Primo
aneddoto. Prescrivo ad un assistito sessantenne iniezioni
intramuscolari di vitamine. Mi chiede se posso indicagli
un’infermiera per la puntura. Perché, chiedo io, nessuno in casa
le sa fare? Si, risponde lui, ed anche tra vicini e conoscenti della
zona non si trova un volontario in grado di fare iniezioni. Pensare,
osserva, che mia madre era abilissima e le faceva per tutti i vicini
e conoscenti del paese. Oggi invece tutti hanno paura e nessuno se la
sente di prendersi questa responsabilità, e quindi bisogna
rivolgersi necessariamente ad un infermiere.
L’episodio
segnala due fenomeni correlati. Da un lato il venir meno delle reti
solidali informali, basate sulla competenza acquisita sul campo da
parte di un familiare, parente o vicino di casa che per esperienza
personale era in grado di svolgere quelle piccole manovre
infermieristiche per aiutare amici o parenti in momentaneo stato di
bisogno. Dall’altro la tendenza alla professionalizzazione che
certifica l’incompetenza dei non professionisti e, indirettamente,
squalifica i componenti di quella rete informale, caratteristica
della società contadina prima dello sviluppo industriale e del
sistema sanitario “ufficiale” del dopoguerra. Una società che
ancora non era stata interessata da quella medicalizzazione
dell’esistenza, oggi pervasiva e “normale”, che alimenta la
professionalizzazione delle funzioni.
Contemporaneamente
il settimanale l’Espresso lanciava a fine 2016 tra i suoi lettori
un sondaggio, per la penna di Michele Serra (1987-2017, 30 ANNI, su o
giu? Vota anche tu) che chiedeva di elencare tre fatti positivi e tre
negativi che distinguono la vita odierna da quella di 30 anni fa. Le
risposte arrivano copiose da parte di personaggi pubblici come pure
dai semplici lettori del settimanale. Tra i fattori di miglioramento
prevale nettamente l'innovazione tecnologia, mentre nella colonna dei
peggioramenti un consistente numero di lettori segnala un
deterioramento e una decadenza della “socializzazione”,
“rapporti sociali”, “relazioni sociali”, “vita o coesione
sociale”.
Dopo pochi giorni arriva
la notizia della morte del sociologo Zygmund Baumann, inventore e
sensibile interprete della società liquida, vale a dire dell'attuale
realtà socioeconomica in cui predominano precarietà, solitudine,
mobilità lavorativa, anonimato e allentamento delle relazioni solidali e dei
legami comunitari, che caratterizzavano invece il “mondo della
vita” fino al secondo dopoguerra del secolo scorso. Nelle stesse
settimane si propone l'ennesima emergenza Pronto Soccorso, causa
l'epidemia influenzale che riempie puntualmente le astanterie degli
ospedali, le pagine di cronache locali e le rubriche delle lettere di
protesta, per le sfibranti attese a cui si devono adattare i
cittadini con un problema acuto.
Il sovraffollamento del
PS non è forse il sintomo del venire meno di quella capacità di
adattamento e di gestione informale della malattia, che invece
garantiva la rete socio-sanitaria di qualche decennio fa? La società
liquida descritta dal sociologo polacco si riverbera nella solitudine
del cittadino di fronte alla malattia, specie se anziano e isolato,
che ricorre alla “solidità” all'apparato tecno-scientifico e
professionale per compensare la precarietà della condizione di
disagio e sofferenza.
Il venire meno della competenza
all'auto-gestione della propria condizione – descritta da Ivan
Illich ne la “nemesi medica” - porta alla delega al sistema
formale di cura per il deficit di supporto dalla rete di sostegno
della comunità e della famiglia, informale ma non meno “solida”.
Alla decadenza del capitale sociale comunitario, garanzia di
supporto e tutela nel momento del bisogno, ha fatto da contrappeso la
crescita del capitale finanziario dell'apparato tecno-industriale,
che spinge verso una complementare e compensativa medicalizzazione
della società e dell'esistenza, anch'essa prevista a suo tempo da
Illich.
Secondo aneddoto.
Viene in studio una sessantenne da poco in pensione che,
ciononostante, esordisce dicendo di “essere al capolinea”. E' in
sovrappeso e mi racconta di malesseri fisici vari,
insonnia e aumento della PA. Le prescrivo un ECG più la solita
routine di esami per l'inquadramento della PA. Nello scorrere la
cartella mi accorgo che negli ultimi 8 anni le ho prescritto in altre
4 occasioni simili esami ematici che non ha mai eseguito. Chiedo il
perché, con un certo disappunto. La risposta è disarmante: dopo la
visita mi sono sentita bene e quindi il controllo del colesterolo e
della glicemia era inutile, visto che il malessere era passato. Il
mio ex dottore mi diceva sempre che per star bene bisogna combattere
la malattia ed io così ho fatto, con buoni risultati fino ad oggi, e
senza bisogno di fare esami!
La medicina del
territorio subisce l'impatto della medicina "liquida" che marca
una progressiva distanza dall'apparato tecno-specialistico, vale a
dire dalla medicina "solida" dell'ospedale. La malattia cronica è
l'emblema della medicina liquida: l'assisto portatore di fattori di
rischio o condizioni croniche fatica a comprendere la necessità di
assumere quotidianamente farmaci per mantenere in equilibrio o sotto
controllo impercettibili parametri fisiologici, privi di un riscontro
sintomatico soggettivo, da verificare con il rito periodico del
follow-up degli esami.
Così pure gli risulta poco comprensibile che
il beneficio delle terapie, in termini di riduzione di eventi, valga
solo per una popolazione numerosa, senza possibilità di riscontro
nel singolo assistito, ovvero lui stesso. L'incommensurabilità tra la
dimensione di popolazione, implicita nelle statistiche sui rischi
assoluti o relativi, e il destino del soggetto asintomatico portatore
dello stesso rischio da “controllare” con il farmaco , affligge
la maggioranza delle cure per evitare gli eventi acuti delle
patologie cronico-degenerative.
Si annida in questo gap
la medicina impalpabile, sfuggente e indecifrabile del nostro tempo,
che il paziente mette continuamente a confronto con il prototipo
della malattia acuta infettiva; quella condizione esperita
personalmente da ognuno nell'infanzia nella sequenza standard che,
dai sintomi d'esordio passando per la diagnosi e la cura giusta,
arriva al rassicurante epilogo della restitutio ad integrum, come se
niente fosse successo. La medicina liquida non può garantire
certezze sul lungo periodo, un riparo sicuro dal rischio di eventi e
il ritorno alla piena salute del passato.
Ecco quindi che di
fronte all'evento acuto prevale l'attrazione dell'apparato
tecno-specialistico “solido”, sia per la natura improvvisa del
disturbo sia per sopperire al deficit delle reti informali di
sostegno e di aiuto nel momento del bisogno.
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