Vediamo
schematicamente le
tappe del processo di differenziazione normativa ed organizzativa del
sistema sanitario,
che parte dal varo della riforma sanitaria, riguarda dapprima i soli
farmaci per
poi investire
la
specialistica ambulatoriale, fino al recente
Decreto Lorenzin dei giorni nostri,
nell'ambito
di quella che
il
sociologo
sanitario Ivan Cavicchi ha
definito
“medicina amministrata”, standardizzata
e
burocratizzata.
Va
da se che il nodo dell'equilibrio finanziario e
della sostenibilità economica del sistema
fa da motivazione implicita e
da spinta
all'evoluzione
normativa delineata, in
cui la struttura finanziaria prevale sulla sovrastruttura
medico-professionale (ancora
Cavicchi).
1-Il
periodo che va dall'avvio
della Riforma Sanitaria, la 833 della fine del 1978, fino ai
primi ani novanta
può
essere definito l'età dell'oro della sanità italiana,
caratterizzata dalla sostanziale sovrapposizione tra mercato e SSN,
in continuità con la precedente era mutualistica: il prontuario
terapeutico comprendeva praticamente tutti i prodotti immessi in
commercio, senza distinzioni tra molecole “rimborsabili” e non,
senza
classi terapeutiche, Note limitative, Piani Terapeutici specialistici
e così via. Era
l'epoca d'oro per le
più varie categorie
di farmaci “mutabili”
-
dagli
epatoprotettori ai
polivitamici, dai
mucolotici
ai
neurotrofici fino
a celebri ricostituenti
- e per molecole di grande successo commerciale, ma dubbia efficacia,
come gangliosidi, carnitina, coenzima
Q10,
calcitonine spary etc.. Anche
a livello ospedaliero mancavano
particolari limitazioni
ai
ricoveri,
economicamente convenienti
ed incentivati
dal pagamento a giornate di degenza. Spesso
il medico ospedaliero a tempo parziale era anche convenzionato con il
SSN, con massimale limitato a 500 scelte, a
dimostrazione dell'intercambiabilità dei ruoli.
Insomma esisteva una sostanziale sovrapposizione tra SSN e mercato
sanitario puro,
senza discrasie tra ospedale e territorio, e senza
particolari
vincoli normativi alle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche.
2-A
partire dai primi anni novanta il panorama cambia radicalmente grazie
a due “rivoluzioni” che danno il via alla separazione tra libero
mercato e area del SSN: il varo del primo prontuario terapeutico
nazionale
(PTN)
da
parte della neonata
Commissione Unica del Farmaco (CUF)
e, in misura minore, l'introduzione con
la seconda riforma sanitaria
del sistema di pagamento della degenza ospedaliera a DRG. A
partire dal primo gennaio del 1994 decine
di molecole vendono “espulse” dal PTN e abbandonate al loro
destino nel libero mercato, per molte equivalente
ad
un
irreversibile declino commerciale.
Nel
corso degli anni successivi
si
si
rafforza
la tendenza verso una stratificazione gerarchica sia dei criteri di
concedibilità dei farmaci (Note
CUF, registri ASL)
sia della titolarità della prescrizione (Piani
terapeutici specialistici, File
F, fornitura diretta).
In
questa fase la
valutazione di
efficacia
e la
diversificazione dei criteri di
prescrivibilità,
sempre
più articolati e puntigliosi,
riguarda
i farmaci via via
immessi
in commercio
e
dimostra
indirettamente quanto
i
decisori pubblici
si
siano
ispirati,
forse
in modo inconsapevole,
alla
legge di
Ashby
per
la regolazione del mercato farmaceutico “interno” al SSN.
Le
discrasie conseguenti
alla ristrutturazione del PTN
non tardano ad emergere e riguardano in particolare la difformità di
applicazione delle Note CUF tra ospedale e territorio, come primo
segno
di
una
differenziazione sistemica
“patologica”, perché priva del contrappeso dell'integrazione.
Medici ospedalieri e specialisti ambulatoriali prescrivono alla
dimissione o al termine della consulenza farmaci senza tenere conto
le Note limitative della CUF, con inevitabili incomprensioni e
ripercussioni sulla relazione tra assistito, ignaro dei vincoli
prescrittivi, e MMG, tenuto invece all'osservanza delle Note CUF,
pena
il rischio di subire sanzioni amministrative o procedimenti per danno
erariale.
3-La
riforma sanitaria ter del 1999 inaugura la terza fase della
differenziazione normativa e regolatoria, in nome
dell'appropriatezza, che avrà un'accelerazione nella seconda decade
del nuovo millennio. La
riforma “Bindi”, dall'allora ministro della sanità, al
fine di ricomporre le contraddizioni tra prescrizioni specialistiche
e del MMG, introduce
il
cosiddetto obbligo di appropriatezza, in base al quale i
medici
“quando
prescrivono o consigliano medicinali o accertamenti diagnostici a
pazienti all'atto della dimissione o in occasione di visite
ambulatoriali, sono tenuti a specificare i farmaci e le prestazioni
erogabili con onere a carico del Servizio sanitario nazionale. Il
predetto obbligo si estende anche ai medici specialisti che abbiano
comunque titolo per prescrivere medicinali e accertamenti diagnostici
a carico del Servizio sanitario nazionale”.
