Con
la discesa in campo del gestore, previsto dalla delibera sulla “presa
in carico”, si affaccia sul territorio un nuovo soggetto
organizzativo, che si affianca al MMG e con il quale il generalista
dovrà fare i conti, nel caso in cui non siano gli stessi MMG
associati in cooperativa a proporsi come gestori del percorso.
Vediamo quindi di prospettare i possibili effetti della presenza di
un nuovo giocatore sugli equilibri organizzativi, professionali ed
assistenziali a livello territoriale. La delibera della regione
Lombardia dovrebbe favorire l'evoluzione del sistema di gestione dei
cronici da un modello “artigianale”, com'è stato fino ad ora
quello della MG (si veda il caso del Governo Clinico), ad un modello
più strutturato e complesso di matrice ospedaliera, che prevede il
trasferimento sul territorio della formula del DRG e delle logiche
aziendali alla gestione delle condizioni croniche.
Una
sfida per le stesse strutture ospedaliere, che non si sono mai
cimentate con i numeri imponenti dei cronici, e che pone anche non
pochi problemi alla MG: in particolare non deve essere sottovalutato
il rischio di una dicotomia o duplicazione tra gestore e MMG, qual'ora
i due ruoli non coincidano, se non di una emarginazione del secondo,
relegato ai margini del processo clinico, a vantaggio del primo.
L'assistito dovrà scegliere tra la formula familiare e “artigianale”
della MG e l'offerta, industriale e standardizzata, della struttura
accreditata sbarcata sul territorio.
Va
da sé che che
le organizzazioni private
aderiranno a condizione di
intravvedere
nella presa in carico
un consistente
interesse economico, come
contropartita dell'assunzione del
ruolo di gestore, tenuto
conto delle
gravose
incombenze
previste dalla delibera riguardo
alla popolazione dei cronici
(a
parte forse
l'occasione
per
attirare e
fidelizzare nuovi
“clienti” al fine di erogare altre prestazioni oltre a quelle
previste dal PAI).
Peraltro
dalla
Delibera non
si evince
se l'adesione alla presa in carico e al relativo patto/PAI
sia in qualche misura obbligatoria, al di là della scelta dei
gestore, mentre
in
diversi passaggi il Documento
ribadisce la cetralità della
libertà di scelta del paziente.
Ad esempio a pagina 5, circa al patto di cura e il PAI, si afferma che "solo il cittadino può dare l’avvio o concludere il percorso di presa in carico, eventualmente facendo richiesta motivata all’ATS per la sostituzione del proprio Gestore". Nel senso che nè il MMG né tanto meno il gestore lo possono fare a suo nome, ma anche che la presa in carico è una libera scelta volontaria, mentre solo dopo la sottoscrizione del patto di cura scatta per l'assistito l'obbligo formale di ottemperare alle prescrizioni previste dal PAI.
Ad esempio a pagina 5, circa al patto di cura e il PAI, si afferma che "solo il cittadino può dare l’avvio o concludere il percorso di presa in carico, eventualmente facendo richiesta motivata all’ATS per la sostituzione del proprio Gestore". Nel senso che nè il MMG né tanto meno il gestore lo possono fare a suo nome, ma anche che la presa in carico è una libera scelta volontaria, mentre solo dopo la sottoscrizione del patto di cura scatta per l'assistito l'obbligo formale di ottemperare alle prescrizioni previste dal PAI.
Infine
"la
nuova modalità di gestione non elimina la modalità tradizionale di
prescrizione ed erogazione delle prestazioni, ma vi si affianca"
e
quindi non la sostituisce.
Si
può immaginare
che buona parte degli
assistiti
autosufficienti, affetti
da
monopatologia o pluripatologie croniche, in caso di scelta opzionale
potrebbero
declinare
l'invito del
gestore ad aderire
al patto di cura, dato
che la Delibera affida il III° livello proprio al MMG. Specie
nelle località lontane dalla sede del gestore e dei punti di
erogazione delle prestazioni previste dal PAI i
cronici monopatologici potrebbero scegliere di mantenere
la relazione esclusiva con il MMG,
che
da sempre si
fa carico,
seppur in modo informale
ma globale,
di
gestire
la
salute dei propri assistiti (vedasi il post precedente).
La
presa in carico da parte di un gestire, diverso dal MMG associato,
potrebbe quindi sovrapporsi
sia
al generalista sia
ad altri servizi, come quelli specialistici che spesso hanno
già
in carico assistiti affetti da polipatologie croniche complesse. Mi
riferisco, ad esempio, ai diabetici di tipo I con pluricomplicanze
d'organo seguiti dai centri diabetologici, ai nefropatici nelle fasi
più avanzate di deficit
funzionale,
ai dializzati e ai trapiantati d'organo,
ai cardiopatici con grave scompenso etc.. In questi casi il rischio
di una duplicazione inappropriata
degli interventi e delle prestazioni non è da sottovalutare. Servirà
quindi
un
forte impulso al “case
management” da
parte del gestore per un efficace
raccordo con le professioni sanitarie, “in termini di
responsabilità clinica e di accompagnamento
del paziente in relazione alla complessità clinica e ai bisogni
assistenziali della classe di appartenenza”.
