti spesso contraddittori o disfunzionali, fino al rischio di “dis-integrazione” del sistema (I continua nel prossimo post).