Si
tratta di un tardivo
tentativo di integrazione normativa tra i due comparti, che non
modifica abitudini prescrittive scorrette ormai consolidate e di
difficile revisione.
Nonostante
i propositi programmatici, più volte espressi da documenti
ministeriali, la regolazione delle prestazioni diagnostiche, sul
modello delle Note CUF/AIFA, rimane per quasi
un decennio
sulla carta, ad eccezione di alcune iniziative regionali, come quelle
relative ai LEA per la densitometria ossea. Sarà a partire dalla
seconda decade degli anni 2000 che prenderà
avvio anche la revisione normativa delle prescrizioni diagnostiche
ambulatoriali,
che culminerà all'inizio del 2016 con la pubblicazione del
cosiddetto Decreto Lorenzin sull'appropriatezza prescrittiva. Sul
fronte diagnostico si
muovono dapprima le regioni in ordine sparso, con iniziative tutto
sommato “neutre” a
monte della prescrizione ad personam del
MMG,
attinenti alle procedure analitiche
di laboratorio
per l'effettuazione sequenziale di alcuni test
in modalità “reflex” (TSH, PSA, Bilirubina, Autoanticorpi etc..)
o subordinati a specifiche condizioni cliniche (markers tumorali).
In
una seconda fase si aggiungono
norme più stringenti, ma non ancora vincolanti, riguardo ad
accertamenti per immagine o endoscopici, come quelle
introdotte
tra il 2004 e il 2006 dalla regione Lombardia, riguardanti TAC e RMN
dell'apparato locomotore, ECODOPPLER venosi e arteriosi, esami
endoscopici etc.. Infine all'inizio
del 2016 dopo lunga gestazione
è calata la “mannaia” del Decreto Lorenzin, che ha sollevato
generali reazioni critiche da parte delle varie categorie
interessate, fino alla parziale retromarcia della circolare
esplicativa del mese scorso e alla
promessa di una revisione complessiva della normativa da
poco
introdotta. Il
decreto appropriatezza applica la logica lineare e deterministica
della scelta terapeutica (se il paziente è portatore della
condizione X allora può essere prescritto il farmaco Y) ad
un ambito, come quello diagnostico, in cui allignano incertezza,
variabilità, complessità e unicità clinica, per
loro natura
non riducibili a procedure standardizzate e burocratiche.
Il
processo delineato segnala la sovrapposizione di normative e vincoli
che condizionano le prescrizioni ed inceppano la fluidità e la
finalità integrativa dei percorsi diagnostico-terapeutici: nel
passaggio dall'ospedale al territorio emergono una serie ormai
consistente di inciampi, discrasie e veri e propri incidenti critici
per la difformità dei comportamenti dei diversi attori, in quelli
che appaiono ormai come tre compartimenti stagni (ospedale,
territorio e libero mercato) tra di loro scarsamente comunicanti e
“dis-integrati” (vedasi il PS). A poco valgono le norme nazionali
e le reiterate delibere regionali che, per migliorare l'integrazione
sistemica, impongono a tutti gli specialisti operanti nell'ambito del
SSN l'utilizzo del ricettario unico nazionale per la prescrizione di
ulteriori accertamenti in risposta al questo diagnostico del MMG.
Così
farmaci ed accertamenti prescritti regolarmente e senza alcuna
limitazione all'interno del nosocomio o ai suoi confini, come nel PS,
diventano nel passaggio al territorio, per una sorta di maleficio,
oggetto di vincoli e criteri prescrittivi di presunta appropriatezza,
rigidi ed astratti dalle condizioni della loro applicabilità
pratica, come quelli introdotti dal decreto Lorenzin. Alla discrasia
normativa e regolatoria che affligge i medici del territorio,
rispetto agli specialisti ospedalieri, si aggiunge il gap ancor più
profondo che separa il territorio dalla libera-professionale,
svincolata da ogni norma limitativa delle prescrizioni. Ne fanno le
spese prima di tutto gli assisti, costretti ad esercitare in prima
persona quella funzione di integrazione e mediazione, che manca ad un
sistema ormai avviato verso quella stabile tripartizione
descritta all'inizio.
P.S.
Ecco il cahier de doleances della (mancata) integrazione ospedale-territorio.
- Rilascio degli attestati per esenzioni e certificati INPS di malattia alla dimissione
-
Procedure per le dimissioni protette e attivazione ADI
-
Utilizzo del ricettario per esami di approfondimento diagnostico
-
Rispetto delle Note e dei piani terapeutici AIFA
-
Regole per la prescrizione dei farmaci off-label
-
Applicazione del PTN e del prontuario delle dimissioni, dove presente
-
Fornitura diretta dei farmaci alla dimissione previsti dalle convenzioni locali
-
Utilizzo delle esenzioni per patologia, status, reddito, età etc..
-
Rispetto dei LEA regionali (densitometria ossea, Eco TSA, TAC/RMN osteoarticolare, endoscopie etc...)
-
Osservanza del decreto appropriatezza Lorenzin
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