La
competenza o expertise è la capacità del professionista di
adattarsi alla specificità delle condizioni cliniche, tecnologiche
ed organizzative e quindi di “accomodare” le indicazioni generali
di buona pratica clinica, di necessità astratte e
decontestualizzate, alle caratteristiche dei singoli assistiti nella
situazione data.
Lo
conferma una ricerca pubblicata dal prestigioso BMJ (
http://www.bmj.com/content/354/bmj.i3571
)
che
dimostra come gli esiti migliori in chirurgia sono correlati
all'esperienza maturata dal professionista in una specifica
patologia, vale a dire alla varietà e numerosità del repertorio di
casi osservati e curati, da quelli normali e di routine a quelli più
strani ed "eccentrici". La competenza professionale si
misura soprattutto sulla capacità di affrontare i casi non
routinari, ovvero quelli che richiedono un adattamento alla
situazione problematica, fondata su abilità tacite nel trovare
soluzioni nuove e non predefinite per far fronte all'irriducibile varietà
clinica.
Una
delle principali motivazioni che spinge ricercatori e clinici ad
elaborare protocolli, linee guida, percorsi, check list, flow-chart
etc.. è l'”lotta” alla variabilità patologica nel tentativo di
contenerla entro limiti fisiologici. La variabilità comportamentale
dei medici pratici viene abitualmente considerata una criticità,
un'anomalia da controllare grazie alla diffusione ed implementazione
degli strumenti sopra elencati, affinché di fronte alla medesima
condizione clinica tutti si comportino in modo omogeneo e
standardizzato, tale da garantire il medesimo esito atteso. In teoria
quindi qualsiasi chirurgo, previa adeguata formazione e un congruo
periodo di apprendistato, è nelle condizioni di applicare la tecnica
chirurgica standard e le procedure previste per una determinata
patologia, raggiungendo quindi gli stessi risultati di qualsiasi
altro collega. Pare che nella realtà fattuale le cose non stiano
propriamente così, come dimostra la ricerca del BMJ:
l'intercambiabilità dell'operatore non garantisce il raggiungimento
di esiti omogenei e definiti a priori.
Il
professionista competente invece è quello che sa adattarsi alla
varietà, unicità e complessità dei casi che non sono contemplati
nella routine delle procedure standardizzate. Grazie all'esperienza
riesce ad accumulare numerosi "esemplari" di situazioni non
ordinarie, che vanno a costituire un bagaglio di soluzioni pratiche
ed originali: solo la varietà degli schemi e dei “trucchi” del
mestiere può controllare la gamma delle situazioni problematiche.
Per le patologie ad elevata incidenza e bassa complessità qualsiasi
chirurgo raggiungerà facilmente quel pool di casi che rappresentano
lo zoccolo duro della competenza acquisita. Ben diverso è il caso
delle malattie a bassa prevalenza ed elevata complessità tecnica,
con indicazioni e tecniche chirurgiche specifiche, che vengono
generalmente gestite in centri dedicati ,dove è possibile accumulare
un numero sufficiente di casi che consente al professionista di fare
un'adeguata esperienza della variabilità dei casi clinici.
I
dati del BMJ dimostrano che l'apprendimento è correlato alle
pratiche e all'esperienza sul campo e meno all'acquisizione
individuale delle specifiche tecniche esplicite, nella sola sfera
cognitiva, il che per un'attività come la chirurgia può apparire
scontato e banale. Per di più nella chirurgia la componente tacita
della competenza è intuitivamente prevalente sulla cognizione
astratta e decontestualizzata, perchè impossibile da rendere
compiutamente a parole, tramite descrizioni scritte o lezioni, in
quanto legata ai gesti, all'uso di strumenti e alle abilità manuali.
La
stessa conclusione è un po' meno "triviale" se viene
estesa alle discipline mediche, in cui la componente teorica, delle
nozioni generali e specifiche sembrerebbe prevalente sulle pratiche,
considerate una semplice e meccanica derivazione della teoria,
secondo il modello della razionalità tecnica. Ma nella realtà anche
la competenza internistica o del MMG si fonda sulle esperienze
pratiche intese in senso multidimensionale, ovvero sulle abilità
relazionali, comunicative e decisionali, condizionate dal vissuto
personale, emotivo e corporeo, dal contesto socio-organizzativo ed
epidemiologico dell'attività professionale. Insomma, come
sottolineano gli psicologi sociali, apprendimento, conoscenza e
competenza professionale sono irriducibilmente "dense",
distribuite e mediate da artefatti/strumenti tecnologici, situate
nelle pratiche, radicate nell'esperienza corporea e nella riflessione
nel corso dell'azione.
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