Come posso valutare le abilità informatiche del tirocinante
se non ha mai avuto l’occasione di utilizzare il mio programma? E che dire
delle competenze nella raccolta e gestione dei dati se non ha mai utilizzato la
carella clinica informatizzata orientata per problemi, specie cronici, ma ha compilato
solo classica cartella ospedaliera per degenze in acuto? Ed ancora, come posso
valutare le competenze diagnostiche se il tirocinante ha solo una vaga idea
dell’epidemiologia del territorio rispetto a quella ospedaliera? Come testare
le abilità relazionali, se ha visto solo degenti ospedalieri e non si è mai
cimentato con una famiglia intera che viene in studio per sottoporre i problemi
di un o più dei suoi componente?
E che dire delle differenze tra processo diagnostico ospedaliero, con le sue innumerevoli risorse tecnologiche e
specialiste, a fronte della pratica “a mani nude” delle cure primarie, che obbliga
a tollerare un surplus di incertezza rispetto a quella della corsia. Oppure
dell’approccio per problemi, tipico delle cure primarie, non certo prioritario
nella didattica universitaria. Come saggiare la competenza educativa nelle
gestione dei cronici, se il neo-laureato ha avuto solo esperienze di reparti per
acuti? Quali abilità cliniche valutare nella gestione delle infezioni
prevalenti sul territorio, dalle affezioni delle prime vie aeree all’influenza
vera e propria, se queste malattie non hanno spazio nell’insegnamento
universitario?
Insomma esiste un unico modello di medicina, trasmesso a 360
gradi dalla formazione curricolare, indipendentemente dal contesto operativo?
Oppure le caratteristiche peculiari di organizzazione, di contesto sociorelazionale
ed epidemiologico richiedono un approccio clinico e culturale diversificato e
specifiche modalità di formazione alla diagnosi, terapia e alla gestione dei problemi? Devo confessare un certo imbarazzato quando, al termine del
tirocinio, si tratta di compilare il libretto per la valutazione del tirocinante!
Il numero di parametri di valutazione e la loro complessità costituirebbe un
ostacolo non indifferente per lo stesso valutatore.
Ma questa è solo una
componente del paradosso del tutor: ancor più stridente è la discrasia tra le
modalità e i contenuti del sapere (prevalentemente teorico) trasmessi dalla
formazione di base e il modello di sapere pratico, di apprendimento
dall’esperienza, di riflessione durante e sull’azione che caratterizza le cure
primarie. Al lato pratico, perlomeno
nell’ esperienza personale, il tirocinio si trasforma più che altro in un
apprendimento sul campo, grazie a quella pratica che i neolaureati non hanno
quasi mai avuto l’occasione di sperimentare durante gli ultimi anni di
formazione universitaria.
Ma probabilmente è un
mio limite e mi piacerebbe sapere che ne pensano altri tutor....
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