Un
analogo problema di coordinamento e integrazione delle prescrizioni
riguarderà i soggetti portatori di una condizione cronica prevalente
non compresa nell'elenco stilato dalla delibera (neoplastici in fase
di “cronicizzazione”, emopatici, epatopatici cronici, HIV,
pre-terminali etc..) che sono abitualmente seguiti dai relativi
servizi specialistici in collaborazione con il MMG. Questi assistiti
possono essere anche portatori di uno o più comorbilità croniche
previste dalla
presa in carico e quindi il rischio che vengano “sballottati” tra
i tre attori di cui sopra è elevato, con buona pace della riduzione
dell'inappropriatezza organizzativa. Non sarebbe
stato
più semplice ed
efficace
investire risorse nelle forme organizzative complesse sul territorio
e nella formazione degli operatori delle cure primarie, per
migliorarne
le capacità di integrazione e di coordinamento degli interventi
sanitari nei pazienti multiproblematici?
A
questo proposito il Piano Nazionale per la Cronicità (vedi allegato) dopo aver
rilevato i limiti dei PDTA nei pazienti pluripatologici complessi sottolinea la
centralità del concetto di medical generalism, in cui la
conoscenza della persona nel suo intero e dei suoi bisogni, la visione continua
degli eventi (non solo) sanitari del singolo soggetto - integrate con le
conoscenze basate sulle evidenze - determinano scelte più appropriate e
fattibili per il singolo paziente (evidence
based practice).
La
scelta di affiancare la presa in carico del gestore alla gestione
dell'assistito da parte del MMG – mi si perdoni il gioco di parole
– ha inevitabili riflessi sul monitoraggio degli indicatori di
processo e di esito delle patologie. Infatti si rischia una
duplicazione dei sistemi di gestione ed elaborazione dei dati clinici
che lavoreranno in parallelo, senza occasioni di confronto e
integrazione con intuibile pregiudizio per la qualità degli esiti:
da un lato il sistema informativo del gestore, che privilegia
l'aspetto amministrativo correlato all'esecuzione delle prestazioni
periodiche del PAI (numero e frequenza degli esami prescritti ed
eseguiti) e dall'altro la raccolta dati del MMG spiccatamente
clinica, relativa alla registrazione di parametri biologici (valori
di glicemia, glicata, creatinina, lipidi, stadiazioni cliniche, PA,
frequenza cardiaca, BMI, abitudini di vita etc..) e al loro raffronto
con le terapie croniche in atto (registrazione delle prescrizioni
farmacologiche) ai fini della valutazione degli indicatori di processo ed esito clinico.
Infine
non si può trascurare l'impatto
burocratico-amministrativo delle procedure previste, assai
impegnativo se si considerano i numeri delle coorti coinvolte, anche
superiori alle 500 unità per medico massimalista. L'impegno necessario per
la redazione del PAI e la sottoscrizione del patto di cura potrebbe
appesantire la gestione dell'ambulatorio, come dimostra l'esperienza
pratica dei CReG, specie per i generalisti singoli senza
collaboratori, e soprattutto andare a scapito dell'attività
clinico-assistenziale.
Analogamente anche il gestore, nel caso in cui non dovesse delegare la stesura del PAI al MMG, dovrà mettere nel conto un notevole impegno di mezzi e risorse umane per adempiere alle incombenze previste dalla Delibera, che non brilla certo per linearità e semplificazione procedurale. Si pensi, ad esempio, solo alla necessità di convocare ogni anno presso la sede del gestore, o recandosi al domicilio in caso di grave disabilità, tutti i candidati alla presa in carico per espletare le procedure necessarie ad avviare l'iter del processo di presa in carico (sottoscrizione del patto di cura, del PAI, del consenso al trattamento dei dati etc…). Non a caso la delibera prevede un compenso di “euro 25,00 per ciascun paziente la valorizzazione economica da riconoscere al MMG per la predisposizione del PAI”.
Analogamente anche il gestore, nel caso in cui non dovesse delegare la stesura del PAI al MMG, dovrà mettere nel conto un notevole impegno di mezzi e risorse umane per adempiere alle incombenze previste dalla Delibera, che non brilla certo per linearità e semplificazione procedurale. Si pensi, ad esempio, solo alla necessità di convocare ogni anno presso la sede del gestore, o recandosi al domicilio in caso di grave disabilità, tutti i candidati alla presa in carico per espletare le procedure necessarie ad avviare l'iter del processo di presa in carico (sottoscrizione del patto di cura, del PAI, del consenso al trattamento dei dati etc…). Non a caso la delibera prevede un compenso di “euro 25,00 per ciascun paziente la valorizzazione economica da riconoscere al MMG per la predisposizione del PAI”.
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