martedì 7 febbraio 2017

E' la medicina liquida, bellezza!

Primo aneddoto. Prescrivo ad un assistito sessantenne iniezioni intramuscolari di vitamine. Mi chiede se posso indicagli un’infermiera per la puntura. Perché, chiedo io, nessuno in casa le sa fare? Si, risponde lui, ed anche tra vicini e conoscenti della zona non si trova un volontario in grado di fare iniezioni. Pensare, osserva, che mia madre era abilissima e le faceva per tutti i vicini e conoscenti del paese. Oggi invece tutti hanno paura e nessuno se la sente di prendersi questa responsabilità, e quindi bisogna rivolgersi necessariamente ad un infermiere.
L’episodio segnala due fenomeni correlati. Da un lato il venir meno delle reti solidali informali, basate sulla competenza acquisita sul campo da parte di un familiare, parente o vicino di casa che per esperienza personale era in grado di svolgere quelle piccole manovre infermieristiche per aiutare amici o parenti in momentaneo stato di bisogno. Dall’altro la tendenza alla professionalizzazione che certifica l’incompetenza dei non professionisti e, indirettamente, squalifica i componenti di quella rete informale, caratteristica della società contadina prima dello sviluppo industriale e del sistema sanitario “ufficiale” del dopoguerra. Una società che ancora non era stata interessata da quella medicalizzazione dell’esistenza, oggi pervasiva e “normale”, che alimenta la professionalizzazione delle funzioni.
Contemporaneamente il settimanale l’Espresso lanciava a fine 2016 tra i suoi lettori un sondaggio, per la penna di Michele Serra (1987-2017, 30 ANNI, su o giu? Vota anche tu) che chiedeva di elencare tre fatti positivi e tre negativi che distinguono la vita odierna da quella di 30 anni fa. Le risposte arrivano copiose da parte di personaggi pubblici come pure dai semplici lettori del settimanale. Tra i fattori di miglioramento prevale nettamente l'innovazione tecnologia, mentre nella colonna dei peggioramenti un consistente numero di lettori segnala un deterioramento e una decadenza della socializzazione”, “rapporti sociali”, “relazioni sociali”, “vita o coesione sociale”.
Dopo pochi giorni arriva la notizia della morte del sociologo Zygmund Baumann, inventore e sensibile interprete della società liquida, vale a dire dell'attuale realtà socioeconomica in cui predominano precarietà, solitudine, mobilità lavorativa, anonimato e allentamento delle relazioni solidali e dei legami comunitari, che caratterizzavano invece il “mondo della vita” fino al secondo dopoguerra del secolo scorso. Nelle stesse settimane si propone l'ennesima emergenza Pronto Soccorso, causa l'epidemia influenzale che riempie puntualmente le astanterie degli ospedali, le pagine di cronache locali e le rubriche delle lettere di protesta, per le sfibranti attese a cui si devono adattare i cittadini con un problema acuto.

Il sovraffollamento del PS non è forse il sintomo del venire meno di quella capacità di adattamento e di gestione informale della malattia, che invece garantiva la rete socio-sanitaria di qualche decennio fa? La società liquida descritta dal sociologo polacco si riverbera nella solitudine del cittadino di fronte alla malattia, specie se anziano e isolato, che ricorre alla “solidità” all'apparato tecno-scientifico e professionale per compensare la precarietà della condizione di disagio e sofferenza. 

Il venire meno della competenza all'auto-gestione della propria condizione – descritta da Ivan Illich ne la “nemesi medica” - porta alla delega al sistema formale di cura per il deficit di supporto dalla rete di sostegno della comunità e della famiglia, informale ma non meno “solida”. Alla decadenza del capitale sociale comunitario, garanzia di supporto e tutela nel momento del bisogno, ha fatto da contrappeso la crescita del capitale finanziario dell'apparato tecno-industriale, che spinge verso una complementare e compensativa medicalizzazione della società e dell'esistenza, anch'essa prevista a suo tempo da Illich.

Secondo aneddoto. Viene in studio una sessantenne da poco in pensione che, ciononostante, esordisce dicendo di “essere al capolinea”. E' in sovrappeso e mi racconta di malesseri fisici vari, insonnia e aumento della PA. Le prescrivo un ECG più la solita routine di esami per l'inquadramento della PA. Nello scorrere la cartella mi accorgo che negli ultimi 8 anni le ho prescritto in altre 4 occasioni simili esami ematici che non ha mai eseguito. Chiedo il perché, con un certo disappunto. La risposta è disarmante: dopo la visita mi sono sentita bene e quindi il controllo del colesterolo e della glicemia era inutile, visto che il malessere era passato. Il mio ex dottore mi diceva sempre che per star bene bisogna combattere la malattia ed io così ho fatto, con buoni risultati fino ad oggi, e senza bisogno di fare esami!

La medicina del territorio subisce l'impatto della medicina "liquida" che marca una progressiva distanza dall'apparato tecno-specialistico, vale a dire dalla medicina "solida" dell'ospedale. La malattia cronica è l'emblema della medicina liquida: l'assisto portatore di fattori di rischio o condizioni croniche fatica a comprendere la necessità di assumere quotidianamente farmaci per mantenere in equilibrio o sotto controllo impercettibili parametri fisiologici, privi di un riscontro sintomatico soggettivo, da verificare con il rito periodico del follow-up degli esami. 

Così pure gli risulta poco comprensibile che il beneficio delle terapie, in termini di riduzione di eventi, valga solo per una popolazione numerosa, senza possibilità di riscontro nel singolo assistito, ovvero lui stesso. L'incommensurabilità tra la dimensione di popolazione, implicita nelle statistiche sui rischi assoluti o relativi, e il destino del soggetto asintomatico portatore dello stesso rischio da “controllare” con il farmaco , affligge la maggioranza delle cure per evitare gli eventi acuti delle patologie cronico-degenerative.

Si annida in questo gap la medicina impalpabile, sfuggente e indecifrabile del nostro tempo, che il paziente mette continuamente a confronto con il prototipo della malattia acuta infettiva; quella condizione esperita personalmente da ognuno nell'infanzia nella sequenza standard che, dai sintomi d'esordio passando per la diagnosi e la cura giusta, arriva al rassicurante epilogo della restitutio ad integrum, come se niente fosse successo. La medicina liquida non può garantire certezze sul lungo periodo, un riparo sicuro dal rischio di eventi e il ritorno alla piena salute del passato.

Ecco quindi che di fronte all'evento acuto prevale l'attrazione dell'apparato tecno-specialistico “solido”, sia per la natura improvvisa del disturbo sia per sopperire al deficit delle reti informali di sostegno e di aiuto nel momento del bisogno.